Martedì, 27 dicembre 2011
In attesa di mettere il linea qualche poesia di Giampaolo De Pietro (v. anche QUI), pubblico una sua riflessione poetica ispirata a una foto di Luigi Ghirri

La bocca asciutta di queste due figure, scure e abbracciate sopra il mare, tra il cemento ed esso, il mare adesso e la sua bocca, semiaperta. Il loro
volto basso, uno solo è un duo di un piccolo coro immobile che attraversa la superficie tratteggiata da brividi in fronte, il loro piccolo specchio non
visto di rughe di espressione di segreto e dolore da non poter escludere solo il mare, compreso sorriso, mare di tutte quelle rughe, specchio verso
l’orizzonte di due e il riparo di tutto, al riparo da nessuno e da niente – c’è forse un confine? V’è, probabilmente. Un’onda, indipendentemente, la
prima – e poi, più verosimilmente, un’ultima quella che soffia in fondo e tocca fino in finire, per l’introduzione, per la prima apertura, si dica
lettera, lo sfocio da un fiume a una piccola pozza in mano a una creatura che l’abbia bevuta, dalla sua asciutta bocca, figura che adesso dopo la sete
e la sua avvenuta avverata avventura abbeverata, adesso è il mare stesso il mare esteso di una sola statura con gli occhi rivolti in alto e la paura, e
tutto intorno l’alto, l’altro, il bisogno di un’immensa ala anche se a piccola apertura – e poi seduti come il trampolo senza premura, l’attesa, in
abbraccio rende i capelli a un tempo eterni e confondibili col tempo medesimo, il tempo che scadrà in voce e misura, (a ciocche?) - le mani dove sono
se non le vedi, le mani sono nascoste le mani del mare spesso, le mani sono il segreto opposto, il chiarimento di forma in forme e sagome e al loro
posto si plasma nuovamente anche lo spazio che il tempo non aveva contratto, si contano più presenze più passanti più oggetti passeggeri e velocemente
si somma e altrettanto lentamente si sottraggono le onde, si rifrangono all’indietro, e si ritorna al posto, due figure dalla bocca asciutta e il mare,
all’indentro, in silenzio ad aspettare – il tempo e lo spazio di una posa fotografata di spalle, e il respiro aperto – senza e per nessuno, i capelli e
il piroscafo del futuro del suo sguardo e di nessuno ancora, con, stavolta, un abbraccio rivolto al mare e tutto il resto, gli occhi di cosa, a ruota e
il cielo, nessuno e un occhio appena adesso due e ora, due più i nostri, i miei e i tuoi: “Credo sia una foto di Ghirri”.
Giampaolo De Pietro
LINK al Catalogo del Fondo Luigi Ghirri della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia
(© Imperfetta Ellisse blog)
Lunedì, 19 dicembre 2011
Difficile cavare un estratto da questo libro eccellente (Peter Russell, This is not my hour,
Edizioni del Foglio clandestino, 2010), perchè qualsiasi sua selezione
somiglia a guardare un panorama con un cannocchiale alla rovescia. Il
libro andrebbe letto e riletto nella sua completezza, poichè ricco,
articolato, colto, sapienziale, un libro che si apparenta a buon titolo
alla poesia di Pound e Eliot, incastonata però, almeno in questo libro,
in una forma classica come quella del sonetto, non solo di ascendenza
shakespeariana o miltoniana, ma anche del medioevo italiano. In questo
Russell ci è fratello, fratello della nostra tradizione migliore, oltre
ad essere stato nostro "conterraneo" avendo vissuto in Toscana, nel
Pratomagno, per circa venti anni, fino alla morte avvenuta nel 2003.
