Pubblico qui una seconda lettura, su punti diversi e con note, fatta da Alfredo Riponi sul bel libro di Daniel Heller-Roazen "Ecolalie - Saggio sull'oblio delle lingue", edito da Quodlibet. Anche da una lettura frettolosa tipica dei blog (brutta abitudine che andrebbe contrastata, meglio scaricare il testo e leggerselo con calma) si possono afferrare i non pochi elementi di riflessione, non solo dal punto di vista critico ma anche da quello della scrittura poetica, della poesia "poetante". La precedente lettura è reperibile qui
Daniel Heller-Roazen, Ecolalie. Saggio sull’oblio delle lingue
“Il bambino si diverte a ripetere parole per se stesse, per il piacere che gli procurano e senza alcun adattamento agli altri, senza interlocutori.” (J. Piaget)
“Ce qui marque principalement ma petite enfance, outre la recherche, la capture, le maniement des bêtes, c’est mon bégaiement (je ne puis ‘lancer’ les phrases qui débutent par une voyelle etc.) … ” (P. Guyotat)
“Ci sono molte passioni in una passione, e ogni sorta di voci in una voce, tutto un rumore, glossolalia. ” (G. Deleuze - F. Guattari, Mille piani)
L’apice del balbettio. L’infinita produzione dei suoni del bambino, segno che contiene in sé tutte le lingue. Il bambino è costretto a sacrificare la molteplicità all’uno, alla lingua madre. Gelosia della lingua madre che non tollera l’ombra di un’altra. Dal balbettio al silenzio, il bambino sembra perdere la sua voce. L’essere parlante del bambino è ora costituito da un universo di suoni finiti contro l’infinità del balbettio. “Rimane l’eco di quel balbettio indistinto, immemoriale…”.
Aleph. Lettera dell’alfabeto ebraico impronunciabile. “Un suono che è uno spasmo toracico”. Aleph è solo il segno “dell’inizio del suono nella gola, udibile quando essa si schiude” (Spinoza). Così, sul Sinai Israele, secondo Maimonide, “non udì altro che un solo suono, e lo udì una volta soltanto”. “Secondo Scholem quel suono fu la lettera aleph della parola anokhi (io) con cui inizia il primo comandamento.”
La voce udita sul Sinai diventa la voce silenziosa della scrittura che inizia con una lettera di cui non si ricorda il suono, così come il bambino non ricorda i suoni del suo balbettio. La parola, l’alfabeto, la scrittura “custodisce l’oblio” della voce.
Fonemi in via di estinzione. Parallelo con i fonemi perduti delle lingue, come la e francese, che rimane però nella poesia, lettera silenziosa che riappare e conta, nel conteggio delle sillabe. Verso di Mallarmé: “Ce lac dur oublié que hante sous le givre”, dodici sillabe se è fatta risuonare la e finale di hante.
“La musica delle lettere, secondo Mallarmé, rinnova il linguaggio radicandolo nell’inconscio e nel corpo.” 1. Altri codici ha la poesia rispetto al linguaggio codificato. “La tua ineffabile presenza \ rischiarata nei codici della poesia” 2 .
Binari morti. È solo perché le lingue non esistono senza le persone che le lingue muoiono con le civiltà, perché le lingue si trasmettono per via familiare, nell’infanzia avviene il vero processo d’apprendimento d’una lingua che si struttura sopra frammenti ecolalici.
Soglie. Forse le lingue si mutano in un’altra, ma non muoiono, attraverso un lungo periodo di transizione fino alla soglia finale. Come Proteo, il linguaggio è un essere inafferrabile.
Slittamenti. L’inafferrabilità dell’essere del linguaggio fa supporre una lingua dimenticata che rivive nella diversità delle nuove lingue. 3
Metamorfosi. Con il tredicesimo capitolo si entra nel campo della letteratura. Dalle “Metamorfosi” di Ovidio: Giove per nascondere il suo adulterio alla moglie è costretto a trasformare la sua amante, la ninfa fluviale “Io”, in una mucca. Con la dolorosa metamorfosi “Io” perde anche la parola. “Nella sabbia del fiume Inaco, l’animale muto ora tracciava ‘lettere al posto di parole’, una linea e un cerchio. […]. I e O erano sufficienti a raccontare l’intera storia del ‘triste mutamento’, e il dio-fiume (suo padre Inaco) fu il primo a leggerle”.
