Lunedì, 28 febbraio 2011
La raccolta di Franco Fortini "Una volta per sempre" che usci in prima edizione per Mondadori nel 1963, trova oggi una sua riedizione francese, "Une fois pour toutes" per le Editions Fédérop (link), a cura di Bernard Simeone e Jean-Charles Vegliante, due noti italianisti (Simeone, uno dei maggiori interpreti delle lettere italiane in Francia, è purtroppo deceduto qualche anno fa). Lo stesso editore aveva pubblicato il libro in prima edizione nel 1986. Qui un piccolo estratto, già apparso su "Les Carnets d’eucharis" n. 26 (link) di Nathalie Riera, che ringrazio.
LA JOIE A VENIR
Ce pourrait être un très grand fleuve Une chevauchée piaffante un tumulte une fureur Une rage déchirée une tige déchiquetée Un très haut cri
Mais aussi une herbe minuscule pour nos retours La chute d’une pigne dans la flamme Une main qui effleure au passage Ou l’indécision fixant sans voir
Quelque chose en tout cas que nous ne pouvons perdre Même si toute autre est perdue Et que perpétuellement nous célébrerons Car toute chose naît de celle-là seule
Mais avant d’y parvenir Avant la misère profonde comme la lèpre Et les malédictions embrouillées et la mort vraie Toi qui crois oublier vaniteux Ou masqué de révolution L’école de la joie est pleine de pleurs et de sang Mais aussi d’éternité Et des bouches disparues des saints Comme les haies de mars rayonnent les vérités.
La gioia avvenire
Potrebbe essere un fiume grandissimo Una cavalcata di scalpiti un tumulto un furore Una rabbia strappata uno stelo sbranato Un urlo altissimo
Ma anche una minuscola erba per i ritorni Il crollo d’una pigna nalla fiamma Una mano che sfiora al passaggio O l’indecisione fissando senza vedere
Qualcosa comunque che non possiamo perdere Anche se ogni altra cosa è perduta E che perpetuamente celebreremo Perché ogni cosa nasce da quella soltanto
Ma prima di giungervi Prima la miseria profonda come la lebbra E le maledizioni imbrogliate e la vera morte Tu che credi dimenticare vanitoso O mascherato di rivoluzione La scuola della gioia è piena di pianto e sangue Ma anche di eternità Et dalle bocche sparite dei santi Come le siepi del marzo brillano le verità.
L’ABOLITION PROCHAINE DE LA NATURE
Les petites plantes viennent vers moi et me disent : « Tu ne peux rien faire, nous le savons, pour nous. Mais si tu veux nous entrerons dans ta chambre, branches et racines parmi tes papiers auront un refuge. »
Je leur ai dit oui à cette demande et le troupeau de feuilles est là qui me regarde. Avec les forêts je reposerai, avec les herbes exténuées, Innombrables armées vaincues qui me défendent.
1984, inédit.
La prossima abolizione della natura
Le piccole piante mi vengono incontro e mi dicono : « Tu, lo sappiamo, nulla puoi fare per noi. Ma se vorrai entreremo nella tua stanza, rami e radici fra le carte avranno scampo. »
Ho detto di sí a quella loro domanda e il gregge di foglie ora è qui che mi guarda. Con le foreste riposerò e le erbe sfinite, Vinte innumerabili armate che mi difendono.Qui una vecchia intervista di Fortini (1993)
Mercoledì, 23 febbraio 2011
Luigi Di Ruscio se ne andato oggi. Mi dispiace molto, mi dispiace non averlo mai conosciuto personalmente. Ci rimangono i suoi libri, le sue poesie, i suoi romanzi, che continueremo a leggere. Forse ora qualcuno dei grandi editori si accorgerà di lui.
Alcuni testi qui.
