Mercoledì, 26 febbraio 2014
Come ho scritto a Davide Castiglione quando mi ha chiesto se potevo rilanciare la notizia, un premio per la critica in più è una buona notizia, sarebbe ottima se fosse accompagnata da quella di un premio di poesia in meno. E' davvero una bella notizia, perchè di critica, o almeno di dibattito vero, c'è bisogno. Devo dire che in questo il sito "In realtà, la poesia" si impegna molto, insieme ad altri meritevoli. Spero prima o poi di contribuire in qualche modo. Stiamo parlando della prima edizione del "Premio per la critica IRLP", di cui è possibile leggere il bando QUI, che ha l'obbiettivo di "promuovere ed incentivare il lavoro in ambito critico attraverso un riconoscimento serio ed esplicito che ne premi l’eccellenza", ovvero la pubblicazione del saggio vincitore. Scadenza 30 giugno 2014.
Lunedì, 24 febbraio 2014
Pubblico qui "iato/reticolo" e "Altre conversazioni", due sezioni che non hanno trovato posto, per varie ragioni, nella mia raccolta “Diario estivo e altre sequenze”, Editrice L’Arcolaio 2012 (v. QUI). Non pensavo di pubblicarle in altre edizioni a stampa. Appartengono a una produzione in qualche modo trascorsa, ma sono comunque parenti strette di quelle apparse in "Diario". Qualsiasi commento è apprezzato. (g.c.)
Mercoledì, 19 febbraio 2014
Salvatore Ritrovato - L’angolo ospitale - La Vita Felice, 2013
La personalità seleziona la nostra memoria; infatti ricordiamo avvenimenti che corrispondono al concetto che abbiamo di noi stessi
dimenticando/accantonando tutto il resto. Questa è una apparente amnesia, così come osservò Freud all’inizio del secolo analizzando alcuni suoi pazienti,
perché tutto ciò che abbiamo incamerato come esperienza sarà conservato/catalogato nel nostro inconscio. Ciò che emerge a livello di coscienza, con
maggiore enfasi, sono quegli accadimenti che ci vedono coinvolti nel nostro rapporto con gli altri individui del mondo. Salvatore Ritrovato, nel suo ultimo
lavoro poetico, L’angolo ospitale , LVF 2013, sa ben inquadrare la nostra esistenza in una struttura culturalmente organizzata e significativa; struttura personale/sociale che comunica,
unisce, partecipa. Alcune poesie sembrano nutrire affermazione e negazione di molte ipotesi contrarie e antitetiche; l’autore pensa e accumula immagini in
un mimo che poi si apre in divaricazioni ampie, trasferibili, in modo circolare, corale, su altri spazi/piani intellettuali, a volte imprendibili al
lettore superficiale. Rievocare gli eventi per frequentarli nuovamente e per raccontarne le sfaccettature quotidiane porta l’autore ad attraversare una
crono-storia nitida e autentica delle cose così da valicare gli oggetti ricordati e i coinvolgimenti sociali in cui essi sono storicamente collocabili. La poesia riesce a sopperire alle mancanze, ai
pentimenti, ai rimorsi appartenenti all’uomo contemporaneo sublimandone i significati sociologici più complessi. Il reale, intriso di contraddizioni e di
retro-panorami, spesso non previsti, viene osservato con entusiasmo sincero, moderno: da qui scaturiscono versi ondulati, permeati di interiorità del
visibile. La poesia, secondo Ritrovato, è la possibilità che abbiamo per creare una cultura alternativa capace di soverchiare i vecchi sistemi: scoprirsi
protagonisti e clandestini dello stesso mondo ci permette di stabilire un assetto ambientale che non dà peso all’inquietudine, al tempo che scappa o alla
perdita di tempo, come spreco, alla morte, regina della vita che, occupa, recide, abbatte. Il libro contiene pagine di prosa in cui è sottolineata la
filosofia dell’autore che non si sente estraneo alla mutevolezza della storia, alle sue stravaganze. La via d’uscita al rumore/solitudine del mondo è il
mondo stesso che si fa angolo ospitale, accogliente, che può mutare, migliorare, anelare a schemi cognitivo/comportamentali sani, concreti, saggi. Il passato, e ogni sua memoria, e il presente,
con ogni sua fragilità, diventano un flusso vitale verso il futuro in cui è possibile ri-trovare lo scioglimento della tensione irrequieta. Il tempo, e la
sua fine, occorre visitarlo tutto, con umiltà. (rita pacilio)
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Giovedì, 13 febbraio 2014
Roberto Cescon - La direzione delle cose - Ladolfi editore 2014
A volte non è cosa buona e giusta appendere il proprio ragionamento al
titolo di un libro, usarlo come gruccia. Ma proviamo a vedere. La
direzione delle cose, in questo libro di Cescon, sembra intanto
suggerire una rappresentazione vettoriale della vita e del tempo,
attraverso le cose che li popolano. Niente di più occidentale di questo,
un autentico canone determinista e positivista - finché è durata.
