Venerdì, 13 agosto 2010
Statisticamente, almeno stando a quanto apparso su Poecast l'aggregatore poetico di Vincenzo Della Mea, i coccodrilli poetici di Luciano Erba, scomparso il 3 agosto scorso, sono stati tre. Coccodrilli in senso lato perchè nessuno dei tre compiange o santifica, o include o esclude Erba in una qualche corrente o temperie. Che ci si ricordi dei poeti solo quando muoiono è un fatto e non una colpa imputabile a qualcuno. La colpa è semmai di scordarcene quando sono ancora vivi, non riuscendo ad attribuire ai dimenticati nemmeno un valore di tradizione da far saltare allegramente. Si può dire che Luciano Erba non appartenesse nemmeno alla tradizione, almeno a quella italiana, forse per via della sua intensa frequentazione di traduttore e studioso della letteratura francese. Era semplicemente quello che si definisce, con un frusto luogo comune, un poeta, o meglio un intellettuale (nel senso che Eco ritorna a dare al termine), appartato. Secondo Marco Forti, "a differenza di molti coetanei più vocati alla sperimentazione - da Pasolini a Zanzotto, all'ultimo Giudici - Erba al massimo travolge la realtà piccolo borghese e vetero cattolica in cui è condannato a vivere, col fervore quasi settecentesco dell'immaginazione, della fantasia che vola a mezz'aria". Guido Guglielmi e Elio Pagliarani, invece, nel loro da tempo introvabile "Manuale di poesia sperimentale" (Mondadori, 1966), tentano di ascrivere Erba a una "poetica dell'espressione" (cioè una poetica dei valori linguistici piuttosto che degli elementi semantici della lingua) contrapposta o comunque distanziata da quella della comunicazione, cioè dei significanti e dei significati. Eppure anche rispetto a questa poetica Erba è periferico: secondo P.V. Mengaldo, Erba assume "questa posizione di erede disimpegnato di un linguaggio in via di esaurimento che sta all'origine del dono maggiore di questo poeta, un'eleganza naturale e noncalente, ottenuta senza alcun apparente lenocinio formale e per pura evidenza visiva, quasi da decalcomania, delle immagini. Press'a poco come il coetaneo e conterraneo Risi, Erba utilizza in direzione realistico-gnomica il filone seccamente epigrammatrico dell'ermetismo (specie Sinisgalli, del resto influente su tutti i lombardi), seriando le immagini in piccoli racconti essenziali". A mio avviso secondario poi che lo si accosti a Prévert, per quanto "filologo e lombardo" (Anceschi) o a un semplice tardo epigono del montalismo di quegli anni.
Autunnale
Seduto sulla panchina di un parco di una città popolosa di operai senza rivoluzione come quando in Crimea come quando al tramonto non mi va più di partire resto in uno squarcio di giallo di un viale ghiaioso ma chi passa si accorge di questo odore di fuochi lontani?
Exodus
Tra spigoli e sporgenze in alpe o in appennino a caccia di riflessi perseguo altro cammino il sonno tra due rocce di un uomo affaticato al valico tra i denti la lingua rallentata pareti di durezza, elleboro, attraverso più nero del mantello più largo del cappello intonaci rosati lunghissimi paesi di donne che al mattino sorreggono le scale agli uomini del fiume che salgono sui tetti.
Altrove II
Viaggiatore che guardi il tuo treno in corsa tra le risaie affacciato da un vagone di coda in curva tra le robinie, sei in fuga lungo un arco di spazio?
o immobile guardi lontano più lontano, da una piega del tempo se il sole che ora declina (il verde è un trionfo di giallo) si arresta ai tuoi occhi pavesi?
Viaggiatore di fine giornata di collo magro, di fronte stempiata!
Altrove III
La vecchia locomotiva di Voghera arrugginisce ancora sui binari (che siano versi di cantautore?) pure vorrei trovarne di altrettali per dire luoghi-momenti per l'ora del professore di ginnasio che dà ripetizioni di latino tra sassifraghe e frasche in una villetta con giardino per l'ora del tè dei veterani a turno vicino al freddo dell'inverno che da queste parti comincia a farsi sentire già dopo la Madonna di settembre.
Rinuncia al titolo di un mio volumetto di versi
Agli inizi degli Ottanta forse in vena di magia battezzai Nastro di Moebius un mio libro di poesia
altri titoli consimili ma d'un ambito più fisico mi proposi destinare ad un opus metafisico
fu così messa da parte sia la vite di Archimede sia, e non senza esitazione, eh sì, la fontana di Erone.
