Giovedì, 13 giugno 2013
Una poesia, quella di Raymond Farina, all'insegna della leggerezza. Tanto leggera da apparire ad un lettore superficiale (come mi è accaduto di verificare personalmente) poco "sorprendente". Una leggerezza però che, parafrasando Kundera, serve per sopportare l'insostenibile pesantezza dell'essere e di cui non è difficile, per noi lettori italiani, trovare echi illustri nella nostra letteratura, per i suoi tratti ermetici e crepuscolari, per il suo senso dell'indefinitezza, il vago in cui il poeta non cessa di ricercare indizi di senso anche attraverso delicate metafore, quei segni e quelle cose che, come mi diceva l'autore in un messaggio, sono "enigmi che noi siamo per noi stessi", rebus di senso. Tuttavia è bene non lasciarsi sviare da questa prima annotazione: l'attenzione, ad esempio, che Farina ha per tutta una fenomenologia "minuta" della natura, per aspetti anche "atomici" che potrebbero ricordare Lucrezio più che Virgilio (qui c'è poco di "georgico", per fortuna), quel "filo su cui vibra tutta la vita", questa attenzione è tutt'altro che lieve, non è affatto svagata o romantica, è anzi fittamente meditativa e a tutti gli effetti religiosa, di una religione però in cui l'uomo non è il consegnatario del creato ma solo uno degli abitanti di esso. In questo essere "dentro" l'esistenza e l'esistente si stabilisce perciò un rapporto ontologico, per quanto ancora misterioso, con le cose. Le cose, alla fine, traggono il loro fascino dal loro lato incomprensibile, non hanno bisogno di essere spiegate, e perciò il linguaggio diventa "comune", per quanto con stupende invenzioni poetiche come "gli insetti cirillici nel sistema del ragno" o la macchia di vino sulla tovaglia che diventa, come in una surrealistica versione del quadro di Brueghel, il punto in cui Icaro si è inabissato. E' proprio questa "chiarità" del linguaggio che paradossalmente invita a ritornare sul testo, anche nel tradurlo, a rileggerlo come se si avesse sempre l'impressione che la semplicità nasconda (come in effetti è) una porticina nascosta, un varco verso la comprensione del perchè siamo qui. Con un altro altrettanto apparente paradosso la raffinatezza di pensiero e di formazione che sta dietro questi versi e che tende a non mostrarsi conduce, oltre che alla scelta stilistica felicemente "tradizionale", ad un approccio quasi anticulturale ("la saggezza è laggiù / lontana dai libri / concreta e azzurrina"). Del resto, si dice dalle nostre parti, impara l'arte e mettila da parte. Il poeta si defila, non ha da dimostrare né quel che sa né quel che è. Deve soltanto mostrarci come "restituire al sole / i suoi riflessi / solo con lo /sfiorare / la caraffa". (g.c.)
