Artista plastico molteplice, Georges Rousse associa la fotografia alla scultura, alla pittura o al disegno; sceglie luoghi d’abbandono, siti industriali in disuso, edifici disertati, lasciati all’oblio, già preda del silenzio . Negli anni 80 inizia a dipingervi sui muri presenze umane, figure in movimento portate dal respiro della sua figurazione libera. Le pitture si inseriscono nello spazio ispirandovi nuova vita; le loro silhouette incominciano a circolare in quei luoghi restituendoli al mondo dei viventi. Più tardi, a partire dal 1983, è la concezione astratta della visione architettonica ad essere investita; sono i volumi geometrici aggiunti come forme virtuali al luogo reale in una ridistribuzione dello spazio giocata sulla luce. Tali installazioni effimere sono, infine, fissate dall’istante ultimo e unificante dell’immagine fotografica. La fotografia in Rousse lascia traccia come una vera e propria “scrittura della luce al suo ultimo passaggio”.
Attraverso alcune immagini …
“Ho fatto una serie di immagini in Italia che si chiamano Embrasures dove gli spazi sono totalmente rossi e monocromi. Ho amato questa sensazione forte del rosso che è veramente uno spazio interiorizzato, e, allo stesso tempo, visivo e fisico. ” Siamo nel fuoco, chiaramente dentro la brace. C’è l’esperienza intima che si prova in questo faccia a faccia con il colore, immersi dentro la sostanza del rosso, a stretto contatto con la sua energia, la sua vibrazione incandescente quando gli interni del luogo iniziano a funzionare come una camera intima, proiezione dentro il sé, luogo di passaggio costante tra l’architettura e il corpo. A Latina nel 1987 George Rousse trasforma lo spazio attraverso l’immersione in un rosso monocromo; nella solitudine della luce vi fa sentire lo spazio come qualcosa di intimo, abitato e vivente, trasformato dalla sensazione che il colore imprime sulla vostra pelle. Il luogo diviene uno spazio sacro, essenziale e esistenziale. Si entra nell’opera come in un viaggio simbolico penetrando al più interno di sé stessi. Scrive a questo proposito Rousse: “Attraverso le mie foto cerco di ricreare, di riprodurre questa possibilità di entrare nell’immagine, nello spazio e che sia una relazione interiore e non semplicemente un’azione o una reazione visiva”. Si entra in questa camera rossa monocroma camminando attraverso corridoi che seguono ad altri corridoi e si è come portati, ad occhi chiusi, a contatto profondo con il sentire del corpo, verso questa regione del silenzio che confonde o espande i limiti della nostra percezione. Nulla è aggiunto, nulla di superfluo; solo la luce è sufficiente a creare un’incidenza sulla scena aprendo dei passaggi virtuali che conducono dall’interno all’esterno di sé.
Assenza Il vuoto e la sua materializzazione nello spazio. Usare la fotografia come “mezzo per” appropriare, tradurre, pensare, dare forma al vuoto in sensazioni visive. “Scrutando ogni porzione dello spazio ho capito che il vuoto era troppo grande e che bisognava in qualche modo riempirlo. O al contrario che bisognava rompere per ricostruire. Maniere di occupare lo spazio diversamente”.
Architettura,pittura, fotografia; “ Ho iniziato con la fotografia per cercare di sviluppare il mio proprio percorso;le mie referenze erano i grandi maestri americani della foto di paesaggi, d’architettura. poi ho desiderato intervenire direttamente sullo spazio fotografico propriamente detto. Non sull’immagine ma sulla realtà stessa. Ho dunque cominciato a dipingere dei personaggi sui muri. Come la proiezione dei miei sogni. Ho sentito che c’era una forte relazione tra lo spazio e la pittura e che questa traspariva attraverso la fotografia.”Le installazioni si nutrono dei luoghi che investono: restano “all’ascolto” dei rumori, delle sensazioni ma anche della materia, dei muri, degli accidenti che irrompono dal caso. Improbabili, incerti, sfuggenti, si rendono intangibili allo sguardo fino all’istante in cui sono captati dall’immagine fotografica.