Foto: Ennio Brilli
Un altro testo di Ghérasim Luca, una traduzione non senplice, in bilico tra senso e significato, in cui si è
impegnato ancora Alfredo Riponi, che ringrazio. Il testo è già apparso
su Lessness, dove è possibile reperire altre poesie dello stesso autore, come anche qui su IE seguendo il tag corrispondente.
nella foto: Cristina Roncati - Letto sfatto, 1975, scultura polimaterica, dim: 60x110x200Fonte: Galleria Centro Steccata - Parma (link)
CON UN GESTO SIGNIFICATIVO
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D’UN GESTE SIGNIFICATIF
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Con un gesto significativo
puntammo
simultaneamente
i nostri indici
Il mio
sulla mia tempia
il suo
sulla sua
Coi nostri indici disponibili
C'otturammo gli orecchi
Uno dopo l'altro
uno dopo l'altro
uno dopo l'altro
uno dopo l'altro
uno dopo l'altro
La sua bocca
sulla mia
e la mia sulla sua
l’immutabile non è soggetto a mutare
l’immortale non è soggetto alla morte
l’illimitato non può essere limitato
e dell’immemoriale
non si è conservata memoria
bevanda acida, sostanza semplice: letto-monade
comune nelle paludi: letto-vita
andando verso il nero, letto-vuoto
l’illegale contrario alla legge
l’immorale contrario alla morale
l’irreale non è reale
l’irrealizzabile non è realizzabile
letto-mondo sporco e impuro
letto vero causa di grandi devastazioni
LETTO EBBRO nessun
litigio
idea e immagine
irrespirabile irresponsabile immobile
illimitabile
letti senza cieli
Da Paralipomènes, Josè Corti 1986, Soleil Noir 1976
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D’un geste significatif
nous pointâmes
simultanément
nos index
Le mien
sur ma tempe
le sien
sur la sienne
Avec nos index disponibles
Nous nous bouchâmes les oreilles
L’une après l’autre
l’une après l’autre
l’une après l’autre
l’une après l’autre
l’une après l’autre
Sa bouche
sur la mienne
et la mienne sur la sienne
lit muable n’est point sujet à changer
lit mortel n’est point sujet à la mort
lit limité ne peut être limité
et de lit mémoré
on m’a pas conservé la mémoire
boisson acide, substance simple : lit-monade
commun dans les marais : lit-vie
tirant sur le noir, lit-vide
lit légal contraire à la loi
lit moral contraire à la morale
lit réel n’est pas réel
lit réalisable n’est pas réalisable
lit-monde sale et impur
lit vrai cause de grands ravages
LIT IVRE points
de
lit-tige
lit-dé et lit-mage
lit respirable lit responsable lit mobile
lit-lit mi-table
lits sans cieux
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nota del traduttore:
D’UN GESTE SIGNIFICATIF
La poesia è solo a prima vista un gioco linguistico. Siamo sul letto occupato da due amanti.
Si percepisce nel titolo finale “Lit ivre” il riferimento al “Bateau
ivre” di Rimbaud. I sintagmi, frutto di una scelta linguistica solo
apparentemente del tutto arbitraria, liberano completamente il
significato solo nel suono.
