Lento avvicinarsi del cielo
E' lui, questo cielo invernale illimitato, fragile,
Dove le parole hanno trasparenza e delicatezza di brina,
E la pelle fredda infine il suo antico profumo di foresta,
E' lui che ci contiene, nostra esatta dimora.
E noi posiamo dita più sottili sull'orizzonte,
Nella cenere blu dei villaggi.
E' forse un solo muro ed il suo muschio, un giardino solo,
Un solo filamento del silenzio in cui il tempo risplende
Col meditativo lucore della prima neve,
E' un solo ciottolo a noi sconosciuto?
O precisa curvatura del cielo, tu rispondi
Ai nostri cuori che son limpidi talvolta. Allora,
Quella che a passi leggeri procede dietro ogni siepe
S'avvicina; è l'accostarsi incessante dell'estensione,
E la sua dolcezza ecco che ci afferra. Ma possiamo aspettare,
Qui, nella luminosità che già ci unisce, avvolti
Nella nostra vita come in una abbagliante pelliccia.
Sentieri perduti
Simili agli inquieti, ai costanti velleitari
Che non avranno mai saputo scegliere una sola strada,
Tutti quelli che scorgo, mentre passo in treno,
Fuggire attraverso boschi, nella densità delle terre,
Mi sembrano ciascuno a turno diventare
Quello che avrei dovuto seguire senza dubbio alcuno.
Mi dico: eccolo, è lui, è la strada certa
Che un giorno bisognerà ritornare a prendere.
Ma subito dopo, sotto il viburno e il rovo,
Un sentiero color d'osso o d'arancia
Pronuncia la sua seducente curva alla svolta d'un boschetto,
Ed è una delle strade che mi mancavano ancora.
Poi il bordo di un canale dà un'altra risposta
A questo perpetua spinta verso la partenza.
Ma vi amo così, sentieri, liberi e deserti.
E nel mentre i binari mi tengono in disparte,
Voi finite per confondervi all'intreccio di tutte le mie fibre.
Lamento del vecchio palo
Ora grigio quanto un vecchio palo del telegrafo
Di legno, io mi torco, mi fessuro e divento sordo.
Non intendo in me il canto beatifico già più
Che fa risuonare, come d'amore, anche il cemento.
Era la musica del vento dai lunghi severi accordi
E io vibravo come il suo diapason preciso e puro;
Non era forse così talvolta la musica delle sfere,
La notte sotto il plettro lunare ed il prurito
Feroce delle stelle? - Ma , in verità, musica?
Mentre tutto esplode, scoppia, improvvisa il suo jazz
Attraverso la supernova, l'afasico buco nero,
L'ammasso nebuloso dove l'amore nasce da un eccesso di gas?
Che cos'ho dunque inteso, quando avevo un buon orecchio,
Salirmi nelle fibre dalla terra degli argini;
Quale monotona canzone ma sincera e uguale
A quella che bisbiglia l'erba e non si ascolta più?
Fermatevi almeno un po', coglioni d'automobilisti
Sempre di fretta, un istante posate sul mio fusto la mano
E poi una guancia nel punto dove il legno rimasto liscio
Vibra: vedete, se sono sordo, faccio ancora la posta
Dello spazio dove il mio filo che ondeggia flessibile ancora
Misura una montagna e pesa una nuvola, un uccello.
A lungo andare mi vado far radici nel silenzio
Ma forse alla prossima fioritura a rinverdire.
Crepuscolo
Non si vede la gente di cui non si intende voce
E quelli che si vedono hanno l'aria di illustrare il silenzio
Mentre l'uragano lancia in cerchio
Lunghi lampi muti che tremano sui tetti.
Si aspettava un sordo rotolare di tuono,
Ma niente. La signora di fronte senza rumore innaffia
I suoi pallidi fiori richiusi già per la notte
E uno straordinario silenzio regna dappertutto.
Il motore della terra forse
Si è fermato bruscamente malgrado la legge della fisica
E ancora non si percepisce la musica
Delle sfere attraverso questo silenzio d'esilio.
Bene, ch'essa ruggisca o fili il suo sussurro
All'infinito senza di noi esiliati
Tra l'alba stridente e i cieli costellati,
Nella sera insonora prima della notte oscura.
L'aurora esita
Gli alberi curvi nella nebbia immobile
Ascoltano il grido dell'uccello senza patria.
Si passa con timore per la strada sterrata:
L'alta pianura al di là più non esiste,
Sono in esodo i cespugli e le pietre.
