Annalisa Cima , pittrice, poetessa, scrittrice, è nota ai più per essere stata l'ultima musa di Eugenio Montale, che aveva incontrato nel 1968, nonchè di essere "erede" e curatrice del "Diario postumo" montaliano, tanto famoso quanto oggetto di critiche e dubbi, sopratutto da parte di D.Isella, studioso storico del poeta ligure, e di altri tra cui Raboni. Come si ricorderà Eugenio Montale, anche per sberleffo nei confronti della critica, aveva scritto e firmato 66 poesie, alcune delle quali dedicate alla stessa Cima. Le aveva poi suddivise in 11 buste disponendo la loro pubblicazione a partire dal quinto anno dopo la sua morte, al ritmo di 6 poesie l'anno. Alla prima pubblicazione, avvenuta nel 1986, vennero però aggiunte alle prime 6 altre 18 poesie rinvenute casualmente da Annalisa Cima. Da questa circostanza partì una aspra polemica, trascinatasi a lungo, circa l'autenticità di questi ulteriori testi attribuiti a Montale, presenti anche nell'edizione definitiva del "Diario", avvenuta nel 1996.
Pubblico qui alcuni testi di Annalisa Cima tratti dal suo primo libro, "Terzo modo", pubblicato da Scheiwiller nel 1969, riguardo al quale Eugenio Montale aveva scritto la presentazione riportata in calce, in cui definiva il libro "inquietante", forse riferendosi proprio alla poesia "Contestato il sistema", piuttosto trasgressiva per l'epoca, e al "terzo modo" sotteso a tutta la raccolta. Scritto nel 1969 e destinato al "Corriere della sera", il testo montaliano era rimasto nel cassetto per richiesta dell'autrice. Verrà inserito solo nella riedizione del libro fatta da Il Melangolo nel 2006. Vale la pena di rileggere alcune di queste poesie che suscitarono l'interesse ma anche la perplessità un pò borghese di Montale, testi di una irruenza giovanile poi sfumata, a mio avviso, nelle raccolte successive della Cima, tranne forse nel suo secondo libro ("La Genesi e altre poesie", Scheiwiller, Milano 1971).
AL DI LÀ DELL'OGGETTO
Al di là dell'oggetto
l'involuzione dei miti corrotti
dal banale, accedi poi
a convinzioni fatte d'inferenze.
Vago sconcertante togliere
dalle funzioni di vita autonoma,
esplorativo occhivetri nel colore.
Le diaspore del dissenso
non hanno creato il risveglio,
sopraffatti dall'improvvisa
folgorazione di un divieto,
doloroso quanto inutile.
Noi vogliamo pensare, loro anche,
il vostro segno di incertezze
la caotica raggiunta del benessere
vi lascia l'illusione di sembrare,
forti del più recente passato.
Noi vogliamo pensare, loro anche
liberi da atarassia, i sensi
piú validi che ribelli.
Tu gioca la tua carta dell'involuzione.
Il gusto di inutili connubi
non raggiunge la forza del vizio:
dannerà i vostri anni fino all'ultimo
i vostri soldi fino all'estinzione.
Nessuno vorrà capirvi: passerete
muti come falene, inutili ermafroditi,
umiliati dall'ammirazione
di chi non pensa
corruttori senza corruzione.
VOGLIAMO VIVERE
Vietarsi ogni giudizio, possibile
oggetto allo spirito, effettuare
scelte di valori costanti, dopo
le mani scritte con carbone,
i desideri di razza gli odii
le successioni. Una o piú senza
assorbimenti religioni, chiara
nella determinazione; finite
le guerre, non separazione nei colori
nel denaro non gelosie, il cuore
sostituito batte, il pensiero
vomita oltre, il verde diventa sangue:
soli alla fine senza capire
si piangono lontani, si uccidono
vicini. Solo morte per non pensare.
Destini di finire insieme
o dopo ma sempre e tutti.
Vogliamo vivere per e come, forse
essere, non voi, non potete:
ci volete uccidere.
Ci costringono, buttati dietro i muri
i nemici di te di me, ci fanno
pensare: lui è diverso, siamo
perché vogliamo essere, solo
e senza, come non importa, ma
vivere e ucciderci da soli,
per risolvere a Lui se crediamo
se vale se c'è. Senza carnefici:
cuori di carne nera e capelli
di carta, soldi e senza soldi.