Raymond Farina - Virgilianes Virgilianes III et vous signes et choses sinnrebus de nous laissés dans les distances avec le soleil seul le vent qui avale l'espace et fait sable du sens or tout s'esquisse et nomade que suis-je sans traces IV désir quitte les cartes porte le Sud plus loin que l'Erythrée mentale phosphorescences ô migrations éclairs écailles ciels mouvants des surfaces et loin derrière au bout des voix étouffés la nuit lente une barque comme un secret que garderait la mer V simple sac disais-tu Léonard peut-être mais brûlant de l'été entêtant sur un frais drap blanc mais vivant nudité feu qu'impatiente une charnelle géométrie si la nuit s'ouvre si plus rien ne retient violences rythmes parfums VI
qui sait si j'attendais ce geste de toi qui défait les noeuds qu'avec la vie les mots ont faits ton visage bouleversé par ce destin de vents ces mouettes affolées d'être
et peut-être comme nous bouffons de fables fatidiques de drames dérisoires nouant et dénouant aimer VII
lassé de la fable dorée ou tendu dans l'énigme désirant encore d'effacer blanche la terre inconnue entre esquisses et lettres
sachant enfin la façon simple de Dieu
un fil où vibre toute la vie X
cette province sur ma voix
la blesserait un simple reflet
la frôlent colombes et symboles
puis la lumière refait l'empire des souples peupliers
sans preuves vous respirez collines
le vent désire
et vous feuilles vous consentez XIII
je connais mort ton visage d'enfant ton sommeil de signes subtils ton Egypte à côté du temps
tendresse je reste ton nostalgique écolier sur l'horizon j'écris mes illisibles hirondelles
anonyme stellaire j'affine la trace de mes traces XXII
la tendresse nous confirme avec le bleu tranquille et les poussières qui bâtissent songes et mondes
immense est le jardin
et nous craignons que se prolonge l'absence des morts XXIX
le ciel se perd dans les mouettes
la cloche compte le blanc appelle
le mur déjà rend le soleil
quel oiseau racle l'air et crépite étourneau peut-être
noir mais pur du présage et bref du bleu au bleu XXX
le même merle jaillit multiplie les jardins sonores
par la fenêtre Mozart s'envole tous les lieux tombent dans l'oubli
musique ô territoire insensé je laisserais pour toi mon apparence grave
si les mots ne mendiaient ma voix XXXII
depuis ces poussières d'enfance tu glisses facile Andalousie et moi je ne sais plus si elle est à toi seulement cette grâce au-dessus des années opaques ou si elle est aussi à la pluie des glycines à la musique qui s'échappe de tes doigts jeune fille dans la maison profonde à l'arabesque des girelles autour de noirs soleils d'épines
mais tout dans ce jardin signifie maintenant mourir ces cyrilliques insectes dans le système de l'araignée cette mouette prise à l'énigme de l'air ce merle qui dure avec nous à deux pas seulement du royaume des morts ====================== Conte d'été -------------------- V
blancs sables embrassent le bleu épais
villages chaux dévalent vers une possible mer minuscule
cette tache de vin sur la nappe
là tu vois s'est noyé Icare
ou dans une larme de son père VII
la sagesse est là loin des livres concrète et bleutée dans la paix des choses près du rideau qui s'affole
elle est aussi — quand tu vois les miettes sur la nappe — cette pensée pour les oiseaux
elle est ta façon de rendre au soleil ses reflets rien qu'en effleurant la carafe IX
déshabille son silence
sur le blanc le dépose
s'étend sur ce murmure
dehors n'est que la pluie XVII
assez de questions la nuit s'épuise sous ce trop d'étoiles
ne compte plus les morts de mars
regarde ces pierres qui glissent comme soie sur ciel
et qui nous griffent jusqu'au regret de vivre XIX
quel invisible ô quel extrême violoncelle fait musique de nous au bord de cette rumeur d'arbres
c'est dans Schubert ou dans juillet entre deux vagues ou deux élans
une chambre de laine où semble que s'achève en une haleine la vie XXII
défaire tous ces langages obstinés à nous taire
aux confins de ce corps aller depuis ce frais désert dévasté de tendresses
rouler encore enfants nos soleils insolents
et d'étincelles éclabousser les veuves loin sous le noir
les moineaux tombant des terrasses par pincées sur l'asphalte XXVI
ces brouillons sur la table une pluie de pétales sur la page « aime » a perdu son sujet emporté par cette seconde où nue tu frôles les reflets
tu voles au mystère un visage puis l'abandonnes à la lumière tout près du chat distrait par Dieu |
