Auguro a tutti quelli che passano da queste parti...che cosa? Cosa dovrei augurare, seriamente? E' una domanda che mi pongo tutte le volte che si entra nel vortice delle feste, di certo uno dei periodi dell'anno che più mi inquietano, in cui le contraddizioni, a chi vuol vederle, diventano drammatiche. Quella dell'àugure è una professione morta. L'augurio è una specie di preghiera per conto terzi che rivolgiamo a Dio (o agli dei), di fronte all'oscurità del futuro (un fantasma a mani vuote, dice Hugo) e alla inanità dei nostri sforzi per penetrarlo. O forse, meglio, è la speranza (sia essa l'ultima dea di Foscolo o l'ameno inganno di cui parla Leopardi) di imbroccare la strada giusta tra tutti i bivi che il caso o Dio o gli dei ci pongono davanti. Potremmo allora fare una scelta meno rituale e meccanica di quella che si fa augurando Buon Natale al vicino di casa. Augurarci (o sperare) ad esempio che la crisi sia solo una favola per bambini cattivi, che ci sia lavoro per tutti, che la classe politica emendi sè stessa, che i giovani possano metter su casa, che la parola precario possa riferirsi solo all'equilibrio dei funamboli, che i malfattori paghino il fio, che i poveri vengano ristorati, che le donne diventino davvero libere, che chi vuole scegliersi una vita, una fede, un sesso, una maniera di vivere e di morire possa liberamente farlo. Ecco, vi (ci) auguro questo e altro. Se poi preferite semplicemente essere felici, qualsiasi cosa questo voglia dire per voi, vi auguro che ciò comprenda anche qualcuna delle cose di cui sopra.