Quarto appuntamento delle riflessioni di Elisa Castagnoli sulla poetica dell’arte contemporanea. Gli altri articoli sono reperibili tramite il tag "elisa castagnoli".
Riflessioni sull’arte - Partendo da Tàpies
La poesia richiede materializzazione attraverso la parola, i segni di un corpo vivente o quelli impressi su una tela. La forma naturale del segno é la sua trasparenza, la sua immediata leggibilità. Ma i segni si pongono anche come macchie indecifrabili, cicatrici, coaguli di materia, punti di sutura, parole straniere in una lingua sconosciuta alla maggior parte, nati come da un’urgenza vitale, da una rabbia oun’implosione incomprensibile di violenzaincapace di darsi altrimenti all’esterno. Non più involucri neutrali di forme ma marcature di territori, incisioni di spazi-tempi abitati, sbavature ricercate, graffi, graffiti sui muri, impronte negative di mani.
Tracce di passi su una pista che si perde nel nulla, croce su un albero che sarà abbattuto domani, linee su un muro per contare i giorni che restano dall’interno di una prigione; incisioni di rabbia, un grido d’appello, un atto di resistenza, l’eclatement de quelque chose de l’ordre de l’inattendu. L’autografo scritto su un corpo, una schiena in rilievo lascia scorrere sangue o inchiostro dalla carne alla parola; disegni fatti di pelli e di corpi, stralci di carta, materia e croci che li sbarrano sopra; occhi dilatati, barrati fuori, colore nero e rosso per segni impressi, stampati in calce; ora su un fondo nero una lettera bianca, comme un acte de survie, sedie vuote ma dei passi invisibili scorrono al di sotto come presenze affiorate in linee sbiadite d' inchiostro
la rage qui secrètent ces corps écorchés, les sutures, les cicatrices, les retombées infimes de l'être, la rage e la saleté qu’on devient vivant
tout cela s’écrit en dehors dans une sorte de mouvement aveugle, de violence secrète qui suintent les corps
celata sotto l'apparente immobilità di superficie, questa violenza trasuda, scivola fuori dalle pieghe interne dei corpi come una secrezione segreta dell'essere.
Distruggere l’immagine statica, figée, vuota maschera di un sé stesso ideale, scendere dal piedistallo, cercare al di sotto, molta più densità e materia, mettere le mani in quella pasta densa, viva e abitata che vi brucia addosso, scavarci dentro la vita che non é vostra e vi tradisce, mettere le mani in quell’esistenza che non si lascia dire; quella materia cercarla fin dove vi serve e usarla, usare tutto, l’angoscia, l’incertezza, la paura, i fantasmi che vi tormentano, le vostre derive personali.
La rabbia dei corpi: da dove viene questa rabbia? Deve venir fuori, sotto quella superficie intatta, sotto quella maschera che salva le apparenze.
“Siamo fatti di tutta la paglia e polvere che la vita ci ha incollato addosso”[1], sulla nostra pelle, dei colpi ricevuti e dati, dei piccoli niente o dei grandi choc. Quello che facciamo si inscrive nel nostro bisogno di raccontare frammenti d’esperienza, d’esistenza resi in uno spazio e un tempo costituiti; come artisti ci impossessiamo della materia, cioè in primo luogo del corpo e delle sue pulsazioni, dei suoi envols, dei suoi slanci e delle sue ricadute: “ci impossessiamo della materia ma una parola vi é per essenza attaccata”[2].
La materia é qui raramente quella che brilla, (l’oro, il vetro o il metallo luccicanti) non la forma ideale e vuota, l’esecuzione perfetta e fine a sé stessa , ma quella della specie più comune, colla e polvere di pietra, terra e segatura, brassage di materiali diversi, vestiti usati, calze di nylon, oggetti dell’informale quotidiano.
“Dialogo con una materia bruta” trasportato nel grande teatro del corpo e degli oggetti[3].
Sono segni, si, ma segni che ci tormentano, intransitivi. Immagini, gesti e parole ancorati al reale ma magnifici nella loro indeterminazione, del loro mistero. Rendere a questi segni grafici o fisici, a questi gesti in movimenti la loro potenza d’immagini; tracce opache, non immediatamente decifrabili, si danno nella loro potenza di scrittura come atti scenici e visivi.
Dipingere, afferma Tàpies, è un modo di riflettere sulla vita, di creare suture o semplici connessioni tra diversi ordini di idee e immagini. L'opera non ha senso se non puo' contare sulla controparte di uno spettatore. Il segno astratto (nella danza ugualmente) è un modo di rompere con il carattere figurativo del lavoro aprendo a molteplici associazioni analogiche di immagini e di idee. Si pone di fronte al pubblico nel labirinto della sua ambiguità come una domanda aperta e dunque soggetta adinfinite interpretazioni.Le opere, benché dotate di un forte contenuto narrativo devono restare degli “oggetti plastici indipendenti”, carichi della loro energia mentale. Il processo di creazione puo' essere inteso in questo senso come una “comunicazione con tutte le cose, una specie di contatto profondo con la materia che abbraccia tutto e determina la nostra esistenza nell'universo intero”.[4]
All'immaginario onirico dei suoi primi quadri dove il surrealismo gioca un ruolo decisivo nell'immediato dopoguerra, seguono negli anni 40 il collage di materiali poveri applicati direttamente sulle tele: cordelle, fili, seta, carte di giornale stropicciate, graffiature o polvere di marmo e colori, grani di riso ecc..
