Lunedì, 21 giugno 2010
Poesia e verità
A Carlos Marzal
Nella natura non c’è niente di malinconico assicurava Coleridge. Sono uscito a guardare tra le nuvole quiete una luce simile alla luce triste che scrivono i poeti. Lo splendore solenne e ripetuto del tramonto al coprire l’aranceto è tutto quel che c’era. Si celava il sole che più volte hanno descritto le poesie che negano quanto sostenne Coleridge, ma il cui profi lo inoffensivo e nobile ho potuto osservare, e non era uno spento cristallo di pena.
Poi ho poggiato i miei occhi sopra alcune più semplici presenze, nel caso vi si trovasse l’alito estinto che offusca le cose essenziali della natura, a cui concede un dono oscuro, una verità ombrosa, già cantata: né nella vegetazione umile, né nelle braccia immobili dell’albero, né nelle pietre —che sono il tempo puro—, né nella casa in rovina dove si annidano gli uccelli, ho visto nel suo dominio la malinconia.
Perciò sono tornato dove ero, persuaso, sereno, e al tempo stesso avvolto interamente nella nuova ignoranza che questa certezza tesse, perché ho visto che nella natura niente è malinconico finché non la pensiamo. Chi la contempla ha, forse come Coleridge, la sola ansia d’essere testimone muto del suo muto fragore, ma nel considerarla, nel trattenerne la luce, si apre lì, irrimediabilmente, nella coscienza, l’esausto fiore mentale della malinconia.
Poesía y verdad
A Carlos Marzal
En la naturaleza no hay nada melancólico, aseguraba Coleridge. He salido a mirar entre las nubes mansas una luz semejante a la luz triste que escriben los poetas. El resplandor solemne y repetido del ocaso cubriendo el naranjal es todo lo que había. Se ocultaba el sol que tantas veces han descrito los poemas que niegan lo que sostuvo Coleridge, pero cuya silueta inofensiva y noble he podido observar, y no era un apagado cristal de pesadumbre.
Luego he puesto mis ojos en algunas presencias más sencillas, por si estuviera en ellas el hálito extinguido que ensombrece las cosas esenciales de la naturaleza, que les otorga un don oscuro, una verdad umbrosa, ya cantada: ni en la vegetación humilde, ni en los brazos inmóviles del árbol, ni en las piedras –que son el tiempo puro–, ni en la casa ruinosa donde anidan los pájaros, he visto en su dominio a la melancolía.
Así que he regresado adonde estaba, persuadido, sereno, y a la vez envuelto enteramente en la nueva ignorancia que esta certeza teje, porque he visto que nada es melancólico en la naturaleza mientras no la pensamos. Quien la contempla tiene, acaso como Coleridge, el sólo afán de ser testigo mudo de su mudo fragor, pero al considerarla, al detener su luz, se abre allí, sin remedio, en la conciencia, la exhausta flor mental de la melancolía.
De "En la estación perpetua" 2000
La stagione perpetua
L’inverno se n’è andato. Che cosa avrò perduto? Che cosa è scomparso, con lui, della mia coscienza?
(Questa preoccupazione —sicuramente assurda— di conoscere quello che ci sfugge, mi costringe a mutare l’aria fredda in pensato vetro sulla mia pelle pensata, e a convertire la gloria rattristata degli umidi giorni invernali nell’impossibile luce che il suo concetto irradia; questa preoccupazione ha, infine, la colpa —e come mi sembra confuso e dolce— del fatto che in me dormano gli alberi addormentati.)
L’inverno se n’è andato, ma non si porta niente. Mi resta sempre la stagione perpetua: la mia mente ripetuta e sola
La estación perpetua
El invierno se fue. ¿Qué habré perdido? ¿Qué desapareció, con él, de mi conciencia?
(Esta preocupación -seguramente absurda- por conocer aquello que nos huye, me obliga a convertir el aire frío en pensado cristal sobre mi piel pensada, y a convertir la gloria entristecida de los húmedos días invernales en la imposible luz que su concepto irradia; esta preocupación, en fin, tiene la culpa -y qué confuso y dulce me parece- de que duerman en mí los árboles dormidos.)