La scrittura del nome “IO” è l’unica traccia del mutamento. “Questo resto è il nome scritto dalla ninfa scomparsa”. “IO” tracciato sulla sabbia “designa” la trasformazione, testimonia il mutamento, “tradisce” la metamorfosi. 4
“La scrittura, in breve, è una creazione della mucca: quel resto prodotto dalla definitiva scomparsa della voce”. Anche nell’esilio dal proprio paese (l’esempio di Hannah Arendt) la lingua è quel che resta, la lingua madre è quella che non si può perdere. Ma, aggiunge Heller-Roazen, la ninfa a differenza di H. Arendt non possedeva una lingua, “ciò che della ninfa persiste dopo la metamorfosi può essere solo qualcosa che ella non aveva mai posseduto, a cui era pervenuta nella perdita e nella disperazione: la scrittura”
La voce perduta di “Io” come la voce perduta di Mosè di fronte al tuono divino, significa la comparsa della voce interiorizzata che è scrittura su pietra (comandamento) o su sabbia (IO), e finalmente poesia nella lingua dei poeti (H-R cita Brodskij e Auden) che come la ninfa scompaiono nei versi, resta la loro voce, la scrittura segno della metamorfosi.
Da Ovidio a Poe. La voce di Valdemar nel racconto di Poe sembra provenire da una caverna sotterranea, ha quasi un rilievo fisico. La lingua sopravvive al corpo, proviene da una “distanza enorme”. È una voce che ricorda uno stato anteriore, l’essere in vita dormendo, l’essere morto come stato “impossibile da dire”. È solo una trasformazione, la metamorfosi ultima: “la pelle del corpo assume ‘una sfumatura cadaverica, venendo a rassomigliare non tanto alla pergamena, quanto a un foglio di carta bianca’ (Poe), il corpo diventa carta e penna, la vita si trasforma in scrittura”. Ancora una volta la lingua pronuncia un “Io” sono morto. Come nelle iscrizioni funerarie della Grecia arcaica, la scrittura è sempre postuma. La scrittura rende sensibile un’assenza; l’Io designato dalla voce priva di corpo è un essere-qui, è la “lingua-senza-corpo che scrive” e “sopravvive risuonando da una distanza enorme, o da qualche profonda caverna sotterranea” 5 . Immagini e voci che sono il mondo delle nostre paure, il mondo nascosto dentro di noi, una “forza orribile” che ci incalza e si manifesta quando siamo più indifesi e deboli. Durante la notte.
Quella che ascoltiamo” scrivono Deleuze-Guattari in Millepiani, a proposito di Canetti (enantiomorfosi) “è una parola d’ordine che è sentenza di morte, simbolica, iniziatica, temporanea” 6 .
La lingua salvata: Canetti. Oltre alla lingua madre, quella della famiglia; ci sono altre lingue dell’infanzia, quella del paese in cui si vive, quella che i genitori parlano tra loro il “tedesco” di Canetti. L’insegnamento del tedesco da parte della madre, basato sull’oralità e impedendo al bambino di servirsi del libro. Mentre il bambino Elias Canetti ricordava il significato delle frasi in inglese (la lingua che sapeva già), in tedesco poteva solo ripetere le frasi, ma esprimerne il significato si riduceva a “qualche balbettio”. Il bambino Elias passa il tempo a ripetere frasi che non può ne leggere ne scrivere: “Non sentivo più il vento, non ascoltavo la musica, in testa ormai avevo soltanto quelle maledette frasi tedesche e il loro significato in inglese”. La madre lo aveva imprigionato nella sua “lingua materna”. Dopo che la governante ebbe convinto la madre a dare il libro al bambino, Canetti scrive: “Le sofferenze più atroci erano finite con l’accesso al libro”. L’incontro con la scrittura si rivelò decisivo per Canetti. La lingua dell’infanzia dimenticata trova una nuova musica attraverso una nuova lingua. Come la lingua della poesia, che è sempre un’altra lingua tradotta dalla lingua madre. 7
Louis Wolfson – Gilles Deleuze. Louis Wolfson, l’autore del libro pubblicato a Parigi con la prefazione di Deleuze, non sopportava alcun suono della lingua madre. Scrive il suo libro in francese e parla di se stesso in terza persona. Lo schizofrenico ha bisogno di questa nuova “lingua straniera solo espressiva” per scoprire “le proprie profondità” (Deleuze).Deleuze in una pagina molto bella di “Logica del senso (LS)” metterà di fronte il “senso incorporeo” offerto da Lewis Carroll alle sue bambine e le profondità del linguaggio del “corpo senz’organi e senza genitori” di Artaud. La superficie ha i suoi mostri (in Alice), la profondità ha soltanto le sue sofferenze 8. Per Wolfson è la costruzione di una “Tour de babil” (Torre di balbettio) che nel suo “cervello ecolalico” guarisce, o cerca di guarire, “le ferite inflitte dai suoni della lingua materna”.
