Lunedì, 31 gennaio 2011 C'è da chiedersi (a prescindere dal fatto che un autore deve essere letto più che celebrato), se la cultura possa essere soggetta (a torto o a ragione) a una pressione di tipo lobbistico, ovvero a dei rapporti di forza (politica, economica, elettorale) cui eventualmente soggiacere. Qui non si tratta di scontro ideologico o di guerra delle idee, ma secondo me di una punizione postuma. Uno dei problemi di certe punizioni postume è che lo sono perennemente, cioè sono a tempo indeterminato, perchè legate indissolubilmente alla memoria collettiva, che al contrario di quella individuale è teoricamente eterna. E tralasciamo qui il fatto che, in quanto eterna, è contemporaneamente inutile (la Storia non ci insegna mai nulla, qui e ora) e dannosa (perchè spesso alibi di odii altrettanto infiniti, roba di tutti i giorni sui giornali). E c'è pure da chiedersi se l'arte sia sempre (e comunque e a prescidere) bacata dal comportamento o ethos dell'artista al punto tale da inficiarne il valore estetico ma anche, appunto, quello etico. Alla distanza, cosa ci deve interessare di più, ad esempio di un gigante come Pound? La sua arte? I suoi vaneggiamenti? Il suo stile di vita? E' preferibile usarlo come strumento politico? Iscriverlo d'ufficio alla destra, come fanno quelli di Casa Pound? Certo adottare un punto di vista "bacato" può riuscire utile in qualche occasione, anche qui da noi, come quando i leghisti propongono di espellere dalle biblioteche le opere di autori che si sono pronunciati a favore di Battisti, un'idea (questa leghista) tanto idiota e pericolosa quanto, riconosciamolo, parecchio provinciale.
Forse non ho le idee chiare al riguardo, ma di una cosa sono abbastanza
sicuro, se posso permettermi una battuta estrema: che Hitler non
avrebbe mai potuto scrivere niente di simile a "Viaggio al termine della
notte", e Céline non avrebbe mai potuto uccidere sei milioni di ebrei
(e che Battisti non può competere con nessuno dei due, né come scrittore
né come assassino). E' proprio una questione di valori. Continua a leggere "" Mercoledì, 26 gennaio 2011
GHERASIM LUCA
![]()
Per Luca “le parole sono soltanto il supporto materiale di una ricerca che ha come fine la trasmutazione del reale”, un abbandonarsi alla vibrazione
del nostro essere che eccede il senso.
L’INVENTORE DELL’AMORE - APPENDICE
L'ultima raccolta alla quale Ghérasim Luca lavorò si compone di due lunghi poemi già pubblicati nel 1945 in Romania: L'inventore dell'amore e La Morte morta e un’Appendice. Questi testi, ai quali Ghérasim Luca rimise mano prima della morte, sono in diretta relazione con il “Primo manifesto non-edipico”, testo scomparso. L’inventore dell’amore propone la sua reinvenzione, in un mondo in cui
“tutto dev’essere reinventato” e che impone il distacco da una condizione edipica, che rende l’amore impossibile. L’inventore dell’amore
rincorre la donna amata ma assente dalla realtà per incarnarsi in tante donne diverse, per sfuggire al fantasma edipico della madre.
QUARTO D'ORA DI CULTURA METAFISICA
Prendersi una pausa, un quarto d’ora di cultura metafisica. Occorre trovare un posto alle idee, a costo di piegare la morte alla vita o di collocare la
vita sopra la morte. Le idee hanno corpo, prendono corpo, sono tese, sfibrano l’essere. Il vuoto non è senza il suolo, la terra non è senza angoscia.
Un brivido percorre le idee e la vita, la morte va tenuta sopra la testa o lasciata fuori. Tra “la transe et la danse” saltelliamo – come
Zarathustra – sui brividi, le angosce docili, rilassamento delle idee e del corpo. Esercizio di respirazione, ma che è solo un punto di arresto – un
tempo morto – tra le idee, un gettarle indietro con la morte, facendo venire avanti vita e angosce, “aspirare attraverso il vuoto”. “Il saggio è senza
idee”, il poeta ha idee tese, fino a spezzare il corpo, dove “expirer” (espirare) è anche l’atto di morire (spirare) aspirando il vuoto.