El invierno se fue, pero nada se lleva. Me queda siempre la estación perpetua: mi mente repetida y sola.
De "En la estación perpetua" 2000
L’intimità
Venni fin qui per ascoltare la voce, la voce che come dicono ci parla dall’interno e la verità addolcisce se la verità merita una degustazione serena, o la rende più amara se è amara, col solo pronunciare il nero fiele che ha riposato intatto tra le sue sillabe. Venni fin qui per ascoltare la voce che non sa, né vuole, né potrebbe ingannarci.
Scelsi questo luogo di bellezza imprevista. (Vi giunsi per caso in un giorno di aprile in cui navigavano nubi grandi, macchie scure in terra, prove forse necessarie che la luce abita in mezzo a noi: quella trasparenza che dimentichiamo e che è, allo stesso tempo, difficile ed evidente.) Dirò perché è così bello questo luogo: forma una valle chiusa tra monti boscosi, un circo brullo circondato da rocce rossicce, dove il vento è un corvo delicato pur se funebre; gli uomini ne hanno arato la parte più profonda, e lì cresce l’ulivo e pochi mandorli e un cipresso e un’acacia; le ombre della pineta assediano da allora i confi ni di questi campi, la sua erba luminosa, e la pietraia resiste come un altare al sole; tutto ha una patina di realtà, un’ansia, un prestigio remoto.
Perché credetti che questo silenzio fosse uguale a quello di una dimora solitaria, venni ad ascoltare la voce che da dentro ci parla di noi stessi. Ma passa il tempo ed ascolto solamente la fretta del ramarro che scappa dal mio fi anco e il volo sibilante dell’ape, non la mia voce interiore. Tutto è esterno. E le parole vengono a me e in me si dicono da sole: il pendio acceso sotto la nube esatta, il bronzo del lentisco, una roccia che il lichene accarezza… L’intimità è il mondo. Col suo tacito ossigeno soffoca inevitabilmente la voce che vuol parlare, la dissolve, l’assorbe.
Sono venuto fin qui per ascoltarmi e tutto ciò che respira o è presente mi ha fatto ammutolire per dirsi.
La intimidad
Vine hasta aquí para escuchar la voz, la voz que según dicen nos habla desde dentro y endulza la verdad si la verdad merece una degustación serena, o la hace más amarga si es amarga, con sólo pronunciar la negra hiel que ha reposado intacta entre sus sílabas. Vine hasta aquí para escuchar la voz que no sabe, ni quiere, ni podría engañarnos.
Elegí este lugar de belleza imprevista. (Llegué hasta él casualmente un día de abril por el que navegaban nubes grandes, manchas oscuras sobre el suelo, pruebas acaso necesarias de que la luz habita entre nosotros: esa transparencia que olvidamos y que es, al mismo tiempo, difícil y evidente.) Diré por qué es tan bello este lugar: forma un valle cerrado entre montes boscosos, un circo escueto que circundan peñas rojizas, donde el viento es un cuervo delicado aunque fúnebre; los hombres han arado su parte más profunda, y allí crece el olivo y unos pocos almendros y un ciprés y una acacia; las sombras del pinar asedian desde entonces las lindes de estos campos, su yerba luminosa, y el pedregal resiste como un altar al sol; todo tiene una pátina de realidad, un ansia, un prestigio remoto.
Porque creí que este silencio era igual al de una estancia solitaria, vine a escuchar la voz que desde dentro nos habla de nosotros mismos. Pero pasa el tiempo y escucho solamente la prisa del lagarto que escapa de mi lado y el vuelo siseante de la abeja, no mi voz interior. Todo es externo. Y las palabras vienen a mí y en mí se dicen ellas solas: la ladera encendida bajo la nube exacta, el bronce del lentisco, una roca que el liquen acaricia... Lo íntimo es el mundo. Con su callado oxígeno sofoca sin remedio la voz que quiere hablar, la disuelve, la absorbe.