Niente di più esposto alla crisi. Ma la direzione delle cose può anche
semplicemente essere, come dice l'autore nel secondo testo della
raccolta, quella della loro disposizione nello spazio, quella che ti
indica "come arrivare alla porta". Cose-pollicino, quelle che danno una
precaria e illusoria sensazione di stabilità, di aggancio alla realtà.
Di trovare la strada.
Ma le cose, si sa, non vanno da nessuna parte. Le cose, in questo libro
di Cescon. stanno fermissime, hanno una inquietante immobilità. Questo,
secondo me, ci porta subito ad una prima considerazione, alla scoperta
immediata dell'arcano: se le cose stanno ferme sono perfettamente in
sintonia con l'hic et nunc, con il presente congelato nel
rispecchiamento uomo/cose che è uno dei tratti ricorrenti di una buona
fetta della poesia odierna. L'apparente contraddizione tra questa
"direzione" e la bidimensionale stesura morandiana degli oggetti (come
in Morandi qui le cose fanno poca "ombra") va accantonata.
Ma, però, quali cose? In un suo recente saggio (v. QUI)
Davide Castiglione cerca ambiziosamente di affrontare le "cose" (come
voce lessicale) in qualità di topos ricorrente nella recente poesia
italiana, utilizzandolo quale indizio di una certa estenuazione della
scrittura. Vocabolo che passa nel tempo da una funzionalità nel testo,
come referente di realtà, come rimando a una concretezza che esso
sintetizza e insieme connota, ad una funzione epifanica o filosofica in
cui "cose" è riflesso speculativo, fino a un generico, "facile" e
generalizzante utilizzo del termine "cose", una scorciatoia per il vuoto
(tipo, cita Castiglione, il "faccio cose vedo gente" di Moretti). Una
questione non peregrina, se la si vuole assumere come sintomo di
impoverimento delle idee.
Ma qui, in questo libro, le "cose" hanno un nome, sono concrete, si
ipostatizzano in un limone, una damigiana, una pila di piatti, un
cappotto, un paio di scarpe, un passeggino, un bicchiere di amaro. E se
non sono oggetti sono fatti semplici, altrettanto concreti, come "la
mano di Anna la sera sul divano" o una riunione di condominio. Direi che
Cescon non fa poetica dell'oggetto. Pur con molti slanci lirici, siamo
lontani da Montale, direi per fortuna. Gli oggetti (intesi anche in
senso generale di obiectum) non sono rivelazioni di "altro",
rivelano semmai sé stessi o chi li osserva ("E' nelle cose la poesia /
quando si spaccano / o si fanno vedere"). Rivelano che qualcosa "esiste
prima" (v. sotto). Non c'è correlativo oggettivo, secondo la definione
che ne dette Eliot, cioè la catena che conduce all'emozione. Meglio, non c'è bisogno che ci sia. Giacchè,
io credo, Cescon ha una necessità - ed è il suo dato più interessante
-: respingere l'anonimato delle cose è un tentativo di limitarne
l'anomia, il disordine. Limitarne, in altre parole, l'entropia, le
variabili aleatorie, e con esse l'entropia della vita. Infatti quale
correlazione oggettiva c'è ad esempio in questo testo, a suo modo
esemplare?:
La direzione delle cose
La mano sulla sveglia ferma la notte
nel tempo che ancora ci prendiamo.
La tapparella taglia i contorni.
L'acqua nel termosifone è l’inizio
del giorno, le cose da fare.
Se dico ciabatte, arrnadio, servomuto,
so come arrivare alla porta.
La dlrezione delle cose é nelle parole
che dico, ma esiste prima.