da "Virgilianes" - Ed Rougerie, 1986 Virgiliane III e voi segni e cose sensenigmi di noi (1) lasciati nelle distanze con il solo sole il vento che inghiotte lo spazio e fa sabbia del senso ora tutto si abbozza e nomade che son io senza tracce IV desiderio lascia le carte porta il Sud più lontano dell'Eritrea mentale fosforescenze oh migrazioni lampi squame cieli mobili delle superfici e indietro più lontano al limite di voci soffocate la lenta notte una barca come un segreto che custodirebbe il mare V semplice sacco dicevi Leonardo (2) forse ma bruciante dell'estate insistente su un fresco lenzuolo bianco ma vivo nudità fuoco che spazientisce una carnale geometria se la notte s'apre se più niente trattiene violenze ritmi profumi VI chi sa se aspettavo questo gesto tuo che disfa i nodi che insieme vita e parole han fatto il tuo viso sconvolto da questo destino di venti questi gabbiani impazziti d'essere e forse come noi buffoni di favole fatidiche di drammi derisori che annodano e sciolgono l'amare VII stancato dalla favola d'oro o teso nell'enigma desiderando ancora di cancellare bianca la terra sconosciuta tra abbozzi e lettere sapendo infine la fattura semplice di Dio un filo su cui vibra tutta la vita X questa provincia sulla mia voce la ferirebbe un semplice riflesso la sfiorano colombe e simboli poi la luce restaura l'impero degli agili pioppi senza prove voi respirate colline il vento desidera e voi foglie voi acconsentite XIII conosco morto il tuo viso di fanciullo il tuo sonno di segni sottili il tuo Egitto accanto al tempo tenerezza io resto il tuo nostalgico allievo sull'orizzonte io scrivo le mie illeggibili rondinelle anonima stellare affino la traccia delle mie tracce XXII la tenerezza ci conforta con il tranquillo blu e i pulviscolo che costruiscono sogni e mondi immenso è il giardino e noi temiamo che si prolunghi l'assenza dei morti XXIX il cielo si perde tra i gabbiani la campana conta il bianco chiama il muro già restituisce il sole quale uccello raschia l'aria e fruscia uno storno forse nero ma puro di presagio e rapido dal blu al blu XXX (*) il merlo stesso balena d'improvviso moltiplica i giardini sonori dalla finestra Mozart s'invola ogni luogo cade nell'oblio musica oh territorio insensato io lascerei per te la mia grave apparenza se le parole non mendicassero la mia voce XXXII da quei vapori d'infanzia tu scivoli facile Andalusia e io non so più se solo a te appartiene questa grazia al di sopra degli anni opachi o se essa è pure della pioggia dei glicini della musica che si fugge dalle tue dita o fanciulla nella profonda casa delle donzelle (3) in arabesco attorno a neri soli d'aculei ma in questo giardino tutto ora significa morire questi insetti cirillici nel sistema del ragno questo gabbiano preso dall'enigma dell'aria il merlo che persiste con noi a due passi soltanto dal reame dei morti ======================= Racconto d'estate ------------------ V bianche sabbie abbracciano lo spesso blu villaggi calce precipitano verso un possibile minuscolo mare questa macchia di vino sulla tovaglia là vedi Icaro s'è inabissato o in una lacrima del padre VII la saggezza è laggiù lontana dai libri concreta e azzurrina nella pace delle cose presso alla tenda che s'agita essa è del pari -quando vedi le briciole sulla tovaglia - questo pensiero per gli uccelli essa è il tuo modo di restituire al sole i suoi riflessi solo con lo sfiorare la caraffa IX spoglia il suo silenzio sul bianco lo depone su questo brusio s'allunga fuori non è che pioggia XVII basta con le domande la notte si sfinisce sotto questo troppo di stelle non mette più in conto i morti di marzo guarda queste pietre che scivolano come seta su cielo e che ci graffiano fino al rimpianto di vivere XIX quale invisibile oh quale estremo violoncello fa di noi musica al limitare di questo brusio d'alberi è in Schubert o nel luglio tra due onde o due slanci una stanza di lana dove sembra che termini in un alito la vita XXII disfare tutti questi linguaggi ostinati a tacerci ai confini di questo corpo andare dopo questo fresco deserto devastato di tenerezze rotolare ancora bambini i nostri soli insolenti e di scintille schizzare le vedove lontano sotto il nero i passeri che precipitano dalle terrazze per briciole sull'asfalto XXVI queste minute sulla tavola una pioggia di petali sulla pagina "amo" ha perso il suo soggetto trascinato via da questo attimo in cui tu nuda sfiori i riflessi tu rubi al mistero un volto poi l'abbandoni alla luce qui vicino al gatto distratto da Dio |
Trad.: Giacomo Cerrai - 2012
Note:
(1) il "sinnrebus" usato da Farina nel testo originale è termine che
unisce il tedesco "sinn" (senso) con il rebus che tutti conosciamo. Ho
ritenuto di tradurlo con "sensenigmi", allo scopo di mantenere
l'invenzione linguistica. Farina in una lettera suggerirebbe a questo
proposito: "rébus du sens (de nous-même), énigme que nous sommes pour
nous".