He venido hasta aquí para escucharme y todo lo que alienta o es presente me ha hecho enmudecer para decirse.
De "En la estación perpetua" 2000
Posto di usignoli
È vicino a una fonte. Non è segreto. Un dirupo con rovi e ginestroni, con rose di macchia ed oleandri. È uno spazio dove il tempo scolpisce un bronzo vegetale esatto e pulito. A quel posto ritornano ad aprile gli usignoli, ed aprono all’istante nel bosco il loro dialogo notturno su intatte verità misteriose, in una lingua piena di ragioni che sono un raro compromesso e sono allo stesso tempo ipnosi e superbia.
Non sono tornato lì. Lo serbai un giorno nel fermo paesaggio della mia mente dove il cielo pensato sta coprendo la stessa luce difficile, il prodigio della fedeltà che l’impalpabile a volte stabilisce con quanto è gravido, col reale, con ciò che l’aria muove.
Anche lì posso ascoltare il canto, la congettura fervida che medito.
Lugar de ruiseñores
Está junto a una fuente. No es secreto. Un barranco con zarzas, con aliagas, con rosales silvestres, con adelfas. Es un espacio donde el tiempo esculpe un bronce vegetal exacto y limpio. A ese lugar retornan por abril los ruiseñores, y abren de inmediato en la floresta su diálogo nocturno sobre intactas verdades misteriosas, en un idioma lleno de razones que son un raro compromiso y son al mismo tiempo hipnosis y soberbia.
No he vuelto a ese lugar. Lo guardé un día en el firme paisaje de mi mente donde el cielo pensado está cubriendo la misma luz difícil, el prodigio de la fidelidad que lo impalpable a veces establece con lo grávido, con lo real, con lo que el aire mueve.
Allí también puedo escuchar el canto, la conjetura ardiente que medito.
De "Con el aire" 2004
Alte lande
a Txema Martínez Inglés
e a Josep Maria Rodríguez
Alte sono queste lande che attraverso, paese delle intemperie. Le sabine, con un pietroso perché, hanno tessuto i loro rami geologici in coni di smeraldo che l’aria sporca e secca. La foschia mi ruba l’orizzonte, rinchiude la piana aperta nell’interrogativo. Sono così, ritrosi, questi alberi? È polveroso il cardo? Non è di un lilla innocente? È così lento il volo delle aquile? Non fi nisce? Si è spenta la vernice delle cornacchie? C’è sempre foschia. Sempre stiamo nella vicinanza più ingannevole. Stiamo lontani pur se stiamo vicini. Quale povero minerale, quale sedimento sterile c’è in quanto è compreso. Esiste un posto dove tutto sfugge.
Páramos altos
Altos son estos páramos que cruzo, país de la intemperie. Las sabinas, con un pétreo porqué, han tejido sus ramas geológicas en conos de esmeralda que el aire ensucia y seca. La calima me roba el horizonte, encierra el llano abierto en la interrogación. ¿Son así, retraídos, estos árboles? ¿Es polvoriento el cardo? ¿No es de un lila inocente? ¿Es tan moroso el vuelo de las águilas? ¿No concluye? ¿Se ha apagado el charol de las cornejas? Siempre hay calima. Siempre estamos en la proximidad más engañosa. Estamos lejos aunque cerca estemos. Qué pobre mineral, qué poso tan estéril hay en lo comprendido. Existe un sitio adonde escapa todo.
De "Con el aire" 2004
Narcisi
(Narcissus poeticus)
M’indicò qualcuno che quei fiori bianchi cresciuti tra i giunchi erano narcisi. In pieno mese di gennaio, fiorivano sotto il cielo nuvoloso e l’inclemenza.
Così, il narciso è il fiore intirizzito che l’inverno regala, pensai allora, vinto dalla letteratura.
