L'ottimo Roberto Ceccarini, aka Redmaltese, continua sul suo blog l'interessante esperimento di jukebox poetico, testi di vari autori, corredati da files audio con la voce di attori o degli autori stessi, come Anedda, Guglielmin, Fabbri e alcuni "storici" come Pavese, Majorino, Pozzi, Erba. Tra i quali, per la gentilezza di Roberto, ora figuro anch'io. Potete leggere e ascoltare qui, se volete.
Non sarebbe impropro definire questa iniziativa di Ceccarini come un reading telematico, con un pubblico invisibile ma ancora piu' attivo di quello reale, se appena ha la compiacenza di lasciare un commento che sia qualcosa di piu' di un applauso o un fischio. Qui, come altrove, anche sulla pagina scritta, la poesia e' mutevole, una delle sue mille caratteristiche. Non e' mai uguale a se' stessa, neanche per lo stesso autore. Ogni volta che leggo una mia poesia, devo respingere la tentazione di cambiare qualcosa, magari una virgola (non marginale, con quello che significa in termini di ritmo), e comunque mi ritrovo a "pensarla", a recitarla con la mia voce interna, ogni volta in una maniera diversa. Penso succeda a tutti. E se succede a me, di vivere questa perplessita', immagino quale sia quella di un interprete dotato di sensibilita' testuale, che deve capire che diavolo intendeva l'autore, se c'e' dell'ironia nascosta, se un enjambement pretende uno "staccato" o una legatura e cosi' via. Bene, registrando la mia voce avevo gli stessi dubbi, tanto da credere quasi nel mito romantico della poesia dotata di vita propria. Ma piu' probabilmente era il respiro, anch'esso mai uguale a se' stesso, oppure, altra ragione assai plausibile, un tot di vanita' messa in questo nuovo modo di "pubblicarsi". In questa mutevolezza, quindi, ognuno ci mette del suo, chi scrive, chi riscrive, chi legge, chi interpreta. Insisto sul concetto di mutevolezza perche' la poesia non e' ambigua e nemmeno, in fin dei conti, enigmatica, quando riesce a trovare un canale di comunicazione aperto con chi legge o ascolta, cioe' quando diventa "usabile". Perche' sostanzialmente la poesia e' un linguaggio precipuo, polisemico, densamente connotativo. O forse perche' piu' che mutevole essa e', come direbbe Heisenberg, indeterminata, forse l'oggetto artistico che piu' risente della contaminazione dell'osservatore, del fruitore comunque definito, che la cambia nel momento stesso in cui la accosta. In questo senso sono d'accordo con chi parla della poesia come "esperienza" da vivere, da accogliere, anche quando la si debba affrontare con il cipiglio del critico.