(2) Farina qui cita Leonardo da Vinci che, nei suoi "Quaderni",
metaforicamente allude alla pelle come a un "semplice sacco" che
contiene gli organi dell'uomo. Anche questa indicazione mi è stata
fornita dell'autore.
(3) Coris julis, colorato pesce della famiglia Labridae che vive nel Mediterraneo, nota nel nostro paese come "donzella".
(*) Mi scrive l'autore: "Cher Giacomo,la traduction peut être aussi l'occasion
d'une réécriture, comme le prouve la nouvelle version de la première strophe du
poème XXX de mes "Virgilianes" que je te fais lire:
"le même merle
jaillit soudain
multiplie
les jardins sonores"
Et en italien:
"il merlo stesso
balena d'improvviso
moltiplica
i giardini sonori"
Ringrazio Raymond. Tutto ciò a riprova delle sottili correnti che esistono tra culture e lingue. In questo caso il "jaillir", che forse era un suono, è diventato una luce e forse un colore, un uccello nero e giallo che attraversa l'aria e la perfora con il suo grido. Una diversa sinestesia, che aveva già operato nella mia testa fino a condurmi in errore.
--------------------------------------
R. Farina, poeta e traduttore nato ad Algeri nel 1940, vissuto in
Francia (dove si è laureato in filosofia) ed attualmente residente tra
l’île de la Réunion e la bretone Dinard di montaliana memoria, ha
pubblicato suoi testi in prestigiose riviste francesi e francofone
(«Sud» «Europe», «La Nouvelle Revue Française», «La Revue de Belles
Lettres», «Le Journal des poètes», «Po&sie», «Poésie présente») e
italiane («Michelangelo», «L’area di Broca»). Ha pubblicato, dagli anni
Ottanta, numerosissime raccolte, tra le quali menzioniamo: La prison du ciel (Rougerie, 1980), Le rêve de Gramsci (J.M. Laffont, 1981), Archives du sable (Rougerie, 1982), Fragments d’Ithaque (Rougerie, 1984), Anecdotes, (Rougerie, 1988), Epitola Posthumus (Rougerie, 1990, con la quale ha vinto il Premio Thyde Monnier nel 1991), Sambela (Rougerie, 1993), La sagesse des sables (Rougerie, 1996), Exercices (L’arbre
à paroles, 2000). Ha tradotto, dall’inglese: S. Dubroff, D. Levertov,
E. Pound, J. Rothenberg, W. Stevens; dallo spagnolo: M. V. Atencia, L.
A. de Cuenca, C. Janes; dal portoghese, N. Judice, C. Nejar, A. O’Neill,
A. Osorio; dall’italiano: A. Anedda, M. Bettarini, V. Lamarque, V.
Magrelli, G. Raboni, A. Zanzotto e, in collaborazione con B. Farina,
Margherita Guidacci e Vittorio Sereni.
|