La storia di Abu Nuwas. Ovvero come si diventa poeta. Prima di mettersi a scrivere gli viene imposto di “mandare a memoria mille brani di poesia antica, inclusi canti, odi e versi d’occasione”, quindi di recitarli e poi di dimenticarli nuovamente, come se non li avesse mai appresi. Abu Nuwas si ritira in un monastero in totale solitudine e quindi dimentica. Solo allora gli è dato il permesso di comporre. È un apologo, perché ovviamente l’oblio assoluto è impossibile, soprattutto inverificabile. Ricordarsi di dimenticare è un esercizio continuo e passa attraverso la scrittura: passi sulla sabbia che si cancellano con il vento o altre orme.
Dialogo dei massimi sistemi: Landolfi. “Continuare a inghiottire le notti o almeno prendermi l’impegno di parlare per loro” (Night must fall). Ripetizione dei suoni a cui deve esercitarsi il poeta, in un altro racconto di Landolfi, per raggiungere il canto dell’assiuolo. Nel Dialogo dei massimi sistemi il protagonista è convinto si possa scrivere versi solo in una lingua straniera, incontra una sera un capitano inglese che sostiene di parlare numerose lingue straniere e si offre di insegnargli il persiano, poi scompare. Y. (nome del protagonista) a questo punto ritiene che sia giunto il momento di confrontarsi con la lingua scritta, compra il libro di un poeta iraniano ma si accorge di non comprendere i caratteri scritti.. Con orrore si accorge di non aver imparato il persiano né una lingua simile, ma che gli è stata insegnata una lingua che non è mai esistita. Per Y. il punto terribile della situazione non è l’aver perso tempo ad imparare un idioma inesistente, ma l’aver scritto tre poesie in quella lingua mai esistita. Non è neanche una lingua morta perché non ha un passato come le iscrizioni indecifrabili sulle pietre. Da quale oblio sia sorta quella lingua, se dal capitano o da Y. non è dato sapere, ma “testimone dell’oblio è la lingua della poesia” che, come dice il poeta Y. “anche se non so come chiamare, è bellissima, bellissima, e io l’amo molto”. Il poeta ha bruciato i suoi vecchi appunti “che avrebbero potuto costituire la grammatica o il codice della lingua”; le note sono il codice della lingua della poesia.
La confusione delle lingue: Babele. Secondo il trattato Sanhedrin del Talmud babilonese, la confusione delle lingue fu la punizione riservata agli idolatri. Nel Talmud babilonese c’è anche un’osservazione che è lasciata passare senza commenti: “l’aria attorno alla torre fa perdere la memoria”. Siamo tutti eredi degli abitanti senza memoria dell’ultimo “frammento” della Torre di Babele. Forse, conclude Heller-Roazen, “non abbiamo mai lasciato la torre, ma non sappiamo di abitarla”. 9
lettura capitoli: I. – III – IV – VII – VIII – X – XIII – XV – XVI – XVII – XVIII – XIX –XXI
Daniel Heller-Roazen, Ecolalie. Saggio sull’oblio delle lingue, Quodlibet 2008, pp. 264
Note:
1 “Segno, traccia, nell’inconscio, nella regione infantile del linguaggio, nella chora platonica, il ricettacolo più arcaico del significato, fatto di suoni, di infinite vibrazioni della lingua.” (J. Kristeva)
2 “La tua ineffabile presenza \ rischiarata nei codici della poesia \ nei tuoi sogni infuocati, solo un respiro di me, \ lontanissima eppure così vicino a te” (R. R. Florit).
