Lunedì, 5 novembre 2012
Pubblico qui una nota di Daniele Poletti come introduzione a pochi testi di Augusto Blotto, poeta magmatico, tellurico, anzi diluviale, fin troppo sconosciuto nel nostro paese. Con la prospettiva, spero, di poterci occupare quanto prima in maniera più diffusa di questo "radicale [capovolgitore] del conosciuto, dell'atteso, del normale", secondo le parole di uno dei suoi estimatori. Un poeta che mette alla frusta non solo il linguaggio e la sua capacità eidetica, ma anche il nostro comfort di lettori. (g.c.)
Per Augusto Blotto (Torino, 1933), sono stati usati ormai innumerevoli e pertinenti epiteti e aggettivazioni, da critici come Stefano Agosti, Giorgio Barberi Squarotti, Sergio Solmi, Giovanni Tesio, Sandro Montalto, etc. E, se conoscendo la persona e l'opera, la definizione più immediata e calzante è quella di "uomo di sfide e dismisure" (Giovanni Tesio), vogliamo qui introdurre, in una visione diacronica, la figura di Blotto come uno dei grandi "esclusi" della letteratura italiana. Si badi bene, nessun tono commiseratorio in questa affermazione: Blotto, a un certo punto del suo itinerario poetico, si è autoescluso dall'ufficialità della cultura; ma il resto è stato fatto dai grandi poli di aggregazione intellettuale (neoavanguardia inclusa e su tutti), che hanno proceduto su sentieri ben definiti, rispondendo a un'idea quasi preordinata di ricerca, e non rimanendo in ascolto (o avendo timore di farlo) di una certa eterodossia letteraria di cui Blotto fa parte. (Per inciso si può ricordare anche il caso di Alberto Faietti o per aspetti diversi di Lucio Saffaro e Emilio Villa). Senza timore di esagerare si potrebbe affermare che Augusto Blotto sta alla poesia come John Cage sta alla musica: c'è un prima e un dopo di loro. Senza sottrarre importanza a ciò che ci hanno lasciato Zanzotto, Cacciatore, Ruffato, Guido Ballo anche (da tornarci su), per citarne solo alcuni, ma tentando di darne un pò di più, di importanza, al Blotto innovatore e "trovatore" della lingua poetica italiana. Sì perché come ama ricordare l'autore "nella mia poesia non cerco/ricerco, trovo". La poesia di Blotto è un canto molto articolato di ciò che viene trovato sulle strade percorse in metri e chilometri. Una topografia del reale forgiata nel crogiolo di soluzioni linguistiche inusitate, inaspettate, nella gamma quasi sterminata dell'invenzione espressiva. Per forza d'urto, di fronte ai versi blottiani, saltano le convenzioni e le convinzioni, perché ci si trova di fronte a qualcosa di inaudito. La spericolatezza sintattica si lega a forme idiolettiche -sempre però riconducibili al dizionario, mai autoreferenziali- che cercano strenuamente di individuare in modo più preciso il senso del percepito; verbalizzazioni, sostantivazioni di parti recondite della lingua, ma anche dell'inconscio, creano un'amalgama musicale dodecafonica, più spesso atonale, che fa dell'opera di Blotto una delle espressioni più avanzate della ricerca (in questo caso va detto) poetica. Il contributo decisivo a questo stato della poesia è dato dalla struttura instancabilmente simultaneista, il montaggio intersecato di percezioni attraversate, che porta alle estreme conseguenze la tecnica del cut-up e della visualità della scrittura, proprio perché attuata secondo un'architettura rigorosa e post-endecasillabica. Il risultato non risente di alcun intellettualismo, l'uso frequente del registro basso e comico e di scelte lessicali "impoetiche", contribuiscono alla determinazione dei versi di Blotto come una registrazione quasi pedissequa del reale. Raymond Queneau insegna che esistono 99 modi diversi per raccontare la stessa cosa, probabilmente Blotto è il n°100: modo del non dire, suggerimento, evocazione, traslazione. Tutto questo concentrato in 60 anni di scrittura e quasi 20.000 pagine di poesia, tra editi ed inediti. "Uomo di sfide e dismisure", appunto.
daniele poletti - novembre 2012
da "Ragioni, a piene mani, per l' "enfin!"
