Dire che Vincenzo Della Mea è poeta appartato è decisamente un understatement. Ma non ha importanza.
Ogni rara volta che leggo qualche suo testo rimango colpito dalla leggerezza della sua poesia. Che è tuttavia pensosa, cioè capace di appiglio per una riflessione quasi mai solo personale, offerta con la souplesse di un linguaggio non artefatto,
che mi ricorda tanto la poesia anglosassone contemporanea, e che
potremmo definire brevemente come apollineo (non dimenticando infatti la
cultura scientifica e razionale di Vincenzo). Riflessione, si diceva:
nascosta (e rivelata) nei piccoli fatti, nella casualità delle cose che
inquieta perchè possibile prodromo di catastrofi, negli atti
apparentemente marginali che chiosano eventi ben più drammatici come la
morte, perfino in quell' innominabile (o forse indicibile) che è
la molla (quante volte l'ho provata anch'io) che ti spinge ad accendere
la luce per appuntare qualche parola che forse diventerà dei versi o
forse no. In fondo non ha importanza quale occasione determini l'esistenza di questi versi, proprio perchè hanno questa riconoscibilità nei modi e nei temi,
in cui il lettore - come ho avuto modo di dire a Vincenzo in altro momento - "scopre" quello che già sa, o che non sapeva di sapere.
Tracciato: Lug 22, 13:10
Tracciato: Lug 22, 13:10