lit-monade = letto-monade (limonade = limonata)
lit-vide = letto-vuoto (livide =livido)
lit mortel (l’immortel = l’immortale)
lit limité (l’illimité = l’illimitato)
lit mémoré (l’immémorial = l’immemoriale)
lit-tige (litige = litigio)
lit-dé (l’idée = l’idea)
lit-mage (l’image = l’immagine)
lit respirable (l’irrespirable = l’irrespirabile)
lit responsable (l’irresponsable = l’irresponsabile)
lit mobile (l’immobile = l’immobile)
lit-lit mi-table (l’illimitable = l’illimitabile)
lits sans cieux = letto senza cieli (licencieux = licenziosi)
LETTO EBBRO nessun
letto-stelo
letto-dado e letto-mago
letto respirabile letto responsabile letto mobile
letto-letto metà tavola
letti senza cieli
Venerdì, 18 febbraio 2011

Premetto che non amo le cosiddette “brutte parole”, né è nel mio costume far uso di esse. Appartengo a una generazione educata al culto della bella
lingua, ma non posso non tornare con la memoria, e con una certa nostalgia non passatista al ’68, quando, gli eventi, le cose, i comportamenti venivano
chiamati con il loro nome. Contemporaneamente, i miei interessi, gli studi, l’attività critico-letteraria, la professione mi hanno portato a dedicarmi
anche alla retorica, alle sue figure e all’argomentazione, per cui mi ritengo in un certo senso fortunatamente ‘deformata’ e particolarmente attenta
all’uso della lingua. Ho dedicato una vita all’interpretazione e all’analisi dei testi letterari, sezionandoli con acribia per dare una voce il più
possibilmente fedele alle esigenze e alle intenzioni della scrittura di poeti e scrittori, per cui sono avvezza a dare spazio a una sensibilità
linguistica e lessicale che mi conduce a spogliare le parole delle loro incrostazioni, più o meno edulcorate, e così leggere nel loro uso finalità
argomentative e ideologiche (ma non so se sia il caso oggi di continuare a parlare di ideologia). Premesso tutto questo non a fini narcisistici e
autobiografici, ma solo per motivare l’origine di queste mie rapide riflessioni, voglio soffermarmi sia pure superficialmente e senza alcuna acribia
filologica, sull’utilizzo della lingua in questi nostri giorni, infestati da un fioccare di notizie che coinvolgono i campi della politica, dell’etica
e di un civile vivere democratico. Il mio interesse di letterata e non di politologa va soprattutto alla lingua dei mezzi d’informazione e dei
politici, poiché è da essi che veniamo letteralmente bombardati e tracimati quotidianamente. Strattonata dal mio orizzonte di studi dai media, che
riversano nelle nostre orecchie e nei nostri occhi spesso poco avvertiti, una marea di informazioni e parole, mi sono resa conto che molto
frequentemente si usa il lessico con eccessiva disinvoltura, una superficialità che, a mio avviso, è strategicamente rivolta a confondere e ad
ambiguare i messaggi per una serie di motivi che non possono non allarmarmi.
Continua a leggere "Teresa Ferri - Eufemismi e brutte parole"
Domenica, 13 febbraio 2011
Come vivere. Cosa fare
Ieri sera la luna si alzò su questa roccia, impura sopra un mondo non purgato. L’uomo e la sua compagna sostarono a riposare dinanzi alla sua eroica altezza.
Freddo il vento cadde intorno a loro in molte sovranità di suono: avevano lasciato il sole striato di fiamma per cercare un sole dal fuoco più intenso.
Invece c’era questa roccia irta che sorgeva massiccia, alta e nuda, oltre tutti gli alberi, gettando i crinali come braccia gigantesche fra le nubi.
Non c’era né voce né crestata immagine, né corista, né prete. C’era solo la grande altezza della roccia e loro due fermi a riposare.
C‘ era il vento freddo e il suono del vento, lontano dalla melma della terra che avevano lasciato, un suono eroico gioioso e giubilante e certo.
How to Live. What to Do
Last evening the moon rose above this rock Impure upon a world unpurged. The man and his companion stopped To rest before the heroic height.
Coldly the wind fell upon them In many majesties of sound: They that had left the flame-freaked sun To seek a sun of fuller fire.
Instead there was this tufted rock Massively rising high and bare Beyond all trees, the ridges thrown Like giant arms among the clouds.
There was neither voice nor crested image, No chorister, nor priest. There was Only the great height of the rock And the two of them standing still to rest.
There was the cold wind and the sound It made, away from the muck of the land That they had left, heroic sound Joyous and jubilant and sure.
