da Nuove finestre (2005)
Per il tuo nome
Vieni qui. Siediti accanto. Vorrei domandarti
qualcosa. Ora, con le nuove finestre,
si vede meglio, tutto pare distinto. I vicini già
curano le piantine e coprono le sementi, qui, tra le case,
a volte osservo l'orto. Ora è diventato
così radioso. Felici, gli ortolani! Io però ascolto le auto
che strusciano per le strade, ai distributori c'è odore
di benzina, dove posso portarti?
I miei antenati erano contadini dell'arcano.
Bello vivere in campagna,
diceva la canzonetta.
Ancor più bello è guidare in città, con le orecchie
come auricolari camminare sul marciapiede.
II mio cortile, il bosco, come sono cambiati!
Ora faccio girare le cassette e le monete.
Cosa ascoltiamo, che musica?
Di quando in quando fa davvero bene andarsene
e respirare a pieni polmoni. Oh, guarda, completamente bianca è
la tela di plastica. Di consueto e sempre con sensazioni contrastanti
amiamo il rumore e questi edifici degradati.
Anche l'orto è già fiorito.
Cosa mangiamo per pranzo?
Aspetta, lo so. Tra un po' - dei fiori.
I vecchi muoiono più giovani
Quale senso ha per te, ciò che per me
è l'aria che respiro, e/o l'acqua che bevo,
e/o la lingua che parlo, e posso continuare?
Così camminavo nel bosco, dove spiccavano
la felce ed il cespuglio di mirtilli, là avevi
camminato anche tu, un tempo, forse avrai fatto caso
alle stesse incisioni nel taglio dei tronchi, al muschio nel lato giusto.
A tutti coloro che incontravo proponevo
di parlare la mia lingua; ma in realtà non ve n'erano molti,
sui marciapiedi rotti ho solo sfiorato dei rami.
Leggero e sottile ero, quasi una foglia, quasi un sentimento
annacquato, quasi un'antera sparpagliata,
una diversa natura. Senza un senso messo in mostra,
senza preavviso. Una scritta strana sulla tua fronte,
bolle di sapone dei sorrisi dalle labbra,
rastrelliere rotte e granai colmi di attrezzi da giocoliere,
li usavi abilmente. In questo traffico confuso
è meglio rimanere giovani, agli occhi degli altri
e nel proprio bosco incantato. Con occhi altrui,
in un'altra natura che a volte ti esclude,
poi prende un'altra direzione, quella dove decidi per queste due parole
in una stanza silenziosa, silenziosa sino a che non cominciano a parlare
e/o a suonare un violino che evapora,
i sussulti di corde amare.
da Casa e lavoro (2007)
Per E.D.
ad Amherst ci sono stato una volta -
nell'autunno 2004 - la compagnia chiacchierava -
io dormivo - esausto -
al capezzale del divano e dell'immortalità.
in qualcosa bisogna investire -
ho sentito nel dormiveglia - mi addolciva il sonno -
parlavano sottovoce - le cose in modo opportuno -
solenne - è difficile dire - chi per primo
ha guardato la lancetta senza quadrante.
la cosiddetta - eternità - ha bussato -
è difficile dire: chi per primo ha sentito - tok, tok -
e questo è quanto - di questa avventura.
prima qualcuno l'ha già detto - Lori forse - che si trova
qui da qualche parte - un osservatorio astronomico - e una casa
qui attorno - ci siamo passati vicino -
è stato un bellissimo giro
per la parte bassa di Amherst.
ci eravamo davanti - e siamo entrati -
senza oltrepassare la soglia - abbiamo investito -
le nostre anime forse - qualcosa di simile.
la nostra neve degli anni che furono - non si è ancora sciolta -
ora è caduta sul tuo giardino
trasformando questo autunno in inverno - bellissimo -
tutt'attorno - tu sola - un elemento interlocutorio.
da Come un dono (2010)
Avvisaglie di primavera, Hopkins
Il paesaggio a metà marzo, mosso dal vento impetuoso,
in strada mulinelli di sacchi di plastica, per dei metri -
qua e là - ci ritroviamo nel ruolo di oscuri suggeritori,
bianche violette ai margini della platea campestre -
ed un pubblico di castagni ramosi, di betulle, scortecciato
accoglie la rappresentazione preparata, così amata
da scandire - di primavera nulla si misura con la bellezza.
