Domenica, 31 luglio 2011
Mario Bertasa - Tiro con l'arco - Lampi di stampa, 2011
Un libro alterno ed eterogeneo, questo di Mario Bertasa, che però mi ha
divertito. Alterno (o "liquido, instabile nel suo fluire", dice V. Ronchi) perchè giocato su un doppio pedale, uno con cui
Bertasa va a scovare la parola, se ne innamora un po', la ricerca negli
anfratti del ricercato, la puntella con segni ortografici e di
interpunzione che fanno disegno ma non suono, che mi sembra non gli
appartengano realmente ma che siano piuttosto superfetazioni, o
affettazioni, pose...; e un altro pedale con il quale la parola suona un
Bertasa che si fa ispirare (anche in senso lirico) e insieme tiene ben
presenti una serie di lezioni poetiche vicine e lontane, modernamente,
come il respiro lungo, il verso lunghissimo (Pagliarani? Balestrini?)...
in entrambi i casi però con poche cose che, se dovessi fare editing,
emenderei, soprattutto perchè, quasi sempre, traspare nei testi una
certa ironia pensosa per me importante. Come pure importante la
sensazione che questi testi, sebbene fissati per sempre nella forma
libro, siano suscettibili di essere riscritti, ripensati o
all'occorrenza rovesciati come un guanto: una poesia, per quanto possa
apparire astratto il termine, "aperta". Non tanto per il lettore, va da
sé, quanto per l'autore. Per il resto (se mi si permette un discorso più
generale), siamo tutti nella stessa barca, tutti percossi o forati da
momenti, eventi, perplessità del quotidiano, snapshots che la
poesia (italiana) di oggi registra invariabilmente (e attenzione
all'ambiguità di questo avverbio), sullo sfondo di una certa immobilità
che è della poesia e della società allo stesso modo. Di qui forse, per
molti di noi, una poesia più del "come" fare che del "cosa" dire,
oltretutto qui e ora. Tutto qui. Nel caso di Bertasa tuttavia
risulta evidente e coerente una certa ricerca (ma anche questa ironica)
sui mezzi espressivi e sulle modalità di comunicazione di cui la carta
non da conto sufficientemente. Mi riferisco ad esempio al fatto che una
intera sezione del libro, qui non riportata, è nata da una
improvvisazione poetica via web (con le relative interazioni di altri,
commenti ecc.) ed è diventata una performance multimediale per voce,
video, azione. Del resto, come ricordava in una sua nota Giuliano
Ladolfi citando Emanuele Zinato, sempre più oggi la poesia viene
percepita come un oggetto artistico che deve essere contestualizzato per
apparire tale, ad esempio - aggiungo - proprio in una performance.
Evoluzione dei linguaggi forse, di cui Mario Bertasa sembra tenere ben
conto con la consapevolezza dei rischi che essa può comportare, della
necessità di stare attenti che il valore poetico sia - alla fin fine, e come in questo libro -
tutto interno al testo.
Continua a leggere "Mario Bertasa - Tiro con l'arco"
Sabato, 23 luglio 2011
Pier Luigi Bacchini è uno dei poeti che rileggo, quando sono stufo della poesia nota e meno nota di tutti i giorni, compresa la mia. Lo leggo come quando leggevo la poesia così, per puro divertimento acritico. Lo leggo per riposare la mente, anche se poi la mente, con questi versi, è costretta a riprendere il suo lavorìo, perchè queste poesie ti portano per mano verso constatazioni così profondamente leggere e stupite che sei subito costretto a ripensarle perchè, davvero, non vuoi che svaniscano "lungo la cenere tranquilla dei giorni".
