Domenica, 5 febbraio 2017
Avevo già scritto qualcosa sul lavoro poetico di Ivano Mugnaini qualche anno fa (v. QUI)
e in quelle note mi pareva di aver individuato alcuni tratti salienti
del suo modo di vedere il mondo e la poesia. Ora mi manda qualche
inedito che troverà collocazione in un suo prossimo lavoro dal titolo,
penso definitivo, di "La creta indocile", e in questi testi io lo
ritrovo. Ivano è un poeta solido, anche nel senso di una fedeltà a sé
stesso e ad una tradizione però assimilata e "riscritta" in maniera del
tutto personale, molto poco crepuscolare. E' fedele ad un mondo, alle
sue manifestazioni sensibili, anche minime, e al significato che esse
riverberano sulla vita, e nelle quali il tempo vissuto o "salvato"
agisce da attore principale, anche in queste poesie. Un mondo niente
affatto ristretto, per quanto Mugnaini sia con tutta evidenza un uomo di
grande riservatezza, uno che tu immagini vivere e scrivere (non solo
poesia ma anche bella prosa) al suo tavolo da lavoro in un piccolo paese
della provincia lucchese. Non ristretto perché certamente cultura e
immaginazione, capacità di lettura dei "segnali" e reinterpretazione
dei medesimi, permettono a Ivano di addivenire ad una stesura del testo
complessa e articolata di sfumature, ma assolutamente leggibile, anzi
godibile perché parla con un linguaggio poco ellittico, che tende a
portare il lettore, senza alcuna sentenziosità, dritto al centro della
questione, a quella domanda esistenziale che è di tutti. Non c'è ragione
di dubitare che la creta di cui dispone Ivano sia indocile, presenti
qualche opposizione a lasciarsi modellare, poiché si tratta dell'essenza
stessa della poesia, linguaggio espressivo quanto mai "costoso" (per
dirla con Barthes) o dispendioso, se preferite, proprio in termini di
comunicazione. Ma si percepisce nelle poesie di Ivano come una
gratitudine verso questa indocilità, nei confronti della sfida che
questo materiale poetico gli propone quotidianamente. Una gratitudine
che alla fin fine è per la vita stessa, per gli incroci che essa
presenta al poeta di giorno in giorno, tanto che sembra di percepire in
questi testi addirittura, in una certa misura, un sentimento sottilmente
religioso, il sentimento di un uomo che si trova in mezzo al creato ma
non lo domina, forse non lo considera un dono su cui l'uomo ha una
biblica primazia, cerca solo di capirlo. Un cielo trascorso da nuvole
che diventa innesco e fondale di ricordi; il ritrarsi, anche con un
certo orgoglio, dal "sentire comune" proprio per abbracciare idealmente
il mondo, per comprenderlo; il gettare uno sguardo anche ironico sugli
altri, sui compagni di un viaggio che è anche metaforico, su una realtà
che può apparire periferica, e che non è solo fisica ma costituisce
anche un'enclave psicologica e un ethos. Sono alcuni dei temi di queste
poesie, che nel loro insieme delineano un'area ideale in cui Ivano si
riconosce e si muove come autore agevolmente, in cui il tempo, quello
salvato, quello dei ricordi o quello delle parcelle di vita che Ivano si
annota, sembra benevolmente rallentare, indugiare quel tanto che basta a
farsi cogliere, a farsi vivere pienamente. (g.c.)