Quando mi colpisce, cerco parole
per dirla, ma spesso non bastano.
Forse nel buio le cose
hanno una loro intelligenza
perché sono più di quello che siamo.
Direi nessuna, l'enumerazione delle cose concrete è come una maniglia a
cui il poeta si afferra per guardare fuori dal finestrino. La presenza
delle cose è costitutiva della vita, la marca distintamente, anche come
misurazione del tempo. La vita sfreccia fuori da questo finestrino,
senza epifanie. Essere e cose, direbbe Heidegger. Va da sè,
come nota Gian Mario Villalta, che in queste condizioni si sia
"esposti", deprivati di quella "opacità del sé", da quel "segreto" che
gli oggetti non hanno. Diventiamo trasparenti, cose tra cose, anzi le
cose "sono più di quello che siamo" E forse - ma Cescon non lo dice - ci
posseggono. E va da sé, come ancora annota Villalta, che "la stessa
lingua diventa ferocemente chiara, ridotta alla forma più denotativa".
Tutto torna, in un certo senso. Ma dissento dal prefatore quando afferma
che "si tratta di una rinuncia/impossibilità di inscenare la lingua
come luogo privilegiato dell'atto poetico". Direi che non ci fosse altra
scelta, in termini di forma, di selezione di un registro "basso",
colloquiale, dicibile, che certo avrà illustri fratelli maggiori ma è
quello giusto. La lingua è quella, l'atto poetico si instaura anche malgrado essa, se necessario. L'effetto è chiaroscurato, contrastato come una foto di cronaca, e con una interessante piattezza che
rende bene disillusione, fatalità del quotidiano, sdipanarsi dei
giorni. Rimane inespressa nel libro, ma sempre presente al lettore, la
domanda di dove (ci) porti davvero la direzione delle cose. Non
infinita, poichè - ci avvisa Cescon - "vivere era una retta, ora un
segmento". (g.c.)
Continua a leggere "Roberto Cescon - La direzione delle cose"
Giovedì, 6 febbraio 2014
Dopo i testi apparsi su Les Carnets d'Eucharis, tradotti in francese dal poeta Raymond Farina (v. QUI), e quelli, sempre nella versione francese di Farina, apparsi sul n.58 (autunno - inverno 2012, dedicato all'artista Gérard Titus-Carmel) della rivista di letteratura "Diérèse", fondata e diretta da Daniel Martinez (v. QUI), altri cinque, sempre per la cura dello stesso autore, sono stati pubblicati sul n. 25 della rivista "À l'index" diretta da Jean-Claude Tardif, nella sezione "Voix d'ailleurs". Ringrazio di nuovo Raymond Farina per il suo amichevole impegno e la grande disposizione d'animo con cui ha letto le mie cose. E' sempre di grande stimolo leggere dei versi, propri o altrui, come riflessi in un'altra lingua e in un'altra sensibilità. E' questa la ragione per cui li pubblico qui. E devo aggiungere, ad ogni buon conto, che le traduzioni di Farina dei miei testi e le mie dei suoi (v. QUI) non sono state un contraccambiarsi cordialità tra appassionati ma uno scambio di messaggi, note, spunti, suggerimenti. Insomma un esercizio assai istruttivo.
Bruissements
on se perd parfois dans les méandres
d'une prose discontinue
pas à la mesure des choses, comme
une zone morte... de quoi parles-tu ? tu regardes dehors,
des limites d'une aire domestique encombrée
d'objets crépusculaires défraîchis
et de couches de couches de couches de [...]
tandis que des bruissements derrière
et les derniers instants dont on n'a plus rien à foutre
distantes apocalypses... de quoi parles-tu ? - dis-tu -.
de certains paroxysmes
de quand les mots alignés
ont des trous terrifiants...
(tu peux même commencer)
tu peux même commencer
avec un phrasé inutile
si cela te fait plaisir.
T'échauffer la langue
contre un silence rêche
de tables, de mots,
de dominos noirs. Allonger
les jambes les articulations
de ta pensée, te cacher
les paupières.
Tu peux faire de ton souffle des volutes
bruire de pages expressives
dans tes rides.
Puis
ce qui compte c'est de tomber
dans le mortier des sensations
dans des débris de nuits infinis
et des douleurs aux doigts serrés contre les yeux.
De toutes les conversations
de toutes les conversions
reste un brouillon.
