Lunedì, 16 maggio 2011
15/5/2011 in margine a una lettura a Pisa (Inglese, Matteoni, Mazziotta, Montieri, Simonelli). Suggestione di fondo: l'immaginazione batte la realtà non ostante l'inferiorità numerica. Vince insomma la suprema finzione, e mi piace ricordare che sono tutti concetti
di quella figura mitologica, mezzo assicuratore e mezzo poeta, che fu
Wallace Stevens. In altre parole la poesia che passa, o in questa
lettura è passata per me, non è tanto quella che descrive o ricorda o
rimpiange, sia pure nei modi di volta in volta istrionici o teatrali o
lirici o comici o surreali o linguisticamente "nuovi" , una realtà o una
storia; non è tanto quella che descrive una "prossimità" (concetto - introdotto da Inglese - che certo vuole significare molto di più, più intensamente, e credo di averlo capito) con le cose o la storia, anche personale. Ma è quella che la reinventa, o la inventa di sana pianta,
inventa un ricordo che non esiste o una delle infinite infanzie mai
vissute o una storia o una cosa che avrebbe potuto esistere (cosa, non oggetto, direbbe Remo Bodei), che non registra una piccola epifania ma è una epifania, meglio ancora una agnizione,
un riconoscimento di un territorio (la geografia non c'entra), un
rovesciamento della prospettiva. Sì. lo so, non è facile da capire,
bisognerebbe fare qualche esempio. Ma non lo farò, tanto si è capito chi
mi è piaciuto di più.
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