Non vogliamo gente con code
variopinte, ognuno ha
una sua morte, la mia voglio
conoscerla non raccontarla, tu
pensa a tuo fratello, ferma
la macchina che lo schiaccia, cura
il cancro che lo divora, mangia
i tuoi soldi senza dirlo, non
uccidere per farli diventare
sacri, non tutto il sangue è
sacrificio, non tutto il sangue è
generazioni, uccidi per credere
nel senso delle cose. Noi
vogliamo vivere, loro anche.
SENSIBILITÀ PASSIVA
Il tuo grado, il mio,
di traducianesimo,
organico disorganico,
o ragione pratica.
Pathicus, lascivo:
se il sensibile è tale
perché sottrarti, hai
la dinamica per farlo?
Abolita ogni riduzione
al sensibile: se sí cerca
piú in là. Spegni la
sete di psicanalista. Grida
il tuo grado, il mio,
di traducianesimo:
non avere paura.
ARMONIA
Ordine del mondo quale fu
dei pitagorici,
comunicazione fra monadi.
Dati a e b se il successivo
di a è identico al successivo di b
i due termini sono uguali.
Armonia numero coesione
orologi perfetti
di numeri dispari, incapaci
a capire
distinzione non distinta.
Oggetto e causa non
si confondono nell'unità
del fondamento, fondo,
non lotta, ma raggiunta armonia.
BEWUSSTSEIN
Dopo il riconoscimento di una
realtà interiore, il saggio
ha coscienza: la virtù diventa
luogo comune e la coscienza
viene a mancare.
Ingannatosi sulla propria vita,
cosí distante dalle
perdute abitudini, solo per una
sfera dell'ineriorità, che è:
realtà al disopra. Bisogno di
ritornare su se stessi e
diventare ciò che vogliamo
guardare.
ABDERITISMO
Non progresso ma ferma
staticità. Interrogati sempre
e mai ascoltati torniamo
a rivivere. Gli stessi,
con eguali problemi: ieri
domani, li abbiamo fatti agire.
Autorità destino storia:
riproduzione animale di fatti
unico rinnovarsi. Nella
ripetizione, finzione del tempo
è artefice e artifizio.
Abderitismo: concezione
di sempre a non finire.
NO ALL'INDIVIDUALISMO
Egoismo per non fingere,
ammettere oltre la mia
esistenza anche quella
degli altri? I valori
per se stessi o solo
quelli che coinvolgono?
In continuo sentirsi
per disgregazione,
non per un io
individuale.
ARTE
Principio o apparenza metafisica
voluta sottrarre all'oggetto
anch'esso diviso in partizioni
vogliamo trovare nelle tecniche.
Tecnica percettiva: arte
senza distinzione di piú alto
o meno, ispirazione delirante.
Non vogliamo cadere nell'estetica
senza catarsi, purgati dalle
false metafisiche, piú veri;
nell'immanenza un credo,
nell'autodistruzione ritrovarsi.
LA FORMA
La forma non ha imperfezioni
non è partecipazione né parte:
si compie. La forma che guardi
ci conosce, si contrappone
alla disgregazione: già scontata
prima della fine.
COLLOQUIO
Le ore a colloquio con te stesso:
pensiero e atto, non
perderle
abbiamo logorata la parete oltre
la quale possiamo
ritrovare
noi stessi, piú veri, meno realizzati.
TERZO MODO
Il terzo modo per
distinguere A con-
siste nel rapporto tra
A e se stessi. A
si identifica, non si ha
alternativa, da
qui il monoteismo.
CONTESTATO IL SISTEMA
Contestato il sistema,
gettiamo fiori neghiamo il passato,
permessi i connubi tra fratelli:
plauso al gusto che cambia,
benedette le nozze omosessuali:
gioco in attesa di inutili natali.
Partecipi al vero, solo
chi distingue uomo da uomo
testimoni e vittime
di precedenti incarnazioni.
Il sistema è violenza
di fronte alle idee,
Vanità che costringe alla parte
da rappresentare. Simile
alternativa procede da abitudini.
L'impotenza dei nervi, dei falli
è protesta verso la noia
dove il reale precipita.
Anticamera di meriti dimenticati,
contrapposto all'angoscia,
fare per farsi, in questo può trovare
espressione il coito:
raffinata violenza fatta di fiori
e di lasciate vivere.