Che mai i paesi si siano immaginati visti così bene, azzurri in lor cruna e armatura, come dall'entusiasmo fiordaliso in lunghezza di chi vi parla - radiocronaca contemporanea, intimissima di contenta certezza di bassezza - custode, in quantità pascolatoria, di numeri, pendori e aguglie attesi tosto dal lacuale, eh'è spazzato in tosoni e vialetti, grigio glomero dopo tosto la pioggia che nutre i verdi a gran matassa (sporchi appena in cenci di virgole, il diaspro sommesso, lo stravento, dell'arruffo temporale)
Quell'io che vi ho veduti, quasi imperio, non ho imbarazzo a abbandonarvi (ceci di rii; ombra circolare sotto: un olmo? quercia? non abbado a tali inferimenti non so quanto legittimi, assurement pàtula (schienale) per quanto le membra ricordino (essudato); sormonto di colli dichiarati scarsamente visibili per lor intensità amianto (il massimo della sfusa soddisfazione è in tale pronome); velocità che scarta perché greche- -tte di margini sommin questi medi colli concomitanti a fruir acrocoro se si dovesse misurare coi millenni il poveraccio sincero, contritosi su sé, come un grembo sa ben fascina (onice che scorre sul riposo castagno, prato ripido pulito, accomunanza di tempo nel chiamarlo che sia qui, formicolo celestino del presente marron, borsine tutte allineatamente scompaginate, effetto del rugghio di una potenza poco presa sul serio ma che non per questo non russa chiotto chiotto i suoi barbierumi di non dimentico e chissà un giorno intervengo)
Abbandono che, se figgesse il costato, presto l'incuranza della visione (prateria? atleticità? angolo con ritagli ferrosi?) successiva sventante bòcca a un porto d'atterrissage - stelluzze di lamiera -; perché stupirsi? vorrei semplicemente -che vi avvicinaste. Ve ne accorgereste (tèndine? piede azzoppato? acqua lurida in feltro? ma no, oggi o poi, solo una manata che vi sorpassi o tutti cari !) Bah, troppo bello, terra formata da cose, per lasciarti cose che adagiano lunghezza, o esperar di cilestrino, pensatrici cose di terra, o addirittura di terreno, sgombre come in limpido disposte ad accolare aria aguzza Son qui a testimoniar il vacillìo dei buon suoli? Posso affermare che in realtà il lor solido non ci pensa neanche a schienottare? gli basta la sicurezza, come... a lui? Questa capacità di essere mi pare strano non averla tutta svoltata in esperir composto, quell' attaccamento al corretto che il nuvolo ci materna, guancia di ponticello tipo Giverny se inventassi posarsi peluzzi di nebbia ferrea sulla gioia che un soppiattar di lontra ci riporta in comune a quella cambusa a tentoni eh'è il nostro cervello di cui non saprei né dir male se non spalancando le braccia
in TGV dopo il Morvan giugno 2009
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da "Basta, buon continuare"
Questa faccia terminerà, è noto, di guardarmi bonaria, effervescente, o impalmata di barba-fiacco a sera d'albergo. E allora tutto sarà finito anche per voi Come non sarebbero avvenuti neanche tanti lutti, a miei cari, se fossi stato con loro
Verde surpluato d'api, immergimi nel ditone da manicotto delle tanto carpate valli! Non vi è nulla in comune fra il sepolcro quarantennale del mio inizio, commosso, e questa recisità d'erba, materna come la torta vaccaie, iridio di fiori cribretti nel sottile acciaiare della vaniglia o lumacone tra vetri, cupo essendo il cespo E le vòltole morbide, del reale sottoposto a scadenza dolce, di temporali pomeridiani, marron come un granetto, un glomerare; scrosciato dal nudo nitido, esse, matrone, maioliche, madonne, fienano o falciano pianissimamente, rotolando quasi non si avverta quasi, in un rosolo di romaneità smeraldo, gonfia e per tituboni trascinante di rastrello nel vis del vivo di liberazioni persuase Una schiena modello assunse la forma del me materna studiosa in quei verecondi tempi, zelanti e vispi: l'arrivo al paese della fantesca in prunelle d'occhi seri smagrì il fianco, laterizio il lavoro, lingotti celesti di assiedersi in paradiso nocchiero e grèmbico stabilirono la lontananza dalla città di studi, di successi, il ritornc intontito a palla di dito, assiduamente sempre pensato in lacuale atmosfera di briglia e ammiraglie, affezionatissima ai silenzi di sera: ai proponimenti, da masures (il vetro rotto fra lumaconi e ortiche)
Chambéry, Val Romey poi Prazzo giugno 1989
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da «Veramente quando»
CON PENSIERO AI NUOVI, PER FINE oppure NON FACCIO LA GUERRA, FACCIO L'AMORE oppure anche I GIOVINCELLI SE AFFRONTANO HENRY MILLER o anche PENSANDO A BELLOCCHIO (UNA SUA INTERVISTA) oppure PRIMA IO, POI...