Continua a leggere "Pier Luigi Bacchini - Poesie"
Domenica, 17 luglio 2011
Quando Alfonso Berardinelli, critico e saggista tra i più noti, scriveva poesia. In questo caso intorno agli anni '70, un poeta quindi giovane di cui Marco Forti, in una nota del '78, scriveva: " Non c'è dubbio che l'interscambio fra il critico e il poeta nel trentacinquenne Berardinelli sia molto forte. La sua poesia si trova a nascere nel punto di un complesso e personale incontro fra un attento adeguamento critico e culturale-generazionale del suo autore, la sua presa di coscienza non soltanto letteraria di un complesso tempo di transizione, e la capacità del poeta di coglierne una metafora subito matura, in forme chiuse e programmaticamente non periture. (...) La sua poesia — almeno a quanto noi la conosciamo — ha cominciato a formarsi e aggregarsi dopo la rottura «novissima» dei primi anni '60, dalla quale il nostro autore si è subito staccato mostrando il bisogno di operare al livello di una scrittura che egli vuole personale, nutrita culturalmente, di un discorso che si vuole funzionale e esatto, e non mai semplicemente ideologico o illustrativo di un messaggio troppo scoperto e non sufficientemente elaborato. La poesia di Berardinelli, infatti, stabilite le sue distanze dal linguaggio di crisi novecentesca della prima metà del secolo, o anche da quello più immediatamente prossimo delle neoavanguardie, sembra semmai ricollegarsi al rigorismo etico e all'allegorismo dei Vociani, riconquistati tramite la gnomica e la pedagogia in verso di Fortini e la sperimentazione non solo verbale-letteraria degli scrittori di « Officina », fino a trovare e configurare, nella realtà di oggi, un suo universo deietto, massificato e come congelato nel tardo capitalismo, di fronte a cui chi scrive ha una presa di coscienza politica, che somiglia, peraltro, molto anche a una lotta espressiva, e a un agone mistico religioso.(...)". Al di là delle parole di Forti, che lo stesso successivo lavoro critico e polemico di Berardinelli datano inequivocabilmente, è interessante gettare uno sguardo sulla scrittura poetica di quegli anni del nostro. E cercare di immaginare che cosa scriverebbe del Berardinelli poeta di allora il Berardinelli critico di oggi.
Continua a leggere "Lezione all'aperto, Alfonso Berardinelli poeta"
Lunedì, 11 luglio 2011
Mesi fa, nell'inviarmi il suo bel libro "Piedras al agua" (TusQuets Editores, Barcelona 2010) Antonio Cabrera allegava un biglietto in spagnolo in cui con molta modestia mi scriveva: "Amico Giacomo, sebbene abbia tradotto Vattimo, la mia conoscenza dell'italiano scritto e parlato è meno che elementare. Me ne scuso". Ebbene, anche io devo scusarmi, perchè mi trovo nella stessa situazione con lo spagnolo. Tuttavia, siccome non credo che questo possa inibire del tutto la voglia di ascoltare la voce lirica di Cabrera, con un po' di ausilii e di empatia poetica, ho provato a tradurre qualcosa da questo libro, che certo meriterebbe una versione integrale e accurata per il pubblico italiano. Chiedo venia per eventuali svarioni. Di Antonio Cabrera avevo già pubblicato su Imperfetta Ellisse, nella ottima traduzione di Emilio Coco, versi da "La meditazione del vetro e altre poesie" (v. QUI)
Continua a leggere "Antonio Cabrera - Pietre nell'acqua"
Lunedì, 4 luglio 2011
Libro interessante e maturo, questo di Davide Castiglione (Per ogni frazione,
Campanotto 2010). Partendo da alcuni punti fermi dichiarati (parentele,
ascendenze, debiti letterari sono Sereni in primis, e Ungaretti e De
Angelis e in qualche modo il mio adorato Stevens) Castiglione costruisce
una buona raccolta, in cui per una volta essere giovani e al primo
libro non è una colpa e men che mai un merito. La tradizione è
compulsata e archiviata, senza necessità né di rivoluzioni né di
restaurazioni, ma semmai con un bisogno evidente di affilare un proprio
strumento a partire da essa, facendo nel contempo vedere di essere un
ragazzo che ha studiato. E perciò giustamente Luca Stefanelli, nella
postfazione, dice che "non si ha mai, nella raccolta, l'impressione di
respirare un'aria postuma, di epigonismo". Siamo ancora, comunque, nel
lungo '900, il secolo che non finisce mai. E siamo ancora al centro di
una poetica anch'essa di lungo corso, quella in cui l'individuo accerta
la crisi, osserva la realtà (o le sue frazioni), la verbalizza e non si
àncora ad essa, perchè scorre troppo alla svelta per poterla afferrare a
pieno e caricarla affettivamente (e nemmeno ce ne possiamo distaccare,
una croce). Vorrei evitare di tirare fuori ancora il surmoderno
(Stefanelli accenna a Marc Augé e ai non luoghi, mica a sproposito), ma
la temperie è quella, e sta di fatto che l'espressione artistica,
paradossale ma vero, non scorre altrettanto velocemente, e questo è
tanto più vero per la scrittura creativa. C'è, nelle arti, una specie di
affanno, una rincorsa dei tempi. Non resta quindi che dire bene le cose con i mezzi che abbiamo, in attesa di inventarne di nuovi, o dirle meglio di altri.
