Venerdì, 30 aprile 2010
Inizio con oggi la pubblicazione dei testi poetici usciti dai laboratori di traduzione del gemellaggio franco-italiano, avvenuto a Pistoia nell'aprile dello scorso anno (v. qui), una esperienza di grande valore culturale che tra l'altro occupa gran parte del n. 40 della rivista Semicerchio (v. qui) e che si è ripetuta quest'anno con lo spostamento del gruppo italiano a Marsiglia (v. qui). Il primo testo (I due canopi) è una limpida composizione in tre parti, in cui Paolo Fabrizio Iacuzzi richiama metaforicamente il rispecchiarsi della modernità nella nostra Storia passata e in qualche sua vanitas. Con essa si è cimentato, in una traduzione in francese altrettanto cristallina, André Ughetto. L'effetto che ne esce è di grande interesse e suggestione.
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Lunedì, 26 aprile 2010
Il titolo di questa piccola silloge
forse non deve essere frainteso. Non si tratta solo di
preghiera o di invocazione (in che senso vedremo). E' più probabile che
si tratti di una dedicatio a Lui, del tutto laicamente intesa
ma niente affatto blasfema, come destinatario quasi paritetico da cui ci
si aspetta una risposta, e come interlocutore per il momento muto, a
cui rivolgersi senza mediazioni. In altre parole non tanto bisogno di
Dio quanto bisogno del sacro, o del senso.
Un bisogno c'è, in fondo. Che sia necessità di esprimere un
risentimento, o di chiedere una proroga (magari di "cento giorni") dei termini di ascolto in (una qualche) forma di preghiera,
preghiera però così riluttante e diffidente che sembra sempre sul punto
di essere ritirata o smentita. C'è in effetti, in questi testi, una
contraddizione per così dire ideologica o etica (nel senso del
comportamento) che si riflette anche sulle forme di espressione, in una
certa incertezza dei registri, o se vogliamo un certo sbilanciamento
verso modalità magmatiche, primarie, più di istinto che di pensiero.
Poichè a Dio magari si chiede la restituzione di un minimale Eden
("dovresti farmi una serra / un giardino d'inverno con arance e
pomodori") o al contrario di dimenticarsi di noi, di tornare alle sue
pecorelle e di lasciarci tornare al nostro ateismo. Dal quale, tuttavia,
non rinunciamo a "trascriverlo", cioè in definitiva a nominarlo.
Eppure, pur sperando a volte in un dio nuovo, non dobbiamo fidarci mai -
dice l'autrice - "di un dio che ha un nome" (figuriamoci - aggiungo io -
di uno che ne ha 99 "bellissimi" come nel Corano o 72 come nella
Qabbalah, ed è nello stesso
tempo ineffabile cioè "indicibile"). Al di là della battuta, quello di Greta quindi è un dio
mistero, una rappresentazione di una realtà carente, o almeno illusoria,
da interrogare però in maniera rapsodica, non progettuale, nella
speranza di intravedere qualcosa di metafisico che contrasti
l'immobilità dell'immagine. Perciò se c'è un problema in questo tipo di poesia è nel dislivello
poetico tra l'idea e la realizzazione, tra il soggetto e l'oggetto
dell'ispirazione o, in parole povere, tra la rabbia e il bersaglio. Non è
un problema di qualità, è un problema di im-mediatezza o di urgenza che
non si perde certo in ricerche linguistiche o stilistiche. Ma l'idea
c'è, è buona, si tratta di lavorarci sopra, e già qui raggiunge un certo
livello espressivo, come ad esempio in Ramificazioni 1, in
Peccati capitali o in Apocalisse, testi assai interessanti.
Continua a leggere "Greta Rosso - Poesie a Dio"
Mercoledì, 21 aprile 2010
Joan Vinyoli i Pladevall (Barcellona 1914 – 1984), poeta e traduttore di Rilke in catalano. Vincitore di numerosi premi, la sua poetica è caratterizzata da una forte oscillazione tra le rotte del sacro e l’abbandono alle forme materiali dell’esperienza mondana. Rielabora la tradizione mistica romanza medievale trasportandola in catalano tramite il filtro dell’espressionismo tedesco. Il Llibre d’amic, di cui qui si propone una traduzione in italiano, è liberamente ispirato al Llibre d’Amic e Amat dagli accesi toni erotico-spirituali del maiorchino Ramon Llull (secolo XIV).