Continua a leggere "Wallace Stevens - da Parti di un mondo"
Domenica, 6 febbraio 2011
Perchè il mondo è vedovo? Quando il mondo è vedovo? Nel libro (se nel
frattempo non soccorre la memoria) si rinviene un exergo della Rosselli
di Variazioni belliche (anche solo dagli exerga si potrebbe
costruire una piccola biblioteca ideale di Turroni). Certo: il mondo,
come ciascuno di noi, è vedovo quando manca l'altro, la compiutezza, la
realizzazione dell'identità; ma lo è anche quando il male, l'assassino,
il distruttore "cammina ancora" e questo mondo contemporaneo, è già, quasi preventivamente, vedovato dalla ingiustizia degli uomini.
Libro epico, questo di Paola Turroni, come giustamente nota Bertoni nella sua nota. Intanto per come dice, per il suo linguaggio, linguaggio semplice, "povero", quindi dei poveri.
Un linguaggio che supera agevolmente certi falsi problemi di poesia in
prosa e viceversa. Non c'è assolutamente niente di artefatto o ermetico
in questo linguaggio, niente di sperimentale. Niente di mimetico, no, è
proprio condivisione, emozione. La ricerca, assolutamente perseguita
perchè sostenuta da un'idea forte, è semmai centrata sulle modalità
espressive, sulle forme, sulla voce, sull'oggetto del dire, sulla comunicazione, intesa essa anche nel suo pieno valore etimologico. Se volete, anche se non ho particolare simpatia per il termine, è poesia civile (ma anche qui superando certi nostri localismi di genere). E' (e credo voglia essere) anche e più teatro, mise en scène,
rappresentazione di scenari tanto banali (nel senso harendtiano) quanto
drammaticamente e insensatamente ripetitivi (e non è un caso che la
guerra, protagonista principale, si svolga sempre - come banalmente si
suol dire - su un teatro). E naturalmente questa è guerra di
effetti collaterali, è querra residuale, la peggiore, quella fatta delle
mine lasciate indietro, è quella subìta, la guerra dei poveracci, il
motore di molte migrazioni, forse proprio quelle che si infrangono sui
nostri scogli. E' anche, naturalmente, la guerra di tutti i giorni,
la guerra della fame, della sopravvivenza pura, del futuro improbabile o
negato. E anche la guerra dell'ovunque, nei molti luoghi di questo
libro, luoghi non nominati, forse Tehran, forse Sarajevo, forse la
Palestina o la Cina, forse qualche baracca dietro casa nostra. Che
importa dove, è la globalizzazione della miseria o dell'espropriazione,
il non-luogo del dolore.
Lavoro meditato, architettonicamente robusto, il libro è organizzato in cori (che col pensiero rimandano alle attività performative di Turroni); direzioni di
una rosa dei venti insieme geopolitica e sentimentale al cui centro c'è
un occidente un pò attonito e un pò cinico ("speriamo che non scoppi la
guerra proprio adesso / ho l'aereo tra due giorni"); valichi,
che non sono solo luoghi fisici, ponti, sbarre, campi di raccolta, ma
anche confini dell'anima, ostacoli da saltare, frontiere dell'umano
disconosciuto; e un funerale, sigillo del libro
(ma non termine della Storia, quella ricorsiva e terribile), luogo
memoriale ("i morti sono vivi e ci raccontano / la frana della sera"),
lamentazione quasi classica affidata, come il resto della narrazione,
alle donne. Le donne (e i bambini) sono centrali in questo libro. Gli
uomini, sembra di capire, sono altrove. Forse a combattere, forse
emigrati, forse morti in qualche luogo, spesso dall'altra parte, quella
dei carnefici ("dall'altra parte i soldati - non gli uomini", cosa ben
diversa). Donne e bambini come voci individuali senza nome e come voce
collettiva di "un qualunque 'io' nostro contemporaneo e primomondista"
(Bertoni), espressa con un tono che è tanto più denunciante quanto più è
nella narrazione pacato (ma non rassegnato), quasi tolstoiano. ...Le
donne, i bambini, "metà di una parte strappata, voluta, voltata", ciò che resta quando il mondo è vedovo.
Paola Turroni - Il mondo è vedovo, ed. Carta Bianca, Bazzano 2010, collana Poesia contemporanea, nota critica di Alberto Bertoni
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