Ecco ora il nuovo libro che un'azione di disturbo m'impedisce intitolare Gli emisferi di Magdburgo
io non so se in queste cose vai la norma del brevetto fatto è che un noto autore si è appropriato il mio idioletto
non è un grigio pennivendolo ma un semiologo avvertito e se gli contesto il Pendolo dirà, sai, ho decostruito.
Rincorrendo Vittorio S. sulla strada di Zenna
I vecchi il fischio del treno lontano in corsa nella pianura lo credevano un segno di maltempo se passava una nuvola sul sole ecco, dicevano, s'annuvola il Signore. lo questi brividi di abeti prima che dalla valle venga il vento io questo tremito di foglie dico è un messaggio, qualcuno lo coglie.
L'acquerello
Catecati Catunza Caterina che figlia sei? bravo chi l'indovina. Per caso guardavo il tuo acquerello nella stanza che dà sulla terrazza ma il vetro non rifletteva che il maltempo soltanto foglie e nuvole al vento (e le tre ciglia di smeraldo, roseaux?). Padre amoroso che presti i tuoi sogni le figlie vanno lungo le stagioni.
L'ipotesi circense
Ma dove siete Rosencrantz e Guildenstern? dove pause, entractes, ore vuote? particelle del nulla se foste voi a possedere la lampada di Aladino se figuraste la morte dalle labbra opache quella sul viottolo d'erba ingiallita dello sguardo dai vetri: una spallata (ma la posta non è appena arrivata?) Comparse, interludi insignificanti forse è grazie a voi che non cade il Funambolo.
Verticale/Orizzontale
E se tu fossi tenuto in osservazione dal gran Ricercatore che volesse vedere come si comportano le sue creature messe in situazioni imprevedibili perfino per lui che sa tutto per definizione? Ci sarà anche quella nel mio altrove la montagna di fronte nella luce il tramonto era dietro valli ad ipsilon mi appoggiavo a una costa di monte io, grande come quel monte.
Per un lettore del terzo millennio (rileggendo il Foscolo)
Se un dì la mente volgerai curiosa di remote vicende, a questa trista consunzione di secolo che è il nostro dal rinnovato mille, buon terricolo, abbi guardo pietoso a uomini e fatti di età che fu stolidamente irsuta. Mai tanto lungi dal suo ben fu l'uomo cui fine fu allor viver da formicola l'uno agli altri conforme se a occidente eguali gli altri all'uno se ad oriente. Pietà, non altro, per quei morti viventi che illuse vana speme d'avvenire, sì che ignari d'istorie e spregiatori di padri quanto a lor tanto più vivi, fabbri di lor sventura, fur sospinti da culla a bara in mondo piatto e spento. Dal nulla al nulla passaron per il nulla volevano esser uomini fur larve ambirono di far quadrare il cerchio ma in luogo di quadrati ottenner rombi pietà per lor non lacrimati zombi.
LOMBARDO-VENETO
Le donne al capoluogo scese a servire in locande di lungofiume (è un fiume verde scorre tra i sassi sotto lunghi balconi di legno) le donne un tempo brave come i preti nell'andare in cerca di funghi con passi segreti sulla montagna ora spolverano i vetri viola e gialli sulla veranda, le teste di capriolo e un tavolino da gioco nel vestibolo sapevano del cielo stellato stanotte a un abbaiare di cani all'alba già preparavano il bagno a un viaggiatore, di legno di castagno era il fumo entrato nel soppalco ridevano e che odore di bosco! Ricordo che ho letto su un giornale che le donne quaggiù sono le vittime della rivoluzione industriale.
TABULA RASA?
È sera qualunque traversata da tram semivuoti in corsa a dissetarsi di vento. Mi vedi avanzare come sai nei quartieri senza ricordo? Ho una cravatta crema, un vecchio peso di desideri attendo solo la morte di ogni cosa che doveva toccarmi.