Lavorare partendo da questostato materico (dal 1953) è lasciare l'espressione del desiderio imprimersi direttamente dall’interno della materia senza che questa dissolva in un caos informe ma continui a portare in sé l'impronta del magma originale che l'ha generata. A partire dagli anni '50 nasce la pittura materica alla ricerca di una libera espressività al di là dei limiti figurativi più convenzionali; in controlucesono i graffiti di Brassai, l’influenza di Miro', i collage di Picabia,la scoperta del pensiero ermetico e mistico che abita la cultura catalana, la percezione di una realtà nascosta dietro quella apparente dell'esistenza esteriore.
Se la materia resta il segno di questa ritrovata libertà espressiva, (come il corpo nella danza) l' immersione totale e incondizionata in uno strato selvaggio e primitivo, (l'elemento dionisiaco che si esprime qui) il segno grafico rinvia al carattere apollineo che determina i tracciati visivi con precisione e sovranità.
Essere in relazione con una realtà più profonda della superficie. Cercare dei colori per... perché ci sono cose che non riusciamo a esprimere a parole, stati d'essere vicino a un mondo visionario, sotterraneo. Cerco il colore dei gesti, che sia sotto la realtà superficiale, riconoscibile, quella di tutti e di nessuno, al limite il colore di un gesto unico, come una parola sola lanciata nel vuoto di una scena, una parola che nessun altro saprebbe pronunciare identica alla tua, per quello che significa in te; cerco il colore dell'illusione, del sogno, del dolore inspiegato che ti afferra un istante e fulmineo attraversa la mente prima che si abbia il tempo di dire cosa; cerco il colore di quello che sarebbe questo istante unico e abitato, un momento solo tuo, uno spazio solo tuo, li’ dove arriveresti come in un viaggio silenzioso che risveglia immagini, sensazioni, strati sovrapposti di memoria e di coscienza; poi il colore del vuoto, di questo vuoto scavato fino in fondo nella solitudine del tuo corpo.
Tracciati grafici, fisici e visivi, trame intessute sul filo invisibile dei desideri e dei ricordi, tenuti insieme dal nodo incandescente del segreto; segni mobili di una scrittura del corpo, ogni voltadanno forma a immagini diverse secondo il modo in cui decidiamo di entrarvi, con quale stato d’essere, con quale parte implicata nel movimento. Immagini sognate anche, di cui non ricordiamo nulla se non la felicità di un istante, la vaga sensazione di qualcosa che era dentro quel sogno e sembrava cosi' reale allora cheogni volta, riaprendo gli occhi, cercheremo invano di tornare li’ con la mente.
Come nasce questa poesia visivase non da un'immagine, una serie di immagini che attraversano fulminee lamente?; oppure, qualche volta, è soltanto un respiro, un impulso, un movimento continuo che ti porta all'immagine. Non decidi ma ti lasci sorprendere da quella: emerge sola per una forza interna al suo dire come un'impronta fotografica si rende visibile dal negativo d’ombra che l'ha generata. La natura di una scrittura coreograficaè data da una serie di segni,di cifre che generano la realtà come immagine prendendo forma in libere associazioni nella mente di chi osserva, nella mente dell'interprete ugualmente quando si trova di fronte a una partizione data. Nel processo d'improvvisazione, al contrario, seguo le pulsioni del corpo, non sono cosciente la maggior parte del tempo del perché un gesto, una pausa o un movimento, del perché una forma al posto di un'altra; mi affido spesso a untempo musicale, ritmico interno a un'azione, quando riesco a captarlo e a entrarvi dentro completamente oppure aifluidi dinamici, energetici che mi traversano, che vado a risvegliare, seguendo il respiro che li porta. Le immagini arriveranno solo dopo e quasi autonomamente, come fossero già li' in negativo e aspettasseroil momento di imprimersi, di scriversi fuori in una forma visibile.
L'atto distruttore esprime da un lato l'idea che quello che viene mostrato, esposto come realtà non ne ha colto, in fondo, che una visione parziale o l'aspetto esteticopiù immediato dell'oggetto. Sento la necessità di distruggere, di de-costruire qualcosa che è già li' dato in una forma finita,lucida manifattura dove si fatica a stare dentro come se appunto la forma unica dovesse rompersi in un prisma di frammenti multipli e contraddittori,scorcio di quello che si nasconde dietro l'aspetto visibile di superficie, nella necessità dunque di modificarla, deformarla o rendere la complessità di quello che si muove al di sotto. D'altro lato, questi impulsi di distruzione, ciascuno li porta in sé come segni provenienti dall'inconscio. “Si dice che la scena sia uno spazio di distruzione e di morte. Sembra che la morte sia ugualmente una legge costitutiva della vita.” (C. Regy) Quando tocchiamo qualcosa di molto forte nel processo di ricerca in noi stessi,c'é un momento in cui la muraglia si fende e all'improvvisole maschere cadono. Sentiamo la vita e la morte abbracciati, stretti in uno spazio profondo nel nostro corpo. Momento cieco e inatteso che permette il superamento dell'ordine dato, forse un momento di sospensione fuori dal tempo ordinario.
[1] Cfr. Didier Semin in Tàpies, Repères n. 142 , Galerie Lelong 2008 p. 16