Nulla - mucchi disciolti di merda, noti per la loro bruttezza,
non le ombre, turbate dalla presenza di buoi, erpici, speroni,
non i carri alla prima, che roteano sull'asse il giro d'onore,
non i pezzi grossi, i balconi di ciclamini, le liste selezionate...
Ciò che per il poeta è estasi - stagione dopo stagione -
per l'attore è erosione - i suoi ruoli sono finiti -
sulle foglie del tarassaco nella zuppiera abbiamo sparso le primule.
Primavera, continua
Per questo sarebbe il caso di morire ancora una volta.
Per questa idea - il tempo che avrebbero dovuto già superare,
quando erano finiti nel bosco, giovani con il fucile in spalla,
nei momenti del disappunto, con i compagni, spalla a spalla
e con questa notizia - aspra, cattiva - ammucchiata
come tutti i problemi e congedata, un'alzata di spalle,
e trasferita - al domani - sogni di libertà, vuoti,
e sistemata con cura, sventolante - solo
allora utilizzata - umiliata, discreditata, dolente.
L'idea della primavera, per tutti la stessa, con enfasi su «per fortuna».
L'esaltazione per gli stendardi, sventolano come promesse argentate.
A questo dovremmo ancora una volta iniziare a credere -
come un tempo. Era una giusta battaglia. Per questo. Non è impossibile.
(Anche se siamo già salpati per versarla in mare
il vento ha gettato indietro la cenere, tra i parenti in lutto.)
La primavera inoltrata
è la più importante. Tutto il resto è un pretesto per essa.
Ad esempio il tempo in primo piano, che prendi estremamente
sul serio. Una nuvola sopra la città tedesca, bianca, che ricopre
l'azzurro, che si disperde nell'informità, velata
e sfuggente, come un'antica consapevolezza. D'inverno è deprimente,
stavo appartato, più che di solito, mi aveva colpito
questa impressione moderna, tra tutti questi peccatori,
sotto un grigio coperchio, adesso non potresti immaginartelo.
No. Tutto è solo un pretesto: il cibo, il sesso, il bere, il potere,
la carriera. Ho avuto bisogno di anni per ricomporre quella nuvola
che ora fluttua attraverso la mia testa - in parte coperta,
bianca, sfuggente e - - quasi muta.
Forse sei in dolce attesa. Oppure sono solo. Non ho forza,
ho solo forme. Qualsiasi cosa accada, hai la parola.
Le mie ortensie
Il linguaggio è uno dei concetti universali,
perciò dobbiamo usare le strutture dei dialetti,
delle peculiarità dei vernacoli, degli slang
per poterci capire. Lo stesso linguaggio, la stessa aspirazione
alla libertà, ma quante incomprensioni.
Un popolo è una moltitudine universale di singoli
che ha mostrato un linguaggio ad un'altra moltitudine universale, ecc.
O è questa una nazione. O è l'Europa.
Cosa sto dicendo, il nostro scopo è catturarli il prima possibile.
Perché le vecchie strutture attraversano i nostri segnali
e disturbano i trasmettitori. Perché non ci porta più lontano.
Non è poi detto non lo faccia,
ma di questo ci hanno convinto.
Resta comunque la domanda:
Da chi, e perché ci facciamo ingannare?
Siamo davvero così ingenui
da non aver ancora scoperto il mistero dello Stato.
La colla che lo tiene attaccato.
E se lo avessimo fatto, avremmo ancora bisogno di discorsi?
Cosa celebreremmo invece del governo?
Le mie ortensie, le mie ortensie.
O l'inganno è universale
o ci incolliamo singolarmente.
Cosa sto dicendo, questo è il tempo del nuovo ottimismo.
Basta che siamo sani.
Basta che le viti diano frutti.
Ognuno per sé lo sa, cosa sono le proprie ortensie.
La lingua è un concetto universale che ci frantuma.
L'amore ha con sé il fagotto degli assilli condizionati.
Il papavero è la sua catenella.
Per intenderci, il sospetto ci fa paura.
Il legno si asciuga e ci dà allucinazioni.
La bella lingua annaffia sgradevolmente -
annaffia e lecca e incolla
le mie ortensie.