Martedì, 30 giugno 2009
Ringrazio Viola Amarelli di avermi mandato questo libro. Lo avevo già letto, salvo revisioni, nella sua forma di ebook edito da Vico Acitillo, ma siccome sono della vecchia guardia questo tangibile dono di carta mi dà altre emozioni (Notizie dalla Pizia, Lietocolle 2009)
In questo libro voci di donne. Donne che danno notizie di sè, non di altri e per altri. Donne che non mediano nessun sacro, non sono strumenti di un dio, perchè la loro voce non è quella di qualcuno che le possiede, come la Pizia classica, e le attraversa. E - in virtù di questo e non ostante questo - emettono messaggi che, se necessitano di qualche interpretazione, però poi "notificano" uno stato, un livello di presenza, una identità multipla (di molte donne) e insieme singolare, emblematica. In questo senso Amarelli "è" la Pizia (una Pizia molto laica, molto moderna, anzi surmoderna in questo suo manipolare e contaminare un linguaggio mimeticamente aulico, nel cercare una "classicità" che non è affatto gioco letterario), in quanto attraversata da una diffusa condizione femminile o, più semplicemente, umana. Che qui afferma e si afferma, piuttosto che rispondere a domande, a meno che non siano quelle implicite di chi vuole capire le cose attraversando i sensi della poesia, la sua ironia, la sua indefettibile fiducia nella parola e nella sua liturgia - ripeto - laica. Se c'è una divinità (come dice giustamente Sebastiano Aglieco altrove) essa risiede anche nella materia, nel lavoro, nel quotidiano, insomma nella vita stessa, di cui le donne sono crocevia essenziale.
Questo tipo di approccio è congeniale ad Amarelli. Sfogliando i miei "pizzini" virtuali mi accorgo che la Pizia aveva già cominciato a parlare in "Encausto", un ebook sempre per Vico Acitillo, non so se poi confluito altrove:
Fertilità
Genero senso
significo il respiro
nel tempo e spazio che mi è capitato
conto su orthos e logos
come posso
conosco le sconfitte
me ne fotto.
M'impiglio e disincaglio
seguo corrente
fluisco la potenza
scorro celata dentro l'ineffabile
frullo maciullo
scruto l'indicibile
l'orme affioranti
i fili del discrimine.
Genero senso
limpido sia il caos
dato che fosco è l'ordine vigente
vale mia norma la vostra
senza tema
genero senso,
mestruo.
Appunto, "genero senso". Logos, che si gonfia e matura in questo libro di cui Amarelli è, come si è detto, Pizia (interprete, tramite), ma anche corifeo, di quella identità multipla (e quindi politica) di cui dicevo prima, che si esprime e lotta "come può", per enigmi e agnizioni a cui le donne ci hanno educato. In ciò il libro è antilirico, per quanto sia d'accordo con chi ammira i passaggi lirici di cui Viola è capace, semplicemente perchè l'autrice è indistinguibile dalla sua stessa materia poetica, c'è, è qui dentro, ma è auctor, cioè - scolasticamente - guida e testimone di queste voci poetiche, garante della loro verità (g.c.)
(Questa nota è stata poi ripubblicata sul sito di Lietocolle, qui)
Estratti di questo libro sono già presenti in vari siti. Pubblico qui solo i testi di chiusura, ampiamente sufficienti per farsi un'idea del suo valore e significativo epilogo di quanto già noto.
XXII - Finale di partita
Muta la fonte, desolato il tempio,
secco l'alloro
il dio, deo gratias, non abita più qui
chiusa la foglia rimane cicatrice
lembo d'orgoglio, demone nutrice.
Curiamo olivi, tenere le foglie
spremiamo i frutti per addolcire i gironi
alla brace rovente sotterranea
liberamente scaldiamo figli e cuori.
Più non sappiamo,
ci dicono i ricordi che nulla è perso
come mai nulla si perde, solo il potere
è trasmutato altrove dove ugualmente
nasce e, nel vivere, muore.
XXIII - Gea
E sempre all'improvviso il tradimento
— celando troppo affetto presbiopia —
si disse quando alzò la lesta in fretta,
attorno abbacinavano i segnali:
crepe sui muri, sentori di marciume,
polveri agli intestini e tra le nari.
Tutto sotto controllo rassicuravano
i magi coi geomanzi,
compatto ammasso di prestidigitatori,
distanti i numeri tornavano ai progetti
fotoni di incognite equazioni.
Lampi, esplosioni sotterranee
ora catodi e silicio, un lempo selce aguzza
logica esponenziale senza scampo.
Tentavano, di ridere allo scambio
di lutti contro pianto,
obesa carestia la ruga scava,
distenderla o riempirla unico vanto,
all'orizzonte declinava accidia
nessuna colpa e non era importante
oraquiadesso, dopo resta dopo.
Alcun sospiro, non ne aveva tempo
né aveva senso, sempre poco di entrambi.
Le scandì nette le parole, tre,
la trinità, il tris, il terno a ritroso
sino allo zero espanso d'infinito.
Numeri, come dadi truccati
chi nasce tondo non diventa quadro
chi è guerriera non è cortigiana
oppure, forse, un altro tempo
probabilmente,
decise ciò che era deciso:
"Sciogli i cani",
nell'ombra morbida Caos acconsentì.
Epilogo
Sciamano le sciamane, avranno
un senso gli acrostici crostacei,
il tempo scioglie con la cheratina
le chele al titanio
non i sogni, resistenti alle maree
ci riformiamo.
Postfazione
Non aver dubbi, incertezze, non troppe
certe domande senza risposta
e un bimbo è un bimbo, rosa
una rosa, sonno è il riposo
l'aria è una grazia, la terra un sasso
sempre in agguato costante il male
forze coatte in tempo e spazio
salvo poi esplodere in supernova
come una gioia fusa energia,
quello che vivi, le verità.
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