3 “Nella transizione da una lingua a un’altra resta sempre qualcosa, anche se non c’è più nessuno a ricordarsene. Perché una lingua conserva più di quanto non facciano i suoi parlanti e, come una lastra di minerale segnata dagli strati di una storia più antica di quella degli esseri viventi, reca l’impronta delle epoche che ha attraversato” (cap. IX Strati)
4 “Grazie alle parole possiamo pensare distintamente, in causa è unicamente il nostro modo di rapportarci all’oggetto e di identificarlo; più che averlo davanti agli occhi, lo designiamo.” (E. Lévinas)
5 “ … che il linguaggio persiste pur nella sparizione di chi lo parla, che la lingua resta, come la superficie ‘annerita’ di una carta ‘bianca’, a testimonianza della scomparsa di ciò che sembrerebbe rappresentare” (cap. XV Aglossostomografia)
6 “È con la morte che finisce un corpo, non soltanto nel tempo ma nello spazio, è a causa della morte che le sue linee formano, fissano un contorno. Vi sono spazi morti come vi sono tempi morti. « La ripetizione dell’enantiomorfosi conduce a una riduzione del mondo […]; i divieti sociali di metamorfosi sono forse i più importanti di tutti […]. È la morte stessa che s’interpone tra le classi, strettissima frontiera. »”. (Deleuze Guattari, Millepiani)
7 “Scrivere poesie è già tradurre, dalla lingua madre in un’altra… Nessuna lingua è la lingua madre…” (Marina Cvetaeva). “Tale sarebbe allora l’elemento definitivo della parola. Lo spazio in cui ogni lingua, mossa da una musica che oltrepassa i suoi confini, traduce se stessa per passare in un’altra, che sia francese o tedesco non importa”. (cap. XVI Hudba,)
8 “Per il bambino il primo approccio con il linguaggio consiste appunto nell’afferrarlo come modello di ciò che si pone come preesistente, come rinviante all’intero campo di ciò che è già lì, voce familiare che veicola la tradizione, in cui si tratta già del bambino per via del suo nome e in cui deve inserirsi ancor prima di capire” (Gilles Deleuze, LS)
“ Carroll …aspetta (il bambino) al punto e nel momento in cui il bambino ha lasciato la profondità del corpo materno, ancora non ha scoperto la profondità del proprio corpo, breve momento di superficie in cui la bambina sfiora l’acqua, come Alice nel lago delle proprie lacrime”. (Gilles Deleuze, LS)
“ Artaud è il solo a essere stato profondità assoluta nella letteratura, ad aver scoperto un corpo vitale e il linguaggio prodigioso di tale corpo, come egli dice, a forza di sofferenze.”. (Gilles Deleuze, LS)
9 “C’è nel linguaggio una funzione simbolica: ma dopo il disastro di Babele non deve più essere cercata […] nelle parole stesse, ma piuttosto nell’esistere medesimo del linguaggio, nel suo rapporto totale con la totalità del mondo, nell’incontro del suo spazio con i luoghi e le figure del cosmo.” (Michel Foucault, Le parole e le cose)
“Beckett. Sta sulla torre di Babele come chi è paralizzato dalla costante presenza della molteplicità confusiva, non ordinatrice, delle lingue. […] Da quella lingua estranea egli prova a redimere la lingua che vi sta racchiusa, prigioniera, e la lingua prigioniera nella traduzione si libera, e liberandosi scopriamo che parla piuttosto inglese che francese… O meglio in inglese (e cioè nella traduzione) balbetta una verità più forte di ogni altra.” (Nadia Fusini, Beckett by Beckett postfazione a Mal visto mal detto)
“C’est par le récit de la tour de Babele et l’écho de quelques voix allemandes que je comprends que d’autres parlent d’autres langues, et qu’il y a beaucoup d’autres humains que nous” (Guyotat, Formation)
Alfredo Riponi
Su ImperfettaEllisse Daniel Heller-Roazen, , Quodlibet 2008 “ Pubblico qui una seconda lettura, su punti diversi e con note, fatta da Alfredo Riponi sul bel libro di Daniel Heller-Roazen "Ecolalie - Saggio sull'oblio delle l
Tracciato: Giu 27, 23:59