Venerdì, 28 marzo 2008
Poesia matura, perché - per quanto corredata dagli inevitabili rimpianti e malinconie – è poco incline a sentimentalismi e anche, tutto sommato, poco lirica, con poco io, anzi poco ego. Poesia disillusa e consapevole di non essere affatto taumaturgica e lenitiva (o forse un “soffio che resiste / insistere senza sgomento / né speranze”), e perciò in grado di avere anche un’aura sibillina, di dare al lettore informazioni che sono ambigue (etimologocamente parlando) perché vivono delle ambiguità del lettore stesso (e non è un caso che una delle raccolte di Amarelli si intitoli “Notizie dalla Pizia”). Che dire infatti di poesie come “varco”, se non che evidenziano antinomie che sono quelle della vita di tutti, bivi rispetto ai quali nessuno ti può consigliare quale strada intraprendere, andare arrivare, passaggi attraversati dal fare e dal dire (e se è vero che “non ha parole la vergogna”, è anche vero il contrario, grazie a Dio). Rispetto alle cose il poeta è un dio minore, capace semmai di defilarsi “scansati gli umani”, e “battendo le mani” scomparire, tanto “il mondo attende che nulla accada”. E tuttavia questo dio minore consiglia “tieni il valico aperto sul non detto”, “danza oltre te stesso”, cioè consiglia di essere poeta , che non di altro si tratta, guardare oltre. Certo sul piano simbolico le antinomie (vedi “et in Arcadia ego”: chiudere cerchi aprendoli. vecchia/bambina, buio/stelle) non denotano solo l’ambivalenza delle opzioni davanti a cui ci troviamo, ma anche la definizione del linguaggio poetico, non solo quello di Amarelli ma (spesso) in generale: sapienziale, connotativo, sfumato, allusivo, allegorico, lasciato da ultimo alla responsabilità/interpretazione del lettore/postulante. Certo, si può tentare di usare sulla realtà la ragione (v. “ratio”), il “rasoio della mente” (sì, proprio il famoso rasoio di Occam, suppongo). Ma la ragione non ha dimensione “poetica”. Anche se “la mente giunge, arriva, precipite / e sicura ed è compiuta”, essa non è “sazia”, è vittima di un tarlo che rosica “finché s’arrende e apre le braccia”. E in questa apertura, in questo varco, forse, passa la poesia stessa.
nota: tutte le poesie sono inedite in rete tranne “et in Arcadia ego” e “ratio”.
da “Fuorigioco” Joker, 2007
(dio della goccia)
Finché una mattina svegliandomi
scoprirò d’essere infimo dio
e mi basterà ridere per alzare il vento
e battendo le mani scomparirò
imperfetta incompiuta,
scansati gli umani,
dio della goccia
svàpora ogni cosa.
(varco)
Lascia libero il varco
sgombera la soglia
a chi mai cosa possa arrivare
e andare via gli amati di un’ora o d’anni
taciti,
non ha parole la vergogna,
lascia si asserraglino i paurosi
nell’asfissia di sabbie mobili
buon senso,
tieni il valico aperto sul non detto
vele spiegate al riso del lattante,
danza oltre te stesso
e nel tuo passo si sciolga l’interdetto.
(Pasqua)
Il mondo attende che nulla accada, un fiato
l’aria repente si atteggia a serpente
in quest’aprile che sbianca a nuvolaglia
sotto i piedi scricchiolano braci
di viole fra schizzi di vernice,
arriverà la pioggia a dilavare i seni
le braccia di chi ama,
a messa il capretto mette l’ali
mancando l’olio la lampada al carburo,
respira il nulla, non era mai accaduto.
Inediti
(et in Arcadia ego)
Chiudere cerchi aprendoli
la vecchia e la bambina che sorridono
nel buio perse alle stelle
dondola il ragno culla un’altra tela
il vento addormentato tra le mani.
(ratio)
Nel rasoio della mente
numeri e stringhe danzano veloci,
la stonatura solo l’occorrenza da dipanare
affina le sinapsi
sin quando, sin dove
combaciano sbocciando
così la mente giunge, arriva, precipite
e sicura ed è compiuta
solo non sazia,
il picchio nell’orecchio, il martelletto,
rosica il tarlo,
oltre più avanti
finché s’arrende e apre le braccia
oltre, non basta
e s’amplia ed entra il gaudio del respiro aperto
e l’amoroso bronco ripara all’imperfetto,
l’erroneo del difetto, quello che è, oltrepassa
c’è e nel non c’è abbraccia
e il taglio, l’inutile, sparisce.
(migrando)
All’ultimo respiro, accettando
l’orgoglio del soffio che resiste
insistere senza sgomento
né speranze,
nell’aria il pulviscolo traspare
levare l’attesa
e l’impazienza, scomparsi
cassetti scatole e valigie,
finiti i viaggi e gli orologi
con quelle lancette tutte uguali,
all’ultimo tocco una voce
più luce, chiara limpida
la vita,
chi va a chi resta siate felici.
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