Di ritorno a casa, con diligenza rituale —forse esagerando una fragilità letta— formai un mazzolino e lo misi in un vaso ingenuamente greco. Il suo profumo imponeva un’emozione senza forma, una reminiscenza debole di parole di una poesia dove essi significano, inevitabilmente, l’io, l’incognita nella sua nivea bellezza.
Ma questa mattina, nel contemplare il mazzo dopo averlo dimenticato, non ho visto fiori letterari, finti, ma brevi narcisi selvatici, e non ho pensato a niente, e mi sono sentito opprimere dalla loro inaudita delizia incontestabile posta sopra il tavolo.
Narcisos
(Narcissus poeticus)
Me indicó alguien que aquellas flores blancas crecidas entre juncos eran narcisos. En pleno mes de enero, florecían bajo el cielo nublado y la inclemencia.
Así pues, el narciso es la aterida flor que el invierno regala, pensé entonces, vencido por la literatura.
De vuelta a casa, con cuidado ritual –tal vez exagerando una fragilidad leída– formé un pequeño ramo y lo dispuse en un jarrón ingenuamente griego. Su perfume imponía una emoción sin forma, una reminiscencia débil de palabras de un poema donde ellos significan, inevitablemente, el yo, la incógnita en su nívea hermosura.
Pero esta mañana, al contemplar el ramo tras haberlo olvidado, no he visto flores literarias, fingidas, sino breves narcisos silvestres, y no he pensado nada, y me ha abrumado su inaudita delicia incontestable puesta sobre la mesa.
De "Con el aire" 2004
Meditazione del vetro
Dietro il vetro che lo protegge c’è un gesto afflitto. I muscoli di un torso —il loro pulsare disegnato— gemono nella tesa postura che li mantiene tra la rigidezza e l’eleganza fragile: una mano sul petto; un braccio alzato che si piega all’indietro e accompagna ubbidiente l’inclinazione del volto; il profilo, intravisto; lo sguardo, volto verso un fondo di graffi to cieco. Fissato su questo fondo, la sua ombra lo ripete, lo sfuma su quel rovescio impuro. Su tutto regna il grigio, torbido argento nella luce che dietro il vetro è dolore ed è ermetica cupidigia.
Stranamente, vicino a quel silenzio disegnato con rumore e gemito, il quadro pone, sul vetro, un’altra versione di ciò che adesso esiste: io mi rifletto in esso se lo contemplo; dietro di me, le cose si riflettono.
Il mio volto, in primo piano inabissa il suo guardo nel mio sguardo identico. Dall’altra parte, le cose che alle mie spalle sono reali, sul vetro, dietro di me, vacillano e affondano: vedo la porta nel suo improvviso esilio, dipinta con vernice di falsa lucentezza, e un pezzo di parete incomprensibile, fragile, e in fondo, stordite, le ultime cose quasi assenti galleggiando in annegata somiglianza.
Nel nasconderti all’altro lato di questa opacità così chiara, inutile torso, grigio perduto, in quale limbo ti cancelli per un attimo? Che cos’è questa vertigine di volti su volti ed ombre su ombre? Che cosa sono questi sguardi che vanno nello splendore e nella luce si intorbidano?
Contemplo la bellezza e sono un velo.
Imprevisto cristallo, vetro immutabile, chi conosce, chi vede, chi non confonde?
Meditación del cristal
Tras el cristal que lo protege hay un gesto afligido.
Los músculos de un torso –su latir dibujado– gimen en la tensa postura que los mantiene entre la rigidez y la elegancia quebradiza: una mano en el pecho; un brazo alzado que se dobla hacia atrás y acompaña obediente la inclinación del rostro; el perfil, entrevisto; la mirada, vuelta hacia un fondo de grafito ciego. Fijado en ese fondo, su sombra lo repite, lo difumina sobre ese envés impuro. En todo reina el gris, turbia plata en la luz que tras el vidrio es dolor y es hermética codicia.