Quart d'heure letto dall'autore
Mi è difficile esprimermi in linguaggio visivo. Potrebbe esservi nell’idea stessa di creazione - cre-azione - qualcosa, qualcosa che sfugge alla passività di una descrizione che deriva
inevitabilmente da un linguaggio concettuale. Nel linguaggio che serve a designare gli oggetti, la parola non ha che un senso, o due al massimo, e
tiene prigioniero il suono. Spezzando la forma in cui la parola si è invischiata appariranno nuove relazioni: la sonorità si esalta, affiorano segreti
che giacevano addormentati, colui che ascolta è introdotto in un mondo di vibrazioni che suppone una partecipazione fisica, simultanea, all'adesione
mentale. Liberate il soffio e ogni parola diventa un segnale. Mi riallaccio verosimilmente a una vaga tradizione poetica e ad ogni modo illegittima. Ma
il termine stesso di poesia mi sembra falsato. Forse preferisco “ontofonia”. Colui che schiude la parola, schiude la materia, e la parola non è che il
supporto materiale di una ricerca che ha come fine la trasmutazione del reale. Più che situarmi in rapporto a una tradizione o a una rivoluzione, mi
applico a svelare una risonanza dell’essere, inammissibile. La poesia è un “silensophone”, il poema, un luogo d’operazioni, la parola è sottomessa a
una serie di mutazioni sonore, ognuna delle sue sfaccettature libera la molteplicità del senso di cui si carica. Nell’estensione della mia lingua il
frastuono e il silenzio si scontrano – centro shock - dove la poesia assume la forma dell'onda che l’ha scatenata. O meglio, la poesia s’eclissa
davanti alle sue conseguenze. In altri termini: io m’oralizzo.
(Ghérasim Luca)
***
Ghérasim Luca (1913 – 1994).
Gherasim Luca nasce a Bucarest nel 1913, da una famiglia ebrea askenazita. Presto in contatto con parecchie lingue, in particolare il francese, lingua
della cultura letteraria, yiddish, rumeno e tedesco. Il suo interesse per il surrealismo risale alla fine degli anni trenta; entra in corrispondenza
con André Breton. Nel breve periodo di libertà prima del comunismo Luca da vita a un gruppo surrealista con alcuni amici. Dispone di una tipografia e
di un luogo di esposizione, e adotta la lingua francese nel suo desiderio di rompere con la lingua materna. All’avvento del comunismo, nel 1947, cerca
di lasciare la Romania con l’amico Dolfi Trost, ma è catturato alla frontiera. La sola possibilità di lasciare la Romania è un visto per Israele, lo
ottiene solo cinque anni dopo. Resta in Israele solo pochi mesi, qui per sfuggire al servizio militare obbligatorio vivrà recluso in una grotta
illuminata solo da uno specchio che riflette i raggi del sole. Raggiunge Parigi nel 1952, città che non lascerà più. Qui pubblicherà il suo primo
grande libro “Héros-Limite” con la casa editrice Soleil noir. In Francia vivrà sempre da apolide, e finirà per accettare di essere naturalizzato
francese solo a seguito di una procedura di espulsione. Questa prova susciterà in lui la memoria delle vecchie vessazioni, legate a fascismo e
comunismo. Il 9 febbraio 1994 a mezzanotte, dopo aver scritto il suo ultimo messaggio, dirà di voler lasciare “questo mondo dove non c’è più posto per
i poeti”, si getterà nella Senna. Tra le sue opere : Le Vampire passif, Éditions de l’Oubli, Bucarest 1945 ; Héros-Limite, Le Soleil
Noir, Paris 1953 ; La Fin du monde, Editions Petitthory, Paris 1969 ; Le Chant de la carpe, Le Soleil Noir, Paris, 1973 ; Paralipomènes, Le Soleil Noir, Paris 1976.