Intervento di Eugenio Montale per TERZO MODO
Un libro inquietante, Terzo modo di Annalisa Cima, versi che non sono sfuggiti all’attenzione di Vanni Scheiwiller.
Se dovessi far di lei una novatrice, la critica si scandalizzerebbe, il lettore italiano è alieno dalle tematiche toccate dalla Cima.
Si profila una singolare poesia apparentemente in bilico tra il versificare di Emily Dickinson e quello delle avanguardie, ma che tende, quasi certamente, a risuscitare le strofe classiche che già Leopardi e D’Annunzio avevano assorbite da Virgilio e Dante.
S’intende che i versi, elaborati agglutinando musica e filosofia, resi essenziali con labor limae, quando s’impennano in metriche stravinskijane evidenziano un ritmo fluttuante che porta con sé, dalla profondità della conoscenza, pentametri riecheggianti a metriche classiche, resi attuali dall’invenzione di nuovi schemi.
Insomma, i temi di fuga e di sopravvivenza che s’avvicendano, preservano intatto un habitat al tempo stesso fisico e metafisico. si liberano dalle formule convenzionali, contestano il sistema e si nutrono delle contrapposizioni care ai poeti greci.
Estranea ad influenze locali o contemporanee, a tal punto, da riportarci versi classici in chiave polifonica deviati su assi di geometrie musicali, la Cima sorprende per il vigore e il radicato estro poetico.
E’quasi inutile rilevare che in realtà questa poesia è insolita nel contesto italiano e tanto più in quello femminile.
Vi si nota un’intelligenza poetica che assorbe il passato, legge il presente con lucido disincanto, aspira ad un futuro libero da condizionamenti.
Ora non vorrei più divagare in dissertazioni, ma è il caso di chiarire le idee al lettore citando l’ultima delle 12 poesie di Terzo Modo.
Contestato il sistema,
gettiamo fiori neghiamo il passato
permessi i connubi tra fratelli:
plauso al gusto che cambia,
benedette le nozze omosessuali:
gioco in attesa d’inutili natali.
Partecipi al vero, solo
chi distingue uomo da uomo
testimoni e vittime
di precedenti incarnazioni.
Il sistema è violenza
di fronte alle idee.
Vanità che costringe alla parte
da rappresentare. Simile
alternativa procede da abitudini.
L’impotenza dei nervi, dei falli
è protesta verso la noia
dove il reale ci precipita.
Anticamera di meriti dimenticati,
contrapposto all’angoscia,
fare per farsi, in questo può trovare
espressione il coito:
raffinata violenza, fatta di fiori
e di lasciate vivere.
Questo testo, scritto nel 1967 e pubblicato solo ora in Terzo modo (All’insegna del pesce d’oro, Scheiwiller, Milano 1969), non avrà molti lettori propensi a condividerne gli ardui contenuti, ma se mancherà il plauso dei critici militanti si potrebbe comunque tracciare a priori una mappa degli estimatori e si constaterebbe la loro appartenenza a quella categoria di persone che praticano una scrittura libera, mantenendosi sempre su un piano di alta dignità intellettuale e innovativa.
Annalisa Cima è un caso raro. Una Saffo contemporanea?
Non mi stupirei se al di là dell’oceano trovasse più estimatori che da noi, la tradizione italiana manca di figure femminili di questo calibro.
"Le diaspore del dissenso" che la Cima auspica. non sono ancora giunte "non hanno creato il risveglio". Nel mondo delle ideologie di consumo brulicano, è vero, i"corruttori senza corruzione", ma non gli individualisti coraggiosi come questa giovane poetessa che sfida i canoni convenzionali e la società pur se consapevole delle disavventure e dei pericoli ai quali va incontro.
La sua poesia è una lezione di etica rovesciata, una scoperta in un’epoca di finte scoperte.
Mentre la scienza dei futuribili ipotizza che il mondo è già finito una voce nuova, felicemente ritrovata, ci canta in strofe musicali la sua storia resa aspra dal leitmotiv della disperazione che la percorre.
S’intende che qui semplifico riducendo l’elevata preparazione culturale evidente nei versi della Cima ad un fatto puramente innovativo, ma non è solo questa la qualità distintiva della sua poesia.Quando leggiamo:
La forma non ha imperfezioni
non è partecipazione né parte:
si compie. La forma che guardi
ci conosce, si contrappone
alla disgregazione: già scontata
prima della fine.
