Ricevo dall'amico Gian Franco Fabbri e pubblico volentieri alcuni testi tratti da "Bucare la polvere" di Katia Zattoni
Non so se puoi dirmi
Non so se puoi dirmi
dove vanno a finire
le parole che pensiamo
e che non trovano fiato
per andare aldilà della bocca.
Forse tornano a essere lettere
- monadi imbozzolate
nelle cellule della mente -.
O forse stanno sospese
- anarchia di sillabe sciolte -
su losanghe di respiri in gola.
Di certo può essere virtù
non tentare di rianimarle
perché siano sciattume rinvoltolato
**
Le stelle brillano anche quando la notte è finita
Le stelle brillano anche
quando la notte è finita
e se non le vediamo
è per difetto di costruzione,
- errore di calcolo che
modella la nostra essenza -.
Adoriamo l’ovvio, consumiamo
l’usuale e non deviato,
film e biscotti della pubblicità;
seguiamo i consigli per gli acquisti,
evitando con cura l’intrigante,
il curioso movimento
laterale che sfiora appena i sensi.
E mentre predichiamo che
l’altro è diverso, abbiamo deciso
che chi muore scompare,
che la guerra è terapia chirurgica
dagli insoliti effetti collaterali.
Ma se chi muore scompare
forse più tardi tornerà, come
la luce delle stelle che brillano
anche quando la notte sarà finita.
°°
Primavera 2003, Baghdad
Nello sfondo incombente muro
- vago ostacolo all’insulto -
e giù in basso un uomo:
sulle gambe d’inutile padre
il figlio che oramai non è più.
Più in là poco rimane della casa,
ma è nitida vernice blu la scritta In vendita.
da "Bucare la polvere" - Ed. L'Arcolaio 2008
Dalla prefazione di Augusto De Molo:
"Si può affrontare in vari modi. Dico leggere una raccolta di testi poetici.
Si può praticare la cosiddetta full immersion: iniziare dal primo verso cioè e poi via fino all’ultimo per lasciarsene trascinare, come se dovessimo essere noi a scoprire da soli il senso dell’insieme, quasi che l’autore non avesse voluto o potuto consigliarci un percorso. Va bene anche così, certo.
Oppure può darsi che l’autore sia stato - per così dire - più cortese e che ci abbia lasciato qualche indizio, qualche chiave di lettura che ci permetta di affrontare il viaggio tra i suoi versi con più agio.
Ecco: a me piace accettare le indicazioni di chi scrive, specialmente quando sono sommessi suggerimenti, orme leggere da scoprire, magari sapendosi porre nell’angolazione giusta per vederle; l’elemento di un paradigma indiziario che, suggerendo una ricerca, apre un dialogo silenzioso tra Lettore e Autore; un ludus cioè, un gioco stimolante per la mente e forse anche per il cuore.
E’ il caso di questa raccolta di Katia Zattoni.
Il suo Bucare la polvere infatti si articola in tre sezioni, ognuna col suo titolo particolare, anzi coi suoi titoli, visto che ognuna di loro ne ha uno in italiano e uno in inglese.
Ma guarda - si dirà - , una traduzione un po’ inutile, magari una nuova manifestazione della solita anglomania di noi provinciali italioti : così ci sentiamo più moderni, più trendy, poiché, come direbbe un seccatore, docti sumus.
Invece a no. Non si tratta infatti di traduzioni, ché for living non si traduce affatto intorno alla realtà, né for loving dentro il sogno, né tanto meno for the loyalty dedicate.
Allora? Non sarà questo già un primo indizio, la prima sommessa indicazione di un percorso che l’Autrice ci suggerisce? In questa discrasia tra i titoli italiani e inglesi si potrebbe aprire un varco, l’indicazione di quella angolazione di cui ho parlato poco sopra, quella cioè che permette di vedere le tracce leggere che l’Autrice ci ha lasciato e quindi di entrare in colloquio con lei. ..."
°°
Dalla postfazione di Davide Argnani:
"Spesso il sogno retorico dei poeti è quello leopardiano di ingombrarsi di pensieri. Anche quando non ce n’è bisogno, oggi quasi tutti i poeti si sentono immersi da un velo d’angoscia o presi dal diletto “de’ nostri affanni”. Per Leopardi una scelta incontaminata e sublime perché dopo tutto credeva sul serio nel rinnovamento della vita e dei pensieri. Oggi il progresso è considerato soltanto benessere, senza sofferenze e senza significati. Perciò sono rimasto colpito dall’incipio dell’opera prima di questa nuova poetessa perché la sua rabbia poetica si snoda tutta e subito ‘intorno alla realtà’. Nella prima parte dell’opera l’autrice si misura in presa diretta con il vivere quotidiano e impegna la propria volontà critica a riflettere senza scrupoli. Mette in evidenza tutto il suo disagio civile, tenendo sempre ben viva la volontà di continuare a credere nel valore della parola in un ostinato confronto con l’altro. “Sto sulla soglia e lascio / netti graffi d’unghia…” affinché “dalle fauci voraci del tempo”, sembra voler dire la poetessa, ne esca verità e purificazione perché, in fin dei conti, “le stelle brillano anche/quando la notte è finita” nonostante il suo poeta ispiratore insista a dichiarare che “né di sospiri è degna la terra”. Per la poetessa l’infinita solitudine non è altro che un insieme di “rette parallele / destinate a non incontrarsi mai” e invece, paradossalmente, secondo me i paralleli combaciano ogni volta che la poetessa si contraddice volutamente. Sia perché abbandona ogni forma di lirismo, sia perché ritrova la realtà dentro il sogno nell’incastro con le parole dedicate al dialogo con i personaggi reali, essenza viva del legame quotidiano con il mondo.
Katia Zattoni offre una scrittura schietta, scarna, priva di ogni enfasi. Pur scrivendo da anni e in maniera assai serena e personale, non immaginavo ora di potermi sorprendere da nuove espressioni e considerazioni sul suo lavoro che conosco da tempo. Leggendo e rileggendo questi ultimi versi posso intuire che Katia Zattoni sia riuscita ad abbandonare ogni forma di retorico lirismo, scoprendo nuovi segni, nuovi suoni, per cui in testa mi rintoccano ritmi e frastuoni ora sottili ora sordi, proprio secondo primitive percussioni dove “pure il vento muggía nella foresta” come canta sempre il Leopardi. ...".