Il compito, il segreto
Latte di nuvole, lassù, candido come i denti di mio padre, nel cielo dell'estate del cinquantatre. Guardava sorridendo le gambe sode delle ragazze sotto le gonne ampie a fiori, freschi, accesi, come i sogni di quell'Italia misera e felice. Sfidava sereno, mio padre, il potere e la gerarchia: lo rivedo ancora, nella foto in bianco e nero scattata durante la sua naja: senza berretto, con uno sguardo limpido; lui, basso di statura, sovrastava i commilitoni con la forza dell'allegria. Diverso oggi è il grado, il tono, il colore del cobalto: la paura, gli occhi straniti di questo tempo fugace, tanto rapido da sfrecciare via, lontano dal suo stesso cuore. Ma forse è proprio questo il compito, il segreto: ritrovare a poco a poco il coraggio di guardare il sole, venendo a patti con l'orrore e la sete, la pioggia e la terra riarsa. La salvezza è nel riso rubato alla ragione: restare nella luce diretta senza berretto, senza timore, lasciando che il sole entri negli occhi e nella mente a petto nudo, respirando a pieni polmoni, come un cigno, un pazzo, un bambino che urla, o forse canta, a squarciagola, prima ancora di saper parlare.
Il corpo del mondo
Nell'angolo più cupo della notte, sparisco al sentire comune, al groviglio che fa di me me stesso, al ponte sconnesso tra ciò che immagino e ciò che sono. Non un suono, un gesto: buio nel buio, sonar di pipistrelli appesi alla muffa dei secoli. Notte nella notte, carne della sua carne. Non mi odia, non mi respinge; se solo potessi vederla, scoprirei un sorriso. Sulle labbra scure il colore di un bacio. Mi lascia fiato nella gola per pensare all'aria, ad una voglia tenace. Questa zona d'ombra copre il mio mondo: imparo a non separare noi esseri carichi di violenza dal cielo dove turbinano i nostri desideri. Nell'istante in cui stringo tra le mani una pietra consunta e l'orizzonte sogno di soffocarmi di vento stringendo forte il corpo del mondo.
Amare l'inverno
Amare l'inverno, il gelo, la forma nuda, la figura velata, la paura, la gioia ineffabile. Uno squarcio di luce mi lacera ancora. Non è pena il tepore, percorre dolce la pelle. La testa si alza verso la parete, lancette ad angolo, croce senza morte. Attendo volti umani, mentre la pioggia sui vetri cola nel lilla degli abiti, scarpe, unghie vermiglie, piedi incuranti del fango. Perso nel dilemma, il cuore finge di dormire. In realtà balla, danza sul marcio che c'è in Danimarca e nel mondo, contento del suo essere folle nel profondo, senza smettere di cercare la strada sbagliata, il verso, la carezza di tempo sognato preferita all'impero del vero.
Amazzonia
Ti parlo in una lingua inventata. La parola sfiora gabbiani. Ci separano oceani, gocce salate come i miei troppi anni. Ho estratto dai tuoi alberi succo e linfa per il mio corpo, per il mio continente malato, qui, nell'aria stantia il profumo del tuo fiore assetato. Mi sono insinuato nella tua corteccia pur sapendo di non conoscere l'ora del tuo mondo, il tuo tepore. Non ci incontreremo: non mi muoverò verso di te. Io che considero lontana perfino la città dove vivo da secoli, le mura della mia tortura familiare. Ho creduto di depredare il tuo verde e il tuo oro. In realtà, la Storia lo insegna, alla fine perde solo l'invasore. Ora riesco a sperare nella tua rivolta, la tua rivoluzione. Nel silenzio che verrà, conserverò una goccia, stilla impossibile da asciugare. L'unguento cura la pazzia, la genera, la nutre. L'illusione è che forse, davvero, esiste l'Amazzonia al di là del mare. Sorrido, adesso, pensandoti. Il battito del cuore anela una rima amara e nuova, ferita ancora viva.
Il non amore
Forse proprio quando comprendi meno scorgi una chiave, ed è consolazione sapere che niente si apre, nessuno squarcio di luce; di nuovo tace il corpo e solo il tempo si muove assieme al sangue intravisto in fotogrammi ingurgitati assieme a un piatto di cibo che scordi prima di averlo metabolizzato. Tra foga e sgomento, fame e apatia, diventi silenzio che strozza senza rabbia la parola, passato che non sai scacciare. E perdi il senso dello sguardo, la mano, il sudore, la voce che si insinua nella gabbia e la frantuma, bocca spalancata, schiuma di folle che sa bene quanto sia amaro il non amore.