le note introduttive e la scheda biografica sono di Alfredo Riponi
Venerdì, 21 gennaio 2011Rita R. Florit - Passo nel fuoco
Rita R. Florit - Passo nel fuoco - Edizioni d'If, Napoli 2010, pagg.32 (il libro ha vinto il premio I miosotis IV edizione)
Continua a leggere "Rita R. Florit - Passo nel fuoco" Venerdì, 14 gennaio 2011Massimo Barbaro - Nei giardini degli scettici
Vorrei però aggiungere qualcosa, che credo possa avere qualche corrispondenza con quanto accennato sopra: - lo sguardo: in questa poesia c'è molto sguardo, sia come singola parola che come concetti afferenti alla medesima area semantica (sguardo, guardare, vedere, immagini, occhi), ma anche al suo opposto (nascosto alla luce, cose nascoste al pensiero, buio, luce fredda, oscuro). Le due cose non si elidono, semmai concorrono a una specie di école du regard ma con meno carica sperimentale (sia detto con favore), almeno nel senso di una descrizione fenomenologica di eventi e cose, di sospensione del tempo, di allontanamento del soggetto (c'è molto poco io qui, oppure - dice Barbaro rammentando Rimbaud - "l'io sono qui ma / potrebbe essere / benissimo / altrimenti altrove"). - la distanza: quanto si diceva sopra sembra a sua volta essere filtrato, o intersecarsi, da una parte con un pessimismo molto moderno (si parla in certi passi di inutilità delle cose, inutilità del vivere), dall'altra con una assimilazione culturale di stampo orientale con cui Barbaro (se ci soccorrono le note bio) sembra avere dimestichezza. Lo sguardo è da questa distanza, e questa distanza non è solo ottica ma anche mentale, concettuale o filosofica. L'evento, il fatto, l'osservazione vengono accostati (o meglio aspirano) più che a una epifania ad una "illuminazione" e sembrano sempre condotti da una disciplina ("il respiro condotto per mano / sui sentieri impervi della disciplina"). L'esito va dall'estrema sintesi di un koan ("la campana chiama le nuvole / sì, adesso capisco le ardesie") a testi più distesi sempre però sorretti da un respiro (e da un pensiero) lungo e controllato, fino alla composizione di testi (ancora forse per marcare una distanza) in francese o inglese che evaporano in puro suono.
- la sospensione: in entrambi i casi di cui si diceva sopra agisce una
essenzialità del linguaggio ("minimo", dice Ercolani), ma anche una
certa neutralità legata alla scarsità di elementi connotativi come ad
esempio gli aggettivi o altri elementi "emozionali". Questa
essenzialità, insieme alla distanza, porta a una sospensione del
giudizio, ad un lasciare la presa; il che non è fuga, nè quietismo, ma
semmai una convinzione filosofica che forse proviene a Barbaro da una
certa frequentazione del pensiero orientale a cui accennavo prima, o
meglio ancora, per citare lo stesso Barbaro, una "consapevolezza
tranquilla". In effetti qui non c'è azione, non ce n'è molta (il tempo
ristagna, l'attimo rimane sospeso, l'immobilità scavata del vento) né in
chi osserva né in cosa è osservato. Anzi, per dirla ancora in termini orientali, c'è non azione. Forse, in questi giardini, contemplazione.
Insomma, chi sono gli scettici a cui fa riferimento il titolo? Credo
proprio che siano quegli antichi greci che fin dal quarto secolo a.C.
erano giunti alla convinzione che fosse impossibile afferrare una realtà
sempre evanescente e mutevole. Certo qui non ci sono solo gli scettici
con la loro epoché e la loro atharassia, c'è molto altro depositato in questi testi lavorati a freddo, in cui risaltano (v. qui sotto) momenti intensi come contatto con la terra oppure apart from the apories (una vera epifania delle epifanie). E
infine, tengo a sottolineare, l'insieme degli elementi cha abbiamo
visto produce un quadro per converso in-quietante (nel senso vitale e
positivo del termine), instilla nel lettore il dubbio di non avere
(ancora) afferrato il senso pieno, lo invita come lettore a ripensare la
sua stessa posizione privilegiata e irresponsabile nei confronti
dell'autore. Massimo Barbaro - Nei giardini degli scettici, Ed. del Foglio Clandestino, 2009 Continua a leggere "Massimo Barbaro - Nei giardini degli scettici" Domenica, 9 gennaio 2011Adriano Spatola - L'anno scorso segreto1 . Gennaio, forse ![]() Neve e sale sono sentimenti dilatati pensieri pensati per pensare con prudenza a gesti intimi e alieni di un diagramma che la vita offre appena sconsacrato in giochi 0 enigmi in segni rosicchiati nella zona sensibile della cute rugosa del corpo congelato nell'apposito ghiaccio parlo del suo corpo sbagliato e provocante neve e sale sono un convincimento insultante autolesionista insanguinato irritante ma la pigmentazione è leggera e posata strofinata con dita fredde e unghie