Il libro è frutto dell'affetto di Raffaello Bisso, curatore e
traduttore, che con esso porta a buon fine un impegno anche di amicizia
contratto con l'autore, impegno non indifferente non solo in termini
traduttivi ma anche di "interrogazione" del testo e delle cospicue
implicazioni culturali ad esso sottese, come dimostrano le note
accuratissime. "Se il sonetto é tra le forme adatte o tradizionalmente
adattate alla riflessione sapienziale, alla critica civile e culturale
ecc., meglio che fissato come ‘forma’ assoluta serve vederlo nel tempo e
nello spazio mutevoli della storia di una letteratura e nel fuoco della
prassi degli autori. Nei Sonnets, l’attenzione ai livelli del
testo indica la presenza di un altro elemento organico, essenziale alla
logica di funzionamento di questa scrittura, di cui regge parte del
carico comunicativo facendo convergere le parti verso l'intensificazione
e l'eccedenza espressiva". Su temi poeticamente essenziali, come
emergenze dal tessuto apparentemente pastorale: come "quello di
meditazione sulla fine, qoheletiana sui generis, ma in cui serpeggia secondo il virgiliano "Latet anguis in herba" (Ecl.III) la modalità dell'Et in Arcadia Ego" (Bisso),
accompagnata da una critica acuta alla società impazzita da cui il
poeta si è appartato, e da una osservazione della natura che diventa
anche, correlativamente, scatto e impulso della poetica russelliana.
Continua a leggere "Peter Russell - This is not my hour"
Domenica, 11 dicembre 2011
Archibald MacLeish - Ars poetica
Una poesia dovrebbe essere tangibile e laconica Come un rotondo frutto,
Muta Come antichi medaglioni sotto il pollice,
Silente come pietra consumata dalle maniche Di davanzali dove è cresciuto il muschio—
Dovrebbe essere senza parole, una poesia, Come un volo d'uccelli.
* Una poesia dovrebbe essere immota Nel tempo che la luna sale,
Lasciando, come la luna cala, Gli alberi impigliati, ramo a ramo, alla notte,
Lasciando, come la luna nascosta dietro foglie d'inverno, La mente ricordo per ricordo—
Una poesia dovrebbe essere immota Nel tempo che la luna sale.
* Una poesia dovrebbe essere uguale a: Non vero.
Per tutta la storia del dolore, essere Una foglia d'acero e una porta vuota.
Per l'amore, essere Le erbe reclinanti e due luci sul mare—
Una poesia dovrebbe non significare Ma essere.
Dorothea Lasky - Ars poetica
Volevo dire all'aiuto veterinario di quel video del gatto che Jason mi ha mandato Ma ho resistito per paura lo trovasse strano Sono davvero solitaria Ieri il mio ragazzo mi ha chiamato, di nuovo sbronzo E in mezzo a squillanti lacrime e un che di appiccicoso Mi ha urlato contro con una tale amarezza Come non avevo sentito prima da altri umani E mi ha detto che non ero brava Be' magari lui non voleva dire quello Ma è quello che ho sentito Quando mi ha detto che la mia vita non valeva niente E il mio lavoro della vita un lavoro da elite. Io dico che voglio salvare il mondo ma in realtà Voglio scrivere poesie tutto il giorno Voglio alzarmi, scrivere poesie, andare a dormire, Scrivere poesie durante il sonno Fare dei miei sogni poesie Fare del mio corpo una poesia con magnifiche vesti Voglio che la mia faccia sia un poema Ho appena imparato come mettere La matita agli angoli degli occhi per farmeli più grandi C'è sempre in me un romantico abbandono Voglio sentire il timore per gli altri E lo posso sentire attraverso il canto Solo attraverso il canto posso sommare in poche così tante parole Come quando lui dice che io non sono brava Io non sono brava La bontà non è più il punto Tenersi stretti alle cose Ecco questo è il punto
Czeslaw Milosz - Ars poetica?
Ho sempre aspirato a una forma più spaziosa che fosse libera dalle pretese di poesia e prosa e ci facesse capire l'un l'altro senza esporre autore e lettore a sublimi agonie.
Nella vera essenza della poesia c'è qualcosa di impudico: una cosa che non sapevamo di avere in noi viene data alla luce, così noi sbattiamo gli occhi, come se una tigre fosse balzata fuori e stesse lì alla luce, agitando la sua coda.
E' il perchè si dice a ragione che la poesia sia dettata da un daimonion, sebbene sia un'esagerazione sostenere che esso debba essere un angelo. E' difficile supporre da dove questa fierezza dei poeti provenga, quando così spesso sono messi in imbarazzo dalla rivelazione della loro fragilità.