Extrañamente, junto a ese silencio dibujado con rumor y gemido, el cuadro pone, en el cristal, otra versión de lo que ahora existe: yo me reflejo en él si lo contemplo; detrás de mí, las cosas se reflejan.
Mi rostro, en primer plano, abisma su mirada en mi mirada idéntica. Tras él, las cosas que a mi espalda son reales, en el cristal, detrás de mí, vacilan y se hunden: veo la puerta en su destierro súbito, pintada con barniz de brillo falso, y un trozo de pared incomprensible, frágil, y en el fondo, aturdidas, unas últimas cosas casi ausentes flotando en ahogada semejanza.
Al ocultarte al otro lado de esta opacidad tan clara, inútil torso, gris perdido, ¿en qué limbo te borras un instante? ¿Qué es este vértigo de rostros sobre rostros y sombras sobre sombras? ¿Qué son estas miradas que van al esplendor y en luz se enturbian?
Contemplo la belleza y soy un velo.
Imprevisto cristal, vidrio inmutable, ¿quién conoce, quién ve, quién no confunde?
De "Con el aire" 2004
traduzioni di Emilio Coco
Antonio Cabrera è nato nella provincia di Cadice nel 1958. Docente di Filosofia è apparso in diverse riviste di poesia e antologie. Con la sua raccolta "En la estación perpetua" ha vinto nel 2000 il Premio Internazionale della Fondazione Loewe e il Premio Nazionale della Critica nel 2001, mentre altri importanti premi ha ottenuto con il libro "Con el aire". Traduttore in castigliano di Vattimo e altri autori, collabora regolarmente con le pagine culturali di vari giornali spagnoli come El Pais, Clarin e altri. I suoi libri non sono pubblicati in italiano.
Emilio Coco (San Marco in Lamis, 1940) si è laureato in Lingue moderne presso l’Università Orientale di Napoli, con una tesi sul teatro di Azorín. Vive tra l’Italia e la Spagna. Svolge un’intensa attività come critico, antologista e traduttore della poesia italiana in spagnolo e di quella spagnola nella sua lingua. Tra i suoi numerosi lavori, ricordiamo: Abanico. Antologia della poesia spagnola d’oggi (Levante, Bari, 1986), Poesía italiana contemporánea (Deva, Gijón, 1991), Antologia della poesia basca contemporanea (Crocetti, Milano, 1994), Approdi. Antologia di poesia mediterranea (Marzorati Editore, Milano, 1996, in collaborazione), e l’antologia Poeti spagnoli contemporanei (Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2008). È coautore dell’Antologia della poesia corsa d’oggi (con François-Michel Durazzo, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2005), dell’Antologia della poesia lituana (con Biruté Ciplijauskaité, Levante Editori, Bari, 2006) e dell’Antologia della poesia argentina contemporanea (con Silvia Beatriz Amarante, Sentieri Meridiani, Foggia, 2008). Come poeta, ha pubblicato: Profanazioni (Levante, Bari, 1990), Le parole di sempre (Amadeus, Cittadella, 1994), Piano Bar (Los Cuadernos del Mediterráneo, Cuenca, 2001), Fingere la vita (Caramanica editore, Marina di Minturno, 2004), Il tardo amore (Edizione ridotta,“La Luna”, Grafiche Fioroni, Casette d’Ete, 2005), Il tardo amore (edizione completa, LietoColle, Faloppio, 2008) . Collabora ai programmi culturali della RAI e a numerose riviste italiane, spagnole, messicane, argentine e brasiliane. Dirige la collana I Quaderni di Abanico, in cui si pubblicano, in edizione bilingue, testi e antologie di poeti spagnoli e latinoamericani ed è editore dei I quaderni della Valle. Le sue poesie sono state tradotte in spagnolo, portoghese, francese, gallego, ungherese e lituano.
nell'illustrazione: Marcel Duchamp, Il grande vetro - La Mariée mise à nu par ses célibataires, meme, 1923-1936; foglio di piombo, foglio di argento e olio su vetro, cm 276x176 (Philadelphia Museum of Art).
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