Non sarò
Sono nato con piedi da morto. C'è chi guizza fuori sorridente e pettinato con sguardo da wind surf o da ballerino di salsa e flamenco. Io avrei fatto la gioia di Mantegna, piedi tozzi e ossuti fermi sul bordo del letto orientati soltanto al ricongiungimento con un punto in cui non sono stato e in cui, tornando ad esserci, non sarò.
Su questo treno in corsa
Su questo treno in corsa pieno di vita, tra bambini ipervitaminizzati in costante sbraitata lallazione e giovani melaninici belli e giusti con occhiali da sole e magliette approvate da Donna Moderna nella foto di copertina, io sorrido, strafatto di serotonina e sonno arretrato, e penso senza riuscire a disintossicarmi da questo inveterato vizio assurdo che se vedessero le mie ginocchia sotto i pantaloni larghi e spessi di velluto marrone scuro riderebbero più forte, oppure smetterebbero per un istante come di fronte al mistero del tempo: chilometro dopo chilometro lo stesso cielo ride o grida voragini di pioggia a prescindere dalle rotaie.
Ivano Mugnaini, nato a Viareggio, si è laureato a Pisa con una tesi sul teatro
rinascimentale. È autore di romanzi, racconti, poesia e saggistica. Scrive per alcune riviste tra cui “Nuova Prosa”, “Gradiva”, “Il
Grandevetro”, “Italian Poetry Review”, “Doppiozero”, “L’ Immaginazione”.
Collabora con case editrici in qualità di redattore e curatore di
recensioni ed editing. Cura il blog letterario “DEDALUS: corsi, testi e
contesti di volo letterario”,www.ivanomugnainidedalus.wordpress.com
e il sito www.ivanomugnaini.it .Nelle rubriche “L’ombra del vero” e "Panorami congeniali" sul sito della
Bompiani RCS,
www.bompiani.rcslibri.it/speakerscorner
, ha proposto suoi racconti e “rivisitazioni” in forma di racconto di film
e classici letterari. Suoi testi sono stati letti e commentati più volte in trasmissioni
radiofoniche di Rai – Radiouno e da alcune televisioni regionali e
nazionali. Ha collaborato come autore di lavori creativi, note e recensioni, con
diverse associazioni culturali, tra cui l’Associazione “AstrolabioCultura”
di Pisa, diretta da Valeria Serofilli. Ha presentato sue prose e liriche all’interno di manifestazioni e rassegne
artistico-letterarie tra cui “Versinguerra” e “Bunker Poetico” , e brani
letterari abbinati ad opere artistiche all’interno della Biennale d’Arte di
Venezia. Ha pubblicato le raccolte di racconti LA CASA GIALLA e L'ALGEBRA DELLA
VITA, i romanzi IL MIELE DEI SERVI e LIMBO MINORE e i libri di poesie
CONTROTEMPO, INADEGUATO ALL'ETERNO e IL TEMPO SALVATO. Il suo racconto
DESAPARECIDOS è stato pubblicato da Marsilio e il suo racconto lungo
UN’ALBA è stato pubblicato da Marcos Y Marcos. Di recente pubblicazione i
romanzi IL SANGUE DEI SOGNI e LO SPECCHIO DI LEONARDO. Tra i critici e scrittori che si sono occupati della sua attività
letteraria: Vincenzo Consolo, Gina Lagorio, Roberto Pazzi, Giorgio Bàrberi
Squarotti, Alberto Bevilacqua, Luigi Fontanella, Paolo Maurensig, Elio
Pecora, Maria Luisa Spaziani, Giorgio Saviane, Walter Mauro e altri.
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