Sul piano dell'espressione, in effetti Castiglione
se la cava egregiamente. Ha un solido bagaglio di artifizi, un buon
senso del ritmo e, cosa importantissima, senso del limite di leggibilità,
e anche una certa (per così dire) sensibilità spaziale dei pieni e dei
vuoti sulla pagina scritta. Non gli mancano le parole per dire, il
ventaglio lessicale è articolato e ricco, alcune invenzioni metaforiche o
corti circuiti poetici addirittura eccellenti. Interessante è il
linguaggio senza particolari torsioni, ma semmai sottrattivo, in modo da
lasciare astutamente al lettore dei "fill in the blanks" semantici. Una
modalità non nuovissima (anche qui siamo nel solco) ma comunque
efficace, perchè allarga quella indeterminatezza di cui la poesia si
nutre (anche), a beneficio di una lettura "aperta", attiva. A volte il
linguaggio si strama ulteriormente di proposito, serve da setaccio
rovesciato che filtra le emozioni, le pulsioni, le delusioni cioè i
valori primari e sentimentali, e lascia passare le scorie dell'esistere,
la constatazione di certe inutilità, declinando una sorta di raffinato
understatement emotivo di discreto effetto. Con esso Castiglione cuce le
sue frazioni, siano esse brani di vissuto, bozzetti dal vero,
dichiarazioni di fallimenti, visioni del vento, ma sempre brani di
realtà (non c'è sogno, nè simboli), senza però minimalismi (se non altro
per la densità della parola a cui accennavo) e con una interessante
collocazione dell'autore rispetto al descritto, come se fosse un "io"
immediatamente al di fuori del cerchio degli accadimenti, a volte un
interessato osservatore esterno, a volte uno che attraversa come un
passante l'area poetica per poi lasciarsela accaduta alle spalle. Se la
narrazione è per forza di cose (per l'età, il vissuto dell'autore)
episodica, frammentaria, la compattezza complessiva del libro non ne
risente affatto, perchè appunto il giusto strumento stilistico c'è e il
livello estetico è quasi sempre costante. Se è vero, come mi pare di
aver letto da qualche parte, che il libro è frutto di un lavoro di
qualche anno, sarebbe interessante osservare Davide alle prese con
qualcosa di più "progettato". Staremo a vedere. Intanto leggiamo qualcuna delle sue poesie.
Continua a leggere "Davide Castiglione - Per ogni frazione"
Domenica, 3 luglio 2011
Su Farapoesia un mio "ritrattino" scritto da Mario Fresa, che ringrazio molto:
Si sarebbe tentati di parlare, a proposito della poesia di Giacomo Cerrai, di una costante calma inquietudine; o anche, meglio, di un sofferto rigore: perché la guerra interna che muove le dense e tese immagini della sua scrittura ondeggia, senza sosta alcuna, tra il desiderio
di un abbandono inconsapevole, «fanciullesco», alla selva dei misteri quotidiani e la pervicace volontà di sfuggire alla febbre dell’interrogazione e
dell’analisi di quei segreti, consegnandosi a una vigile e scientifica impassibilità emotiva, il cui proposito è il raggiungimento di un’assoluta,
liberatoria atarassia. In ogni caso, il pensiero dominante che invade con insistente ossessione (...)
|