Spiaggia d’affogati, cani inquieti,
disarmati bastoni in ampi
lanci vuoti,
riva di ciottoli e relitti.
Possesso e perdita
- a perdita d’occhio -,
e un vento che trasporta nuvole barocche
e insieme l’idea stessa che avevamo
partorito.
E’ in questo preciso posto, credo,
che l’opera si è conclusa, qui
seduti a cercare il silenzio,
a prestito,
di un luogo che non ha colpa,
tranne questo delitto di fine estate,
il décollage da assi fradice
di circhi e tigri
e brani di singole parole
con cui avremmo potuto riscrivere
i nostri nomi, l’opera,
l’idea stessa del suo farsi
menzione o atto.
L’opera era avulsa dal luogo:
era accettabile purchè un dovunque possibile
con semplici tocchi di pennello fosse
in un luogo immutabile,
un luogo di puro proscenio agnostico.
Non stava là, la finzione:
era semmai metafora,
orizzonte indistinto e perciò
promettente come un futuro
senza necessari dove.
Ora si raschiano intonaci,
si disseppelliscono altri porti,
i muri sono senza parole,
senza cornici le nostre esistenze.
E qui, ora, ammutoliti,
il luogo non è
e non essendo ci turba,
perchè noi non possiamo essere noi
senza di esso.