In mezzo al giardino caduto in abbandono,
La fonte si ritira sotto l'argilla e non un filo
D'erba si muove. Ma si parla per accenni
Dietro il recinto dove l'odore si attarda
D'un fuoco umido che vaga. E' davvero l'aurora?
Nella nebbia che s'infittisce luccica la lama
Della falci lasciate sopra il prato oscuro. Tuttavia,
Cammino di buon passo sotto il grido smorzato dell'uccello
E gli alberi in dissolvenza m'accompagnano.
Giugno '44
Ora che il filo si stende e s'ingarbuglia
(E la memoria scrive con un gesso bianco),
Io ritorno indietro a tentoni, radunando
I diversi superstiti della mia lunga pattuglia.
Ritrovo la porta dai cigolii di ruggine
Che dava sul fiume dove tasto il fianco
Della mia barca; sento ronzare un monoplano
Piper Cub, e vedo scoppiare la zucca
Della luna sugli orti crivellati d'obici.
Che strana stagione, giusta per gli abusi
Dei vivi quando la morte vagava sui ciliegi.
Io remavo, coglievo per Janine in picché
Bianco - tutti i suoi movimenti erano pieni di sorprese
Nell'ombra che a mezzodì come un picché a mitraglia
Disegnava il sole.
L'uomo e il sasso
Mi piace, qui: raccatto un sasso
Qualunque. Ha già cinquecento milioni d'anni
E sopravvivrà a lungo alle razze condannate -
Alla nostra. Partire? E dove volete andare?
Tengo questo pezzo di niente nella mia mano da nulla.
Lo palpo, lo annuso, nipote alla lontana
Dei duri che per trarne del fuoco l'han battuto,
Ma resta rappreso nella sua pesante anchilosi.
Lo medito. Si riscalda. E io dirò,
Quando sentirò tuonare: "Che hai fatto per il tuo prossimo?"
- Signore, ho riscaldato questo orfano di roccia,
Da qualche parte in un campo abbandonato. Ma vi giuro:
Quando mi ha visto la tasca è lui che m'ha gettato.
(traduzioni: G. Cerrai)
TESTI originali:
Lente approche du ciel
C’est lui, ce ciel d’hiver illimité, fragile,
Où les mots ont la transparence et la délicatesse du givre,
Et la peau froide enfin son ancien parfum de forêt,
C’est lui qui nous contient, qui est notre exacte demeure.
Et nous posons des doigts plus fins sur l’horizon,
Dans la cendre bleue des villages.
Est-il un seul mur et sa mousse, un seul jardin,
Un seul fil du silence où le temps resplendit
Avec l’éclat méditatif de la première neige,
Est-il un seul caillou qui ne nous soit connus ?
O juste courbure du ciel, tu réponds à nos cœurs
Qui parfois sont limpides. Alors,
Celle qui marche à pas légers derrière chaque haie
S’approche ; elle est l’approche incessante de l’étendue,
Et sa douceur va nous saisir. Mais nous pouvons attendre,
Ici, dans la clarté qui déjà nous unit, enveloppés
De notre vie ainsi que d’une éblouissante fourrure.
In Amen (1968), poi in Amen, Récitatif, La Tourne, 1988
Chemins perdus
Pareils aux inquiets, aux longs velléitaires
Qui n’auront jamais su choisir un seul chemin,
Tous ceux que j’aperçois, lorsque je passe en train,
Filer à travers bois, dans l’épaisseur des terres,
Me paraissent chacun devenir, tour à tour,
Celui que j’aurais dû suivre sans aucun doute.
Je me dis : la voici, c’est elle, c’est la route
Certaine qu’il faudra revenir prendre un jour.
Mais aussitôt après, sous la viorne et la ronce,
Un sentier couleur d’os ou d’orange prononce
Sa courbe séduisante au détour d’un bosquet,
Et c’est encore un des chemins qui me manquaient.
Puis le bord d’un canal donne une autre réponse
À ce perpétuel élan vers le départ.
Mais je vous aime ainsi, chemins, déserts et libres.
Et tandis que les rails me tiennent à l’écart,
Vous venez vous confondre au réseau de mes fibres.
In Retour au calme, poèmes, 1989
Complainte du vieux poteau
Aussi gris maintenant qu’un vieux poteau télégraphique
En bois, je me tords, me fendille et vais devenir sourd.
Je n’entends déjà plus en moi le chant béatifique
Qui fait bourdonner le béton même, comme d’amour.
C’était la musique du vent aux longs accords sévères
Et je vibrais comme son juste et pur diapason ;
N’était-ce pas aussi parfois la musique des sphères,
La nuit sous le plectre lunaire et la démangeaison
Féroce des étoiles ? – Mais, en vérité : musique ?