Gli ireos gialli
I ragazzi partiti al mattino di giugno quando l'aria sotto i platani sembra dentro rinchiudere un'altra aria i ragazzi partiti alla pesca con un'unica lenza ma muniti di un paniere ciascuno a bandoliera in silenzio ora siedono sul filobus avviato veloce al capolinea e il sogno rifanno che Milano abbia azzurre vallate oltre il Castello dove saltino i pesci nei torrenti. Sui prati rimane un po' di nebbia la tinca nella sua buca di fango ricomincia a dormire. Mattiniera la carpa perlustra attorno ai bordi di un tranquillo canale. La carpa è astuta e non abbocca mai. I pescatori non avranno fortuna. Ma risalendo i canali e le roggie, di prato in prato, di filare in filare, arriveranno i ragazzi dove è fitta la verzura dei fossi, dove gialli sono i fiori degli ireos e come spade le foglie tagliano fresche correnti sotto l'ombra dei salici. Arriveranno fino ai fiori lontani i pescatori senza ventura i ragazzi in gita nella pianura!
La Grande Jeanne
La Grande Jeanne non faceva distinzioni tra inglesi e francesi purché avessero le mani fatte come diceva lei abitava il porto, suo fratello lavorava con me nel 1943. Quando mi vide a Losanna dove passavo in abito estivo disse che io potevo salvarla e che il suo mondo era lì, nelle mie mani e nei miei denti che avevano mangiato lepre in alta montagna.
In fondo avrebbe voluto la Grande Jeanne diventare una signora per bene aveva già un cappello blu, largo, e con tre giri di tulle.
Don Giovanni
La Nene ha un gran cappello a sesti di piquet e colorati sopra lamponi e raisinet. Per me è un gran gelato servito con la frutta ma non si dica a Nene che nel mese di agosto le starò sempre accanto per quel cappello bianco.
Caino e le spine
Era mattina, erano le tre quell'aria non aveva coscienza. Ti offrivi al primo fresco e perché? cani da guardia, ore, perché? perché te stesso? La ghiaia in strada si faceva chiara la fontana rideva tra i bossi intorno erano cose molto femmine disinvolte ad esistere. Passavi il filo spinato senza scarpe rientravi al convento.
Vanitas varietatum
Io talvolta mi chiedo se la terra è la terra e se queste tra i viali del parco sono proprio le madri. Perché passano una mano guantata sul dorso di cani fedeli? perché bambini scozzesi spiano dietro gli alberi qualcuno, scolaro o soldato che ora apre un cartoccio di torrone o di zucchero filato? Ottobre è rosso e scende dai monti di villa in villa e di castagno in castagno si stringe ai mantelli accarezza il tricolore sul bungalow nel giorno che i bersaglieri entrano ancora a Trieste. Tutto è dunque morbido sotto gli alberi presso le madri e i loro mantelli aranciati la terra, la terra e ogni pena d'amore esiste altra pena? sono di là dai cancelli: così le Furie e le opere non finite.
Ma queste non sono le madri io lo so, sono i cervi in attesa.
Gli anni quaranta
Sembrava tutto possibile lasciarsi dietro le curve con un supremo colpo di freno galoppare in piedi sulla sella altre superbe cose più nobili prospere cose apparivano all'altezza degli occhi. Ora gli anni volgono veloci per cieli senza presagi ti svegli da azzurre trapunte in una stanza di mobili a specchiera studi le coincidenze dei treni passi una soglia fiorita di salvia rossa leggi « Salve » sullo zerbino poi esci in maniche di camicia ad agitare l'insalata nel tovagliolo. La linea della vita deriva tace s'impunta scavalca sfila tra i pallidi monti degli dei.
Le giovani coppie
Le giovani coppie del dopoguerra pranzavano in spazi triangolari in appartamenti vicini alla fiera i vetri avevano cerchi alle tendine i mobili erano lineari, con pochi libri l'invitato che aveva portato del chianti bevevamo in bicchieri di vetro verde era il primo siciliano della mia vita noi eravamo il suo modello di sviluppo.
I testi sono tratti da varie raccolte, antologie e riviste, tra cui "Poesia", il citato "Manuale di poesia sperimentale", "Poeti italiani del Novecento" di P.V. Mengaldo
Nota: le poesie appartengono a periodi diversi, ovviamente. Le più vecchie in questa piccola antologia sono "Lombardo Veneto" e " Tabula rasa?". Il Vittorio S. che il poeta rincorre sulla strada di Zenna è, va da sè, Vittorio Sereni, mentre il riferimento nell'ultima strofa di "Rinuncia al titolo di un mio volumetto di versi" è ad Umberto Eco e al suo "Pendolo di Foucault".
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