"Le poesie di questo libro furono scritte tra il 1955 e il 1959. Sono il correlato oggettivo verbale di un lungo processo d'interiorizzazione. Hanno significato un'immersione nelle acque più profonde della poesia e della vita. Poesia, questa, che porta in sé un linguaggio indiretto, allusivo. Il vissuto che intende trascrivere esige che i versi si pieghino quanto più possibile al loro stesso movimento. Ed è questo il movimento custodito dal canto. Se vent'anni fa questo testo poteva sembrarmi insolito, adesso mi pare perfettamente attuale nel complesso tessuto della poesia contemporanea." J.V.
Libro dell’Amico
Son naufragato in profonde acque: non parlatemi di rive. Tu, amica, meriti un canto senza sbaglio alcuno.
Cantavan ll’auciell ‘a matina e se scetaie ll’amic, ch’er ‘e matina; e ll’auciell fernettero ‘o canto, e ll’amico pe’ ll’amato murette, ‘a matina.
Ramon Llull, Llibre d’Amic e Amat, 25 Mallorca, sec. XIV
I
Solitudine ormai, e già la fronda,
sì sciolto e insonne d’invocazione
corre il vento, dove acqua divengono
le rocce mentre io m’inalbero
tra le mani del vento.
II
O presenza, per quale cammino andrò
lontano da te?
Si smuove l’albero nel mormorio del vento
tra le foglie, ancora non ti ho visto,
ma ti presento.
Sosterrò Presenza?
III
Fin dove io dormivo venisti
e mi risvegliasti,
e m’invitasti alla sete,
una gran sete per la quale
coppa ti facesti da cui io potessi bere.
IV
Felice il dolore di chi vive
toccato dalla freccia avvelenata dal curaro
del cieco. Perché, ferito,
e mentre per il sangue gli ardono
gli umori brumosi, urla aiuto all’arciere, che s’allontana.
Continua a leggere "Joan Vinyoli - Libro dell'amico"
Lunedì, 19 aprile 2010
Come Sebastiano Aglieco, su quanto uscito dall'incontro di Vimercate di sabato scorso ( "La poesia nella rete - Spazi
virtuali e immaginari poetici", a cura di Sebastiano Aglieco e di
Francesco Marotta) anch'io rimando al post di Stefano Guglielmin sul suo blog (v. qui) e ai commenti, compreso il mio, che lì si stanno susseguendo. Dite la vostra, please.
Venerdì, 16 aprile 2010
Un
libro bello e terribile, questo di Stefano Massari, e sicuramente uno
dei più importanti tra quelli letti ultimamente. Non è un libro per
anime semplici, né per coloro che credono che la poesia sia un'attività
sorgiva e consolatoria. Qui di consolatorio c'è molto poco, anche per il
suo autore. Perchè Stefano si è seduto sulla soglia, quella estrema, e
si è messo a parlare di morte, a tentare, come è possibile fare a un
poeta, un suo personale viaggio d'Orfeo. Un libro (Serie del ritorno, La Vita Felice, 2009) con una sua
risolutezza, anche stilistica e (sia inteso del tutto positivamente)
una forma alta di retorica cioè di arte del dire, e una struttura
disciplinatamente organizzata in nove sezioni (ma bisogna contare almeno
anche un prologo e un epilogo), sezioni che già nel loro titolo
pongono un problema interpretativo. Sono infatti frazioni di tempo di
una intera giornata (dalle 00.00 di una ipotetica mezzanotte alle 03.24,
dalle 03.35 alle 06.02, ecc), o forse frazioni diverse di diverse
giornate, che coprono comunque, senza sovrapporsi, un sorta di viaggio
joyciano di ventiquattro ore, nel corso delle quali Massari interroga e
si interroga, ricorda e dimentica, rimpiange e si accusa, costruendo un
canzoniere dell'addio di stoffa diversa ma non meno coinvolgente di
quello scritto a suo tempo dal suo prefatore Milo De Angelis.
Continua a leggere "Stefano Massari- Serie del ritorno"
Lunedì, 12 aprile 2010
Sabato 17 Aprile p.v., dalle ore 15.00 alle 17.00, presso la Biblioteca civica di Vimercate, si terrà l'incontro "La poesia nella rete - Spazi virtuali e immaginari poetici", a cura di Sebastiano Aglieco e di Francesco Marotta (programma qui), mentre Sabato 24 Aprile si terrà "C'era una volta nella Poesia on line”, una mappatura emozionale del contemporaneo, a Verona, presso il Centro turistico giovanile Via Santa Maria in Chiavica 7 (v. qui), a cura di Alessandro Assiri e Claudio Di Scalzo (dalle ore 15 alle 19). Due appuntamenti interessanti che francamente sarebbe stato meglio coordinare, per stra-ovvie ragioni. Speriamo che questo possa avvenire in futuro. Sarebbe importante esserci, ad almeno uno dei due.Per quanto mi riguarda ho fatto qualche riflessione, su uno spettro più ampio, qui e qui. Ma ci sono stati altri avvii di discussione, che Sebastiano Aglieco ha cercato di riepilogare qui, ma vedi interessante anche qui.
Sabato, 10 aprile 2010
I miei primi timidi tentativi di tradurre Donald Justice, poeta tanto noto in America quanto sconosciuto in Italia, risalgono ad uno dei primissimi post di questo blog, nel 2005 (v. qui). Pubblico ora altre quattro poesie da me tradotte, del tutto tipiche dello stile e della poetica di Justice che, con le dovute cautele, potrebbe essere definito come alfiere di un crepuscolarismo americano, che contiene anche una felicità malinconica per la vita vissuta o, come afferma Mark Jarman, poeta a sua volta e critico, "una volontà di scoprire una vecchia musica in una nuova anatomia". Fatte di sensazioni niente affatto eccezionali e di oggetti, luoghi, paesaggi, esperienze del tutto comuni, queste poesie forse non rappresentano l'apice della produzione americana del secondo dopoguerra, ma sono un buon esempio di ciò che potremmo indicare, forse con qualche avventatezza, come il "pragmatismo lirico" d'oltre oceano. Del resto lo stesso autore afferma, in un'intervista: "La poesia arriva da qualsiasi parte . . . e per quanto mi riguarda, non dovrebbero esserci gerarchie di valori nel considerare questo. Quello che importa è il risultato, non la fonte, l'origine, o la teoria." (g.c.)
Variazioni su un testo di Vallejo
Me moriré en Paris con aguacero ...
Morirò nel sole di Miami, In un giorno di sole davvero luminoso, Un giorno come i giorni che ricordo, un giorno come altri giorni, Un giorno che nessuno conosce o ricorda ancora, E allora il sole splenderà su occhiali scuri di stranieri E negli occhi di pochi amici dell'infanzia E di qualche superstite cugino intorno alla mia tomba, Mentre gli scavatori, da una parte, nell'immobile ombra delle palme, Si appoggiano ai loro badili, e fumano, E parlano in spagnolo piano, per rispetto.
Penso che sarà in una domenica, come oggi, Solo che il sole sarà uscito, e la pioggia cessata, E il vento che oggi fa inchinare gli alberelli; E credo sarà di domenica perchè oggi, Quando ho preso questo foglio e cominciato a scrivere, Niente prima era mai apparso così vuoto, La mia vita, queste parole, la pagina, la grigia domenica; E il mio cane, tremante sotto il tavolo per via della bufera, Guardava verso di me, senza capire, E mio figlio leggeva in silenzio, e mia moglie ancora sonnecchiava.
Donald Justice è morto. Una domenica il sole uscì, Brillò sopra la baia, brillò sopra i bianchi edifici, Le auto che scorrevano giù in strada, lente come sempre, tantissime, Alcune con le loro luci accese, non ostante il sole, E dopo un pò i becchini con le loro pale Ritornarono alla fossa attraverso la luce del sole, E uno di loro piantò la lama nella terra Sollevò qualche zolla di fango, la nera argilla di Miami, E sparse il terriccio, e sputò, Girandosi bruscamente, per rispetto.
Nostalgia di lungolaghi
Le citta dietro di noi bruciano; il lago scintilla. Un alto altoparlante sta annunciando premi; Un altro, presso il lago, orari di crociere. L'infanzia, una volta piena di terrori e sorprese, Con la distanza sfuma nella profondità d'un paesaggio— E sempre nella distanza il triste piano,
Flebile nella distanza, un tintinnìo spettrale (Oh sfocate indecifrabili armonie) O qualche corno lontano che sull'acqua ripete La sua alta perduta nota, slegata da tutte le armonie. In quei tempi, un fanciullo, insonne, sognerà il mondo, Ed è il mondo a cui dal mondo noi corriamo.
O i due mondi vanno insieme e sono uno Negli scuri dolci pomeriggi di bufera e pioggia, E visori in 3D tirati fuori e spolverati, Pile di vecchi numeri del Geographic, o, sotto la pioggia, Una fradicia pazza corsa fino al cinema locale E il grido, forse, del bianco cacatua di Kane.(1) (Cos'era, forse era l'estate del '42?)
Sembra sempre nevrotica la città in Giugno. Ma i laghi sono buoni tutta l'estate per riflettere, E i nostri sono famosi tra i pittori per i loro blu, Ancora non davvero tristi, nel riflesso. Perchè tristi poi? E' così unico il loro desiderio— Da umanizzare quanto inanimato Con un amore ch'esso camuffa come pura tecnica?
Oh l'arte e il fanciullo fossero innocenti insieme! Ma i paesaggi crescono astratti, come genitori che invecchiano. Ora presto la guerra sprangherà i grand hotel, E noi, quando torneremo, lo faremo come genitori. Ora non ci sono più tra i pini lanterne appese— Solo, come la storia, i pini del nord desolati e nudi .
E dopo qualche tempo scompare il lungolago Negli ostinati versi dei suoi esilii O pochi schizzi a matita dei suoi moli. Piove forse sull'altro lato del cuore; E allora ricordiamo, lo si voglia o no. —La nostalgia, lo sai, giunge con l'odore della pioggia.
Uomini sui quaranta
Gli uomini sui quaranta Imparano a chiudere dolcemente Le porte di stanze Dove non torneranno più.
In piedi in mezzo al pianerottolo, Lo sentono quasi ora si muovesse Sotto di loro come il ponte di una nave, Sebbene l'ondeggiare sia gentile.
E nella profondità di specchi Essi di nuovo scoprono La faccia di un ragazzo che impara ad annodare La cravatta, in segreto, di suo padre,
E di quel padre la faccia, Ancora calda nel mistero della schiuma. Ora ci sono più padri di quanti siano i figli. Qualcosa li pervade, qualcosa
Che è come il suono crepuscolare Dei grilli, immenso, Che riempie i boschi ai piedi del declivio Al di là delle loro case ipotecate.
La sera della mente
Ecco che giunge la sera della mente. Ecco qui lucciole contorcersi nel sangue; Ecco lo scorrer giù dell'ombra sulla pagina Mentre siedi a leggere al muro del giardino. Ora i peschi nani, inchiodati alle loro ingraticciate, Fremono e s'incurvano. Conosci le loro voci, ora, I peschi martoriati che deboli gridano Il tuo nome, il nome che nessuno conosce a parte te. E' questa l'aura, è questo l'accadere. E' questa la cosa che discende, qui, e volteggia. E ora estrae un artiglio e tu l'afferri. Nel tuo grembo l'afferri, così riconoscente.
Hai detto che non avresti voluto andare ancora, Che non volevi andare -- eppure, E' come se tu stessi in piedi su di un molo A guardare una barchetta trascinata via Oltre le secche di falasco, i pesci morti ... E tu eri a bordo, sfiorando vecchi tronchi, Oltre e oltre, sotto un cielo d'ottone Muto come un gong prima che sia colpito -- Sospeso quanto? -- e ora lo colpiscono, ora Si ripete il sogno eterico vecchio di cinque anni, Si ripete, e tu devi svegliarti ancora col tuo sangue E spazi vuoti in gola. (2)
(1) il riferimento è al personaggio principale del film Quarto potere (Citizen Kane - 1941) di Orson Welles (2) il poeta si riferisce ai problemi di salute che lo avevano periodicamente afflitto, fino all'apoplessia che lo aveva colpito pochi mesi prima della morte avvenuta nel 2004
(trad. G.Cerrai - 2010. Diritti riservati)
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Mercoledì, 7 aprile 2010
Per il secondo anno, dopo lo spostamento in Toscana nella primavera del 2009 (v. qui) durante il quale lo Scriptorium di Marsiglia era stato ricevuto a Pistoia,
l’associazione organizza un periodo di gemellaggio poetico, che avrà luogo tra il 13 e il 17 aprile 2010 in Provenza. Il principio di questa iniziativa
è duplice: tessere dei legami di simpatia poetica tra autori di differenti paesi, favorire momenti di creazione condivisa nei luoghi e nelle
situazioni dove vivono i poeti.
In questa occasione lo Scriptorium ha stabilito dei partenariati, oltre che con la municipalità di Isle sur la Sorgue, che ospita l’evento insieme a
Marsiglia, anche con l’Accademia del Ceppo di Pistoia, l’Istituto Culturale Italiano di Marsiglia e la Fondazione Pro Helvetia.Enti patrocinatori della trasferta dei poeti italiani anche il Comune e la Biblioteca San Giorgio di Pistoia.
Parteciperanno, da parte italiana: Paolo Fabrizio Iacuzzi (v. qui), Maura Del Serra, Martha Canfield (v. qui) e Martino Baldi, oltre a Francesco Dreoni, Ilaria
Tagliaferri, Moreno Fabbri (traduttore e accompagnatori), mentre da parte francese saranno presenti Dominique Sorrente (v. qui), André Ughetto, Angèle Paoli (v. qui),
Olivier Bastide (v. qui) et Laurence Verrey (Svizzera) oltre che Valérie Brantôme, Elena Berti, Yves Thomas, (traduttrici e accompagnatore).
Nell’incontro di Marsiglia sarà presente anche Alessandro De Francesco, in rappresentanza della rivista fiorentina di poesia comparata Semicerchio, che
presenterà il numero 40 dedicato a Piero Bigongiari e alla Francia.
Altre informazioni sono reperibili ai seguenti link:
www.scriptorium-marseille.fr/
www.accademiadelceppo.it
Institut culturel italien de Marseille
www.unisi.it/semicerchio/
Martedì, 6 aprile 2010
L'arte figurativa spesso offre spunti e ispirazione al poeta, come ad esempio è possibile leggere in Auden (v. qui). Ecco quindi una "lettura" di Masaccio da parte del poeta americano John Koethe. L'opera a cui fa riferimento è, ovviamente, la "Cacciata dal Paradiso" della Cappella Brancacci in S.Maria del Carmine a Firenze, che il poeta ha visitato durante un viaggio in Italia.
da In Italia 2-Cacciata dal Giardino
È difficile ricordare che si sia mai stati qui, o cosa ci fosse di tanto eccezionale in quell'esserci. Ogni mattino un sole nuovo di zecca sorgeva in un cielo nuovo, e i canti degli uccelli colmavano l'aria. C'erano tutte quelle cose a cui dare un nome, e niente sesso. I bambini avevano preso quel che Dio gli aveva dato - un mondo retto in comune, una forma di vita senza peccato né complessità morale, un paradiso primaverile con tanto di serpenti - e se l'erano venduto per una sciocchezza, per la gloria della conoscenza contenuta nella mela fatale. A ogni buon conto, questa è la storia ufficiale.
Nell'affresco di Masaccio nella Cappella Brancacci le figure sono più pìccole di quanto ci si aspetti e mancano di contesto, e sembrano tanto più tragiche. Il Giardino è implicito su quei volti, descritto grazie alla magia elusiva del non-rappresentato. Il braccio abbandonato di Eva le nasconde il sesso. Non c'è molto altro da vedere, perché le domande importanti, le domande alle quali si torna incessantemente, non riguardano la loro dimora perduta, non raffigurata, ma sono quelle formulate dalle loro bocche stravolte: Cosa siamo adesso? Cosa diverremo?
Pensatelo come se fosse un qualsiasi stato che abbia preceduto il momento attuale, questa prigione del sé. L'idea del Giardino è l'idea di qualcosa di tangibile che si è ritirato nei racconti, nella poesia. Con l'invecchiare, diventa una questione non tanto di ampi intervalli quanto di momenti secondari molto simili a quelli di oggi, che la strana geometria del tempo ha reso irreali. Eppure la domanda, riproposta di nuovo ogni giorno, è la stessa, anche se la persona che la pone non è la stessa: Cosa sono adesso? Cosa sono diventato?
Continua a leggere "John Koethe - Cacciata dal Giardino"
Venerdì, 2 aprile 2010
Dopo un paio di post "pensosi" torniamo alla poesia. Domenico Ingenito, autore delle traduzioni di Forough Farrokhzad pubblicate qualche tempo fa (v. qui) e anche "poeta giovane e ad un passo dal fallimento" (parole sue, napoletanamente scaramantiche), mi manda un suo cospicuo canzoniere inedito. Ne ho tratto alcuni testi che mi sembravano interessanti, a cominciare dal primo, Lisbòna - Tehràn, un testo teatrale o corale, se vogliamo, che andrebbe bene recitato a più voci, essendo costruito su un impasto linguistico, una contaminazione del dire dell'amore che corre sull'ideale medesimo parallelo che congiunge le due città, una precisa angolazione del sole, un doppio o triplo orizzonte, fascinazione, antipodi erotici e un rovesciamento, come le stagioni, della propria identità culturale. In questo testo e negli altri (sono questi a mio avviso i punti più rilevanti di questo canzoniere) c'è anche qualcosa che il lettore nostrano deve capire, una mistica sottesa molto orientale o, al limite, una specie di metempsicosi linguistica, una reincarnazione, in un giovane occidentale studioso di letteratura persiana, di una parola distante e setosa. Se la stragrande maggioranza dei giovani poeti usciti dalle università italiane ha il problema primario di scrollarsi di dosso la pesante eredità novecentesca, Domenico deve invece fare conti con una cultura altra e affascinante di cui appare fortemente innamorato. Al suo meglio possibile quando ci si immerge, se però si depurano i testi da questa fascinazione, come in altri casi, si ritorna a un lirismo di cui Domenico potrebbe rinvenire esempi più consoni alla sua personale esperienza dalle nostre parti. Sta qui la zona di confine di cui lui dovrà tenere conto.
Lisbòna - TehrànLo sai, potrò coglierti in qualche modo, mai completo, io in questa lingua eppure fortificato, inteiro nello spaccarsi, tra l’altra lingua che le mani mie atravessa e questo petto che strane cose dar bamdàd per te canta al mattino. Costruirò in te la patria del cuore che impazzito si traduce fra i due estremi dei continenti rovesciàti, midunì, dèlam asìre lo sai, prigioniero è il mio cuore con grazia no sossego dos beijos, vou sentir a tua falta sentir la tua mancanza nella pace dei baci asheghané mibinàmet amorosamente ti sguardo. Ho una grammatica di sentimenti da insegnarti purché tu conosca il margine che dos azuis mais cheios encarna-se minh’alma dei più pieni azzurri mi s’incarna l’anima di possederci sempre sul confine estremo con chi parla del sussurro la notte con la voce spezzata dall’argento dove mazra’é-ye sabz-e falàk dìdam-o das-e màh-e now vidi i campi verdi del cielo e la falce della luna nuova. Come dirti ancora violentemente che la casa non è altro che torcia: irrompe nel cuore tra altopiani e valli di papaveri bruciati dal sole dei tuoi baci. Sì, anseio o sabor da tua saliva na minha bocca ardente desidero il sapore nella mia bocca della tua saliva Ma non preoccuparti zàr-o sim rà khahàm feshànd bