Rilancio qui un post di Marco Giovenale dal titolo "Qualche connotato del brutto", apparso il 10 febbraio scorso su Slow Forward, con qualche annotazione. Spero che a Marco non dispiaccia.
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arriva la segnalazione di un lungo testo (di autore italiano neanche giovanissimo) uscito ora in rete. si va a leggere - ed ecco: iterazioni (imbarazzanti) legate ad ambiguitas trita, inversioni a dozzine (”nel deposito arrivano”, “di un bambino il vero”, “perduto luogo”), aggettivazione lussureggiante, immagini veterosurrealiste a bassissima temperatura, io lirico legato a passato remoto, formule fisse (”nessuno vede”, “glorioso passato”, “bellezza sfiorita”), l’impersonale onnipresente nel “si” squartato (”s’apre”, “s’arrende”), vocabolario di cento parole, errori di ortografia, corsivi inopportuni, il “come” sostituito dal “quale” e magari accoppiato a inversione (”agisce quale aspro vino”: e via una citazione), uso di iperboli pacchiane a sostituire espressioni giudicate (a torto o a ragione) scontate. è poi evidente che all’origine dei testi stanno occasioni molto banali, ben semplici. vi viene sovrapposta una griglia formale grezza e vagamente retorica.
queste poche righe non sono scritte senza dispiacere. soprattutto perché qui si constata che:
siti e riviste accolgono colpevolmente i testi poetici senza suggerire nemmeno una traccia di editing. passi per chi sbaglia in prima persona e gioca le proprie carte sul proprio blog. ma una redazione che non si assume il compito di dialogare con gli autori che interpella, entrando anche in conflitto su alcune scelte testuali, è la conferma di uno stato di fatto (pessimo): assenza assoluta di critica, e soprattutto di trasmissione della critica. è un compito che le redazioni hanno sempre avuto, fin qui. e a cui stanno rinunciando, sembra.
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Riprendo questo post per diverse ragioni. Una è che si tratta di un modo di interloquire alla distanza con M.G. che, come noto, non ammette repliche o commenti sul suo blog, scelta peraltro che mi sembra di tempo in tempo sempre più condivisibile. Un'altra è che, come diceva una vecchia pubblicità, due è meglio che uno, e questo post contiene concetti che è bene ribadire e chiama in causa la nostra presenza sulla rete. Co-incidentalmente, proprio in questi giorni, pur aderendo a una iniziativa collettiva, ho rinunciato a rilanciare in questo spazio alcuni testi che, pur con tutta la buona volontà, non potevano essere pubblicati. Questi testi poi sono apparsi altrove. Dico subito che il mio è stato un giudizio estetico e per ciò stesso non dirimente perchè dei gusti non è dato discutere, ma decisamente di sbarramento. Ma dico anche che non ho certo la presunzione di aver fatto una non-scelta di qualche pregio, proprio per le ragioni che adduce Giovenale. Ovvero: ho creduto di rilevare il brutto, ma poi l'ho rimosso, non esponendo le ragioni critiche della rinuncia a pubblicare. Per quanto un blog non sia e non possa essere una casa editrice, io credo che il problema sia comunque presente, se il blog non è totalmente autoreferenziale, e che un esercizio della critica, in piccole o grandi proporzioni, sia sempre necessario, perfino tra amici. Il brutto (ma anche il mediocre che secondo Croce è moralmente peggiore del brutto perchè più insidioso, in termini di evidenza - cioè in medio non stat virtus) non è un concetto astratto, sebbene sia fluttuante nel tempo. Giovenale ne dà qualche breve connotato, è vero, ma legandolo correttamente a una griglia di riferimento stilistica e concettuale, e anche all'idea che se non fai critica non la trasmetti, non cresci. Credo che sia, in un ambito "suscettibile" come quello della poesia, l'unico approccio metodologico valido. Se poi qualcuno se la prende, pazienza...