Qualche giorno di rallentamento, se non proprio di ferie. Ne approfitto per scrivere qualcosa, per qualche ripensamento, anche su cosa e come scrivere. E anche per leggere: per associazione di idee con l'esame di dialetto della Lega (boutade, provocazione, fraintendimento?) sto rileggendo qualcosa di Albino Pierro, di Noventa, di Loi, di Pasolini. Grande poesia, inevitabilmente legata al versante lirico dell'esistenza. Bella anche quando tradotta in italiano, spesso dagli stessi autori, coinvolgente, vivissima. Fa parte del nostro bagaglio culturale, e insieme ad esso sta cadendo in disuso. Non è certo il dialetto a cui pensa la Lega, forse nella stessa misura in cui l'italiano della poesia non è l'italiano della politica, dei telegiornali o semplicemente di chi ci passa accanto per strada. Che fare, che sta succedendo? Forse è una mia ignoranza, ma chi c'è dopo Loi, l'ultimo dei sopravvissuti? E la poesia dialettale o locale o di territorio, ha ancora una ragion d'essere, nicchia nella nicchia della poesia italiana? E la poesia italiana, non rischia essa stessa di diventare un'arte espressa in uno dei dialetti del mondo, di questo mondo globalizzato anche culturalmente? In che termini, se necessario, deve essere approntata la sua "resistenza", in questo caso non solo politica ma anche linguistica? E ancora, in che modi deve sprovincializzarsi, deve aprirsi allo scambio con altre culture, così da acquisire nuove armi per questa resistenza? E con quali modalità questa resistenza, se ci sarà, dovrà fare i conti con l'evidenza di una vera "recessione culturale", così come qualcuno l'ha definita? Lo so, troppe domande tutte insieme. Ma sarei felice, e lo accoglierei volentieri, se qualcuno volesse esprimere il suo pensiero in merito. Buone vacanze a tutti.
P.S. Se nel frattempo avete qualche curiosità, potete spulciare l'Archivio generale del blog (v. link a lato). Sono sicuro che riuscirete a trovare qualcosa di interessante.