Nudità Porte socchiuse, finestre aperte verso il cielo, l’idea di incandescenza, di purificazione, di un fuoco che purifica. Dare al luogo la potenza e l’aurea del vuoto. Come se quel vuoto diventasse completamente posseduto, abitato dalla luce e dal colore. Un luogo svuotato da ogni presenza umana e che possiede l’immanenza di quello che non è più, come in un sogno o in una visione. La materia si riduce a “l’evidenza luminosa del luogo”. E’ un po’ questa immagine effimera, quasi inesistente, appena percettibile che ci riporta in qualche modo all’a-luogo di una “profondità primordiale”, necessaria per dare senso alla nostra esperienza presente. Quello che la fotografia riesce a catturare. Attraverso lo specchio; traversata che resta la condizione essenziale di tale spostamento. Dallo spazio visibile al luogo visivo dell’immagine. Attraverso lo specchio.
Luce Fare astrazione del luogo per liberare la creatività del suo potenziale invisibile in una visualizzazione immaginativa. La luce lo espande, lo de-materializza. Quando qualcosa mi colpisce di uno spazio ci sono rapidamente linee che iniziano ad affiorare, in controluce, a prendere forma non ancora visibili a questo stadio ma di cui si percepiscono già i contorni vaghi, che appaiono e scompaiono a tratti. A poco a poco diversi rapporti di forza si disegnano. I luoghi non ci appartengono veramente: dobbiamo attraversarli temporaneamente, entrare nel loro ciclo vitale, inserirci nel loro respiro, prolungarne la vita che non posseggono più anche a costo di passare attraverso la loro distruzione. Se ci appaiono morti dobbiamo portarli verso un altrove vivente, risvegliare in loro quel respiro.
Traccia, colore. Un’apertura, semplicemente un’apertura. Una camera inondata di luce. Il riflesso di quella luce continua a fare schermo, a irrompere verticalmente e orizzontalmente nello spazio, a creare linee, improbabili figure. Svuotato e poi saturato dalla potenza del rosso monocromo esso si riveste di un’aurea,il sacro della sua forza spirituale.
Parole, scrittura, poesia visiva nello spazio
La poesia entra nella materialità del luogo. Rintracciare attraverso la presenza dei quattro elementi l’idea di creazione. La parola “Gaia” dal greco significa terra; “acqua” é l’idea di trasparenza, liquidità infinità. “Light” è la luminosità ma anche leggerezza. L’aria infine: inconsistente, vacua, effimera, vuota ma anche aerea, leggera, volatile, in mutazione costante, inarrestabile. Le parole: un altro modo per abitare lo spazio, qui attraverso la poesia.
Emergenze E’ in questi spazi vuoti che incomincia a proiettarsi una visione. Un’immagine approda in superficie come fosse sovrapposta a questo fondo disabitato, giocata in una tensione estrema tra “emergenza” e “sparizione”: la rivelazione di qualcosa che si lascia intravvedere inatteso, imprevedibile, ancora avvolto nei limbi dell’informe dai quali si è staccato a fatica come per un movimento sotterraneo, in controluce e inevitabilmente nutrito della propria morte. In questi spazi vuoti, disertati tutto può iscriversi, accadere; l’immagine può divenire visibile nella sua integralità, nella sua integrità, infine. Una superficie altra rispetto a quella nella quale ordinariamente si iscrivono le cose. La creazione su una scena sarebbe la riunione tra queste due superfici: il reale e l’irrazionale, il segreto e il manifesto, il visibile e l’invisibile. Ci fanno pensare a movimenti ampi, lenti, d’una semplicità estrema, indicibile : li percepiamo nella loro vastità e nel loro silenzio e che generano il vuoto di un “lasciare apparire”: movimenti in “togliere” in lasciar venire, fatti per aprire spazi per esistere, per esprimere.
Altre immagini dell'artista: http://www.georgesrousse.com/accueil.html
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