Oppure il testo della poesia che da il titolo alla raccolta:
Il terzo modo per
distinguere A con-
siste nel rapporto tra
A e se stessi. A
si identifica non si ha
alternativa, da
qui il monoteismo.
Capiamo che in questi versi è sottinteso, rivissuto in chiave poetica, il mondo di Leibniz.
I versi sovente si dilatano in un grido soffocato, in un silenzio improvviso, in un’invettiva o in un lamento, sottolineati sempre dalla stessa coerenza metrico-musicale e intarsiati di citazioni erudite.
Una poetessa ch’io apprezzo per l’agilità e l’acume con cui dissemina versi sapienziali, scelti nel passato e innestati nel presente, con forza ed eleganza, ma Annalisa Cima ci riserva altre sorprese, è in preparazione presso lo stesso editore la sua seconda raccolta dal titolo La Genesi e altre poesie,e ha già in serbo brevi componimenti d’un’essenzialità adamantina; haikai che possiedono una continuità nei temi e nella forma, che dà luogo ad un monologo interiore.
Non è impresa di poco conto svolgere con naturalezza e semplicità temi così complessi e ancora una volta la Cima riesce ad ottenere effetti combinatori di poesia-musica, in un gioco formale di ellittica eleganza.
Non usiamo la parola
sorgere
né risplendente
né oscuro.
Cerchiamo di vedere
il noncolore
di sentire
la nonvoce
afferrare
l’inesistente.
E’ dunque naturale che la mappa del percorso della poesia di Annalisa Cima s’estenda ad un universo che non teme il mutare delle stagioni, si muova da note essenziali per giungere ad effetti sonori dinamici e ci apra le porte di un mondo accessibile a pochi, un mondo poetico ancora inesplorato.
Immagino quale sarà lo stupore di coloro che essendo specialisti di formule non riusciranno a definire queste poesie che sfuggono a qualsiasi schematizzazione.
Per Annalisa Cima, come del resto per me, l’argomento della poesia è la condizione umana in sé considerata: non questo o quell’avvenimento politico storico, e ciò non significa che ci si estranei da quanto avviene nel mondo, significa solo aver la coscienza e la lucidità di non scambiare l’essenziale col transitorio.
Auguro ad Annalisa Cima di continuare la sua fuga, lontano dall’incolore opacità delle scuole contemporanee, di restare ancorata al suo modo-mondo nel quale la poesia non si fabbrica, nasce dentro; è una grazia che si manifesta all’improvviso, in Annalisa s’è manifestata.
Sin da questo primo libro si riconosce nella Cima, hic et nunc, una voce importante del nostro panorama poetico, sono versi che valicheranno le frontiere, grazie anche ad un editore intelligente e a rari qualificati estimatori che capiranno lo spessore e la musicalità della sua poesia.
Annalisa Cima resta aristocraticamente in disparte, lontana dai presenzialismi e dai clamori dei suoi coetanei, le sue origini mitteleuropee, la cultura assorbita in famiglia, le consentono quella sprezzatura che gli scrittori delle ultime generazioni hanno dimenticata.
Vive in un "esilio" volontario per continuare la sua ricerca e comunicarne gli esiti a pochi amici, senza cercare quella vasta affermazione che meriterebbe; la grandezza per lei non consiste nell’essere questo e quello, ma nell’essere sé stessa, un’estetica del vivere che è base di un’etica ferrea ed è l’imperativo categorico a cui mette di fronte il suo interlocutore.
S’intuisce che Annalisa Cima ha tutte le carte in regola per rappresentare degnamente l’ultima generazione di di questo secolo, come i poeti che credono in lei, da Giuseppe Ungaretti ad Aldo Palazzeschi, da Marianne Moore al sottoscritto, hanno rappresentato la prima generazione.
E se la poesia è più filosofica e di più alto valore che la storia, ancora una volta si riconferma la tesi che il grande poeta, nello scrivere sé stesso, scrive il suo tempo e questa definizione s’attaglia perfettamente alla poesia di Annalisa Cima che, sin dal suo esordio, raggiunge esiti inattesi con naturalezza e semplicità, qualità che contraddistinguono un poeta quando vale.
Eugenio Montale (1969)
(fonte dei testi: annalisacima.com, che ringrazio.