Alors que tout détone, éclate, improvise son jazz
À travers la supernova, le trou noir aphasique,
L’amas nébuleux où l’amour naît d’un excès des gaz ?
Qu’ai-je donc entendu, quand j’avais une bonne oreille,
Monter dans mes fibres depuis la terre des talus ;
Quelle monotone chanson mais sincère et pareille
À celle que chuchote l’herbe et qu’on n’écoute plus ?
Arrêtez-vous quand même un peu, cons d’automobilistes
Toujours pressés, posez la main un instant sur mon fût
Et puis une joue à l’endroit où le bois resté lisse
Tremble : voyez, si je suis sourd, je demeure à l’affût
De l’espace où mon fil souple encore qui se balance
Mesure une montagne et pèse un nuage, un oiseau.
Je vais m’enraciner à la longue dans le silence
Mais reverdir peut-être à la prochaine floraison.
In L’adoption du système métrique, (poèmes 1999-2003), 2004
CRÉPUSCULE
On ne voit pas les gens dont en entend la voix
Et ceux qu’on voit ont l’air d’illustrer le silence
Tandis que circulairement l’orage lance
De longs éclairs muets qui tremblent sur les toits.
On attendait un sourd roulement de tonnerre,
Mais rien. La dame, en face, arrose sans un bruit
Ses fleurs pâles déjà recloses pour la nuit
Et partout règne un silence extraordinaire.
Peut-être le moteur de la terre s’est-il
Arrêté brusquement malgré la loi physique
Et ne perçoit-on pas encore la musique
Des sphères à travers ce silence d’exil.
Eh bien qu’elle rugisse ou file son murmure
À l’infini sans nous qui sommes exilés
Entre l’aube stridente et les cieux constellés,
Dans le soir insonore avant la nuit obscure.
In L’Adoption du système métrique, 2004
L’AURORE HÉSITE
Les arbres penchés dans le brouillard immobile
Écoutent le cri de l’oiseau sans patrie.
On passe avec effroi par le chemin de terre :
La haute plaine au-delà n’existe plus,
Les buissons et les pierres sont en exode.
Au milieu du jardin tombé en déshérence,
La source rentre sous l’argile et pas un brin
D’herbe ne bouge. Mais on parle à mots couverts
Derrière la clôture où s’attarde l’odeur
D’un feu mouillé qui rôde. Est-ce vraiment l’aurore ?
Dans le brouillard qui s’épaissit luit le tranchant
Des faux laissées sur la pelouse obscure. Cependant,
Je marche d’un bon pas sous le cri mat de l’oiseau
Et les arbres enchaînés m’accompagnent.
In Amen, Récitatif, La Tourne, 2002
JUIN 44
Maintenant que le fil se détend et s’embrouille
(Et la mémoire écrit avec un crayon blanc),
Je reviens en arrière à tâtons, rassemblant
Les divers rescapés de ma longue patrouille.
Je retrouve la porte aux craquements de rouille
Qui donnait sur le fleuve où je palpe le flanc
De ma barque ; j’entends ronfler un monoplan
Piper Cub, et je vois éclater la citrouille
De la lune sur les jardins criblés d’obus.
Quelle étrange saison, favorable aux abus
Des vivants quand la mort rôdait sous les cerises.
Je ramais, je cueillais pour Janine en piqué
Blanc- tous ses mouvements étaient pleins de surprises
Dans l’ombre qu’à midi mitraillait en piqué
Le soleil.
In La Course, Nouvelles poésies itinérantes et familières (1993-1998), 1999
L'homme et le caillou
J’aime le bas d’ici : je ramasse un caillou
Quelconque. Il a déjà cinq cents millions d’années
Et survivra longtemps aux races condamnées –
À la nôtre. Partir ? Vous voulez qu’on aille où ?
Je tiens ce bout de rien dans ma main peu-de-chose.
Je le palpe, le flaire, en très lointain neveu
Des durs qui l’ont cogné pour en tirer du feu,
Mais il reste confit dans sa lourde ankylose.
Je le médite. Il se réchauffe. Je dirai,
Quand j’entendrai tonner : « Qu’as-tu fait pour ton proche ? »
- Seigneur, j’ai réchauffé cet orphelin de roche,
Quelque part dans un terrain vague. Mais juré :
C’est lui qui m’a jeté quand il a vu ma poche.
In L’Adoption du système métrique, 2004
(i testi sono tratti da varie fonti in rete)