corte sbadatamente colpevoli di un po’ di morte non per questo insincere o incapaci anzi tenaci anche se troppo meccaniche troppo umide bagnate oppure rugiadose nel bianco della neve e del sale accecante che il tempo nel frattempo può accumulare intenerito per le vere verità che verranno in gennaio che è il primo mese dell’anno 2. Febbraio, forse Gli alberi sono stati concepiti nella seta della memoria satura di un odio sufliciente alla sonnolenza della nitida segregazione qualcosa di poco tagliente e di abbandonato a immagini sbiadite di foto sovresposte parlo delle sue foto ottuse ed eloquenti bandiere consumate di antiche riluttanze per vanità capricci oscenità di buon gusto tra gli alberi sospesi in rami articolati ormai spenti in un incendio soffocato lattiginoso nella corruzione trasparente parlo dell’ultima foto queila più decente quasi demenzione molto più che innocente scentrata rispetto al suo nucleo visibile inesplorato ingrato felice inesorabile intenerito per le vere verita che verranno in febbraio il secondo mese dell'anno 3. Marzo, forse Acqua e pioggia sono avvenimenti meschini avvelenamenti sgraziati da tardo pomeriggio cadono si muovono gemono irrazionalmente con spiegazioni inspiegabili e falsi scopi qualcosa di erotico ma tiepido e strangolato parlo di questo tepore maligno e sfebbrato in un cinema deserto con poche coppie isolate nell‘acqua e nella pioggia carnose e profumate da un coperto sentore di erbe e di placenta la tentazione più vaga sarebbe annusarle costringerle in rima magari accumularle per la fame insaziabile che corrode le foglie il vasto ticchettio che prepara le doglie del datario di gomma timido e incestuoso parlo delle date perdute non di quelle mancate sporgenti dai chiodi flssi del calendario e la sua dimensione giuridica da bassorilievo pronta all’accusa ma con un certo sollievo parlo del sollievo inquietante del rospo della veemenza aritmetica dei suoi versi brevi nel prato in parte sommerso dall’acqua perchè sapevamo che era un giorno di pioggia intenerito per le vere verità che verranno in marzo che è il terzo mese dell’anno 4. Aprile, forse Il sole è fatto di molti misteriosi concetti avvenimenti pusillanimi con fiacca rotazione dicono non dicono però pretendono attenzione qualcosa di marcio di un po’ slabbrato o di rosa un tenue colore applicato alla nostra grettezza con pennellate leggere stremate dal caldo parlo del caldo che si corrompe e entusiasma di questo calore magico e nero che non si salva innocuamente servile ai fini dell'organismo intenerito per le vere verità che verranno in aprile che è il quarto mese dell'anno 5, Maggio, forse Andante moderato con un anello di strazio o di respiro ansante registrato sul nastro che gira nella macchina posata su un letto qualcosa di grigio e sconvolto mai pronunciato nell’urto dei denti con la lingua impastata parlo del suo linguaggio modesto e indisponente pesante come un sasso tra il cuscino e la mente per congiunzione sinapsi 0 fato travolgente con sincronica incuria forse troppo leggera adesso per fortuna molto meglio interpretata parlo della sua lingua cosl docile e tarata dalle neutre querimonie cui ci siamo abituati noi seduti in ginocchio per voglia di possesso abbagliati e schiacciati in finzione servile e un esperto conferma non è poi cosi vile non è liturgico o sacro non c’è niente di male e un semplice riflesso intagliato nel vetro intenerito per le vere verità che verranno in maggio che è il quinto mese dell’anno [..] L'immagine è tratta da anteremedizioni.it Altre cose di Adriano Spatola qui e qui Lunedì, 3 gennaio 2011Marina Pizzi - DecliniAlcuni testi dei 122 che compongono "Declini" di un salottino di primi maghi quando si giocava e il vandalo elevato alla potenza era ben lontano e lo sfasciacarrozze del sangue era ben lontano in un manipolo di cespugli si giocava alla costanza del trenino all’acqua magica, con la penuria del dopo l’avvento di costringere frasette di commiato la stasi darsena seguita dall’attesa in frode d’ascia. 12. avrò vent'anni ma il calice è nero nerissimo l'urlo della specie sottratta nella faccenduola gravida del pianto dove la vena inchioda un sangue nero bravura del commiato mare di scontro da sotto il mento un sì che non ha valore ma sisma di cometa l’erba panica ridotta ad un cimelio di facciata 21. ho il freddo di chi vive modesto impresario del sale in uso all'acqua docile enigma mano sul da farsi incognita comunque dove il velo dell'ora stenda cometa in libera uscita, l’uscio aperto in una mole di luce il fulcro scivola a non dar perimetro. Continua a leggere "Marina Pizzi - Declini"
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