Mais dans ce vertige
ce mortier
le dernier mot n'avait pas d'importance :
(des étoiles glissaient sur la voûte
assommées, et l'aube
répertoire sur les paupières
lumière sur les murs)
elles étaient plutôt des abjurations.
Désillusion d'aujourd'hui -1
Pour cela on disait stupeur :
un souffle suspendu dans la distinction
rapide des décisions
ou des destins
- entre corps et terre, étrangetés
frontalières, ciel et âme
dans des terrains incultes et humides :
l'inattendu,
le dieu inconnu qui se révèle
à l'improviste. Et donc
le non-messie, celui - ou ce -
qui n'est pas écrit,
inconfortable.
Tu espérais - intimement - qu'il n'arriverait pas.
Tu souriais, dans l'acajou tiède
du jour. Tu méditais sur l'usuel,
sur ta conscience
de l'Introuvable.
(et caduc)
et caduc
le dieu végétal
n'admet pas de réplique :
il est ce que les arbres ont à faire
et à défaire sur leurs écorces
là où la lumière s'agrippe
comme des initiales
et glisse sur la terre,
comme sa propre traduction
en feuilles et en déclins
et en résurrections,
loin des regards indiscrets.
Il est ce qui rend plus jaunes les spectres,
de lentes marcescences.
Partout l'amour des pierres,
s'enfonçant dans la terre,
et des eaux qui, libres, s'écoulent
où c'est possible, vers tout lit
possible,
tout courant ascensionnel.
D'un point d'observation fortuit
n + 1 automne, fraction linéaire
du temps,
un univers menu,
difficile héritage,
nous misère de la création.
- omissis -
[...]
le temps - ensuite -
il laisse ses scories dans le creux des coudes
parce que chaque fois tu lèves le bras pour
la caresse l'exhortation ou un geste circulaire
de défaillance,
et ces scories ces creux que j'aimais
la cendre des discours
les syllogismes avec lesquels nous fixions
les limites
tout s'envole comme des jours de semaine...
le geste est subside
invitation au bal conférence de paix
étiquette avec peu d'instructions comme
manier avec soin
traiter comme si tout était
d'une délicatesse que la vie
n'admet pas mais exige
|
Brusii
ci si perde a volte nei meandri
di una prosa discontinua,
ineguale alle cose, come
una zona morta... di che parli ? guardi fuori,
dal confine di un'area domestica gremita
d'oggetti crepuscolari impalliditi
e strati strati strati di [...]
mentre brusii alle spalle
e ultim'ore che più non ce ne frega
distanti apocalissi... di che parli ? — dici -.
di certi parossismi
di come le parole messe in fila
hanno tremendi buchi...
(puoi anche iniziare)
puoi anche iniziare
con un fraseggio inutile,
se ti fa piacere.
Scaldare la lingua
contro un tacere ruvido
di tavoli, parole,
dòmini neri. Allungare
le gambe le articolazioni
del pensare, nascondere
le palpebre.
Puoi generare volute di respiro
frusciare di pagine espressive
nelle rughe.
Poi
quello che conta è precipitare
nel mortaio del senso
nel frantumìo di infinite notti
e dolori alle dita strette agli occhi.
Di tutte le conversazioni,
di tutte le conversioni
resta copia.
Ma in quella vertigine
quel mortaio
non importava l'ultima parola :
(stelle slittavano sulla volta
tramortite, e l'alba
repertorio alle palpebre
luce alle pareti)
erano invece abiure.
Disillusione dell 'oggi -1
Perciò si diceva stupore :
un fiato sospeso nel rapido
separarsi delle decisioni
o dei destini
- tra corpo e terra, estraneità
confinarie, cielo e anima
in terreni incolti e umidi :
l'inaspettato,
il dio sconosciuto che si rivela
improvvisamente. Pertanto
il non-messia, colui - o ciò -
che non è scritto,
inconfortevole.
Speravi - intimamente - non arrivasse.
Sorridevi, nel tepido mogano
del giorno. Meditavi l'usuale,
la tua consapevolezza
dell'Irreperibile.
(e deciduo)
e deciduo
il dio vegetale
non ammette repliche :
è il da farsi degli alberi,
e il disfarsi sulle cortecce
dove la luce si aggrappa
come iniziali
e scivola sulla terra,
con la sua propria traduzione
di foglie e decadimenti
e resurrezioni,
lontano da occhi indiscreti.