Quale ragionevole uomo vorrebbe essere una città di demoni, che si comportano come se fossere a casa loro, parlano in diverse lingue, e che, non soddisfatti di rubargli labbra e mani, lavorano a cambiare il suo destino a loro comodo?
E' vero che ciò che è morboso oggi è tenuto in gran conto, e così voi potreste pensare che sto solo scherzando o che ho inventato ancora solo un mezzo di lodare l'Arte con l'aiuto dell'ironia.
C'era un tempo quando solo i libri sapienti erano letti, aiutandoci a sopportare i dolori e le miserie. Che, dopo tutto, non è proprio come sfogliare un migliaio di lavori freschi di clinica psichiatrica.
Eppure il mondo è diverso da come sembra essere e noi siamo altri da come ci vediamo nei nostri deliri. La gente dunque conserva una silenziosa integrità, guadagnando così il rispetto di parenti e di vicini.
Lo scopo della poesia è di ricordarci quanto difficile è rimanere solo una persona, perchè la nostra casa è aperta, non ci sono chiavi nelle porte, e ospiti invisibili vanno e vengono a piacer loro.
Quel che sto dicendo qui non è, sono d'accordo, poesia, ché si dovrebbe scrivere poesie di rado e con riluttanza, per insopportabile urgenza e solo con la speranza che i buoni spiriti e non solo i malvagi ci scelgano per loro strumento.Berkeley, 1968(traduzioni dall'inglese di G.Cerrai)
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Lunedì, 5 dicembre 2011
Libretto leggero, questo qui di Francesco Iannone (Poesie della fame e della sete,
Ladolfi Editore 2011), come sottolinea del resto nella sua breve
introduzione (che però sottotraccia dice più di quanto non appaia)
Gabriella Sica usando così tante volte la parola "lieto", e i suoi
sodali "lieve" e "leggero". Libro di una fame leggera, di una sete
leggera, intese entrambe come "fame e sete di verità" (sempre Sica), ma
che forse assomigliano di più a uno "stupore" molto giovane (Iannone è
del 1985) di fronte a un mondo che sembra appena creato, popolato
fittamente di uccelli e di altre scoperte ("Poco dopo un muretto di tufo
/ la sorpresa di arance grosse e tonde") che lasciano l'autore
altrettanto spesso "lieto e contento" delle sue notazioni, o meglio
denotazioni. A volte ci si imbatte in versi così disarmanti che devono
essere accreditati per forza di un notevole coraggio (" Gesù mio, fa in
modo / che dalla pioggia si salvino gli ulivi / che il vento si plachi e
più non faccia / male agli aranci e agli abeti / e non spezzi la
schiena ai ciliegi / a primavera tanto generosi di fiori"), mentre nel
contempo generano il dubbio che l'autore non abbia ancora davvero
realizzato come vanno le cose in questo piccolo mondo moderno, certo al
crepuscolo ma tutt'altro che crepuscolare. Forse è proprio questa
"ingenuità" (sia detto in senso buono, fresco), questo trovare ovunque
contentezza e gioia e speranza che genera una sua attrattiva e una certa
piacevolezza di lettura (e non dubito che riscuota successi), ma dietro
l'osservazione della natura, dietro i cani, gli insetti, i vecchi
contenti non si intravede ancora il dubbio, la domanda, la rivelazione
epifanica che possono abitare oltre la facciata delle cose, oltre la
loro mera "estensione" nel tempo e nello spazio. In questo senso gli autori
citati negli exerga (Leopardi, Luzi, Gatto, De Angelis) possono dare
importantissime indicazioni, compreso Gozzano, che pur avendo i suoi "uccelletti" aveva anche ironia e azzardo nel trattare "le piccole cose" (e anche il suo - forse - alter ego Totò Merumeni). Quindi c'è lirismo in questi versi, c'è grazia
ma forse c'è ancora un po' di strada da fare affinchè essa diventi la
"violenta grazia" che Gabriella Sica augura a un giovane "contento di
aver trovato la poesia".
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