Concentra la rettilineità dei voleri a lungo, topografici, la persione felice come di stagni, di noi or or prossimi all'indomani in pianura: così pelurie arancio, strisciate, sulle auto mastice, una penombra.
Un passo inclaverà soldelli, proseguendo, batterà i leggeri vetri dell'essere sospeso, come una lingua grossa di felice: forse un riunire e soldato tenueran dei voleri. Natale o giallastrerie di pianure di latte, in questo angolo poco incline a [com]portarsi non schivo, forman il dormire appuntito di tempia, penso, e indirizzato di mento comunque, a perplessare l'impaziente; un turchese d'odore che cade, un riccio di carbone sulle vie prospettantisi il notturno, fumate di quella aerovoltura di "invio!" da trecciar portici o zuccheri, una silentìa apprensiva, e zingaresco il suo viola di saltoni, nudità da cavoli del pompelmino di bistro Feud'occhio bello, d'anitra e non stupire! Olmi a neve donanti il gratto d'apprezzo alla torre; a me capiterà, scoppiettìo d'infan'festa, di andare verso, bruciori chiusi a ombrello d'un nullo zucchero alle strade fangate daran quel po' di toro che sempre è ammesso nel bilioso azzurro d'un progetto, ritondino e il suo verde gradua sopra asfalti, come far un sogno boario, avvicinarsi alle corti e aver notte, oppure aver percorso di latte. Qua la - cioè dir tutte le cose, grossolane appuntino - mano, traduco questo dirmi; ondate di credere al rovinato un futuro cibo grassamente medagliatore, con lo scopo lucente del messia focaccia su pianure spronano a apprivoiser, ed i gomiti grettini come l'argilla fa una scimmia, o battìo d'occhi alla piana distanza,tutta cune nere, odorini pastellati, oche e rotaie molli: un farsi sempre più cattivi, come è la sincerità e il lucente, negli uomini che sono scampati e pensano al minestrone di lor lagrime e gloroso prossimo, suicidio ad esempio, o vagabondaggio, giovani come uno [che] dimentichi la giacca, sempre freddi: la luna meravigliosa di cibaccio e liquo rappresenta l'intensità malvagia e facente per finta paraggi alacri con le mani e allegri, tutta la storia dell'indipendenza, erettìna e credula giustamente al sé per metro, che si diffonde in futuro, problemi suscitando, come giudicare un conflitto. Problemi misteriosi perché un poco stupidi alla prima apparenza, come miglia lontane questo conflitto comporti, una radentìa grigia che si dà il caso (per noi) di osservare con cruccio attentivo, per i suoi mestoli di ben pochetto, e appunto per il semplice lagrimone o cibo fatto a forma di foglia che involva palla di cazzo con cui vociano un arancione di andar vicini quasi senza menti - il mento dell'interrogativo o dell'annuso - e retri, il troppo intelligente, per i nostri gusti, d'una rivoluzione esigente discutere, uccellona candida
Retriva e scurrile ribellionuccia mia, guarda i paesaggi, più o men ci valiamo, (farsi nascere oppure condannarsi-dispero, tutti e due i sensi) eh già, questo è lo sgrondo di parola che noto nella lagrimona della rivoluzion accentrata, minestrosa, appoggiata sulla franchezza.
Solerette, Savigliano dicembre 1966
testi tratti dalla pubblicazione "A. Blotto - 5 poesie inedite" - Altroche, le Edizioni di [dia.foria, che ringrazio. Altri materiali su Blotto su Dia.foria. Il carattere courier new è lo stesso utilizzato da Blotto nei suoi dattiloscritti
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