E' il farsi di spettri più gialli,
di lente marcescenze.
Ovunque l'amore delle pietre,
affondando la terra,
e di acque che fluiscono
ove possibile, verso ogni possibile
alveo,
ogni corrente ascensionale.
Da un punto d'osservazione casuale
enne più uno autunni, lineare frazione
di tempo,
un universo minuto,
difficile eredità,
noi incapacità del creato.
- omissis —
[...]
il tempo - poi -
lascia le sue scorie nell'incavo dei gomiti
perché ogni volta alzi le braccia per
carezza esortazione o un gesto circolare
di inadempienza,
e queste scorie questi incavi che amavo
la cenere dei discorsi
i sillogismi con cui si fissavano
i confini
tutto vola via come giorni feriali...
il gesto è sussidio
invito al ballo conferenza di pace
etichetta con poche istruzioni come
maneggiare con cura
trattare come se tutto fosse
di una delicatezza che il vivere
non riconosce ma pretende
|
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Sabato, 1 febbraio 2014
Gabriella Musetti - Le sorelle, La Vita Felice 2013 
‘…
Ri-scoprire e ri-valutare il divino femminile significa, inoltre, ridefinire la relazione che le donne hanno con la natura, ma anche con l’etica e
l’estetica. La genealogia femminile … contesta il sistema di valori imposto e interrompe l’ordine maschile precostituito, rappresentando il punto di
incontro di differenti identità femminili e la creazione di linee di discendenza-dipendenza-sorellanza: maestre/discepole, donne modello/sorelle,
dee/donne mortali, madri/figlie…’
c’è ‘ un ordine etico fra donne in due dimensioni, una verticale, nella linea genealogica madre-figlia e una orizzontale attraverso la sorellanza’…
(Daniele Cerrato - Congresso “Le voci delle dee”, Università di Sassari, 20, 21, 22 settembre 2012)
A tutti è capitato di ascoltare parole/lamentele di una donna sul legame indissolubile che si riesce a costruire con una sorella/e e/o sui sensi di colpa,
rabbia che si nutrono nei loro confronti. In realtà le esperienze infantili vissute nel nucleo domestico continuano ad avere il proprio peso anche durante
l’età adulta in cui le scelte di autonomia possono far degenerare i rapporti precostituiti. Nella fase evolutiva e poi nell’adolescenza si sviluppano
passioni e tensioni interminabili e contraddittorie che fanno riferimento alla dipendenza psicologica di un ruolo simbolico interiorizzato. È necessario
separarsi dalle sorelle? Si può essere dipendenti emotivamente da loro? La psicologia ci parla spesso del distacco interiore come un esito positivo del
normale processo di sviluppo e se questo non dovesse avvenire si consolida un profondo senso di smarrimento e di fallimento, ma soprattutto si scatena la
burrasca emozionale. È pur vero che la distanza interiore è spesso insopportabile e i fratelli/sorelle, insieme ai genitori, rappresentano protezione,
sicurezza, nucleo familiare anche se, spesso, la famiglia non è un’entità stabile, integra, unita. Gabriella Musetti, nel suo lavoro poetico Le sorelle, La Vita Felice 2013, rinuncia alla lotta identitaria e riesce, attraverso la poesia, ad assumere un atteggiamento di accoglienza, di
partecipazione che va al di là dell’immagine stereotipata dell’unione fraterna. Forse il limite di chi vive la sorellanza è quello di imparare molto presto
il comportamento che frattura e separa per meglio perseguire gli impulsi di autonomia e di libertà, quasi come a dover/voler rinnegare la necessità
inespressa del desiderio di comunione simbiotica. Per l’autrice la responsabilità dei ricordi si aggancia a sensazioni di rimpianto, spesso di
idealizzazione delle figure: la mancanza mette a nudo ogni sentimento/attaccamento! Forse il confronto aperto incarna e definisce meglio la funzione della
sorella (maggiore o minore); i ruoli prestabiliti fanno i conti con le aspettative quasi come a saper diventare ‘alleate contestate’ conservando il proprio lignaggio di donne dello stesso sangue, della stessa cultura religiosa della vita. (rita pacilio)
Continua a leggere "Gabriella Musetti - Sorelle, nota di Rita Pacilio"
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