Margherita Rimi - Era farsi (Autoantologia 1974-2011) - Marsilio 2012
Di Margherita Rimi avevo pubblicato un paio di anni fa qualche testo tratto da "La cura degli assenti" (v. QUI),
silloge rappresentata anche in questo libro, antologia di sè e quindi,
si suppone, bilancio di un lavoro poetico protratto negli anni, dagli
anni '70 ad oggi. Bilancio anche ovviamente di vita, con una parte
preponderante riservata al lavoro di Margherita, quello di medico e
neuropsichiatra infantile che si confronta (e non può che subirne anche
sentimentalmente il segno) con il mondo dei bambini. E, come si conviene
in una "autobiologia", con il mondo del sé bambina.
La poesia di Rimi prende il vissuto e lo sveste. Questo avviene ad
esempio dal punto di vista del linguaggio, costruito su un lessico piano
e semplice, per lo più paratattico, a volte insistito, scelto in
ragione della sua funzionalità, specie quando si tratta di tentare di
trasmettere l'articolazione del pensiero, perplesso o doloroso, di un
fanciullo che, appunto, insiste per essere ascoltato. Contemporaneamente
lo vela, perchè questa non è poesia dell'oggetto, non vi sono "cose",
ma semmai dell'impalpabile, della sensazione, e forse - se non
dell'indicibile - del difficile da dire compiutamente. E' inevitabile
che non sempre il pensiero traspaia, stante che il linguaggio, specie
nei testi brevi, perfettamente asciugato perde un po' quella pluralità
di senso che tanto aiuta il lettore. E insieme si torce, si annoda o si
chiude in certe forme ricorsive che Rimi sembra amare, siano esse
anafore ("come finisce / se sui binari è... / come finisce se... / come
finisce se... / come finisce se... / come finisce se... ") o anelli ("Ti
tocco / e mi credo / Ti amo / e mi amo / mi tocco / e ti credo"), tanto
da farne una cifra stilistica, efficace quando si vuole tratteggiare il
linguaggio ansioso dei bambini, meno in altre occasioni.
Ma, a parte questa considerazioni, Rimi ha chiare le sue coordinate.
Della sua storia professionale da cui decanta (e filtra, perchè a volte
il distacco è necessario) piccoli quadri dolorosi e forse un po'
rassegnati (v. oltre Su due rotelle); della sua tradizione
culturale (e non è un caso che una delle epigrafi alle sezioni sia il
teorico della tradizione T.S.Eliot) che non è solo negli espliciti
Pirandello o Agota Kristof o Ana Blandiana, ma anche in più nascosti
accenti ungarettiani o montaliani, in quello che mi è parso un Bernard
Noel degli Extraits du corps ("Dalla trasparenza / delle mie
ossa / guardo / il mio bacino") e perfino in un sorprendente indizio di
Oliver Sachs (v. oltre la bella Quando l'albero era l'albero); della sua sicilianità (niente affatto un concetto astratto) che si esplica in testi leggeri e traforati, qui non presenti.
Il filo rosso del libro è il divenire, non solo l' "era farsi", ma
anche probabilmente quello che ancora "accade", la domanda (e da qui
forse il bisogno di una autoantologia) se l'infanzia è passata, se non
passa mai, se è stata fissata o forse esorcizzata dal lavoro nell'infanzia
degli altri. Se è degli adulti "spostare il tempo". Se è possibile
distanziarsi dall'altro, anche l'altro anagrafico fuori e dentro di noi,
il più debole fuori e dentro di noi, il "gemello". Domande importanti, che rimandano
ad una inquieta coscienza dei "grandi". L'obbligo, anche in poesia, è
principalmente uno: "Abbiamo una regola molto semplice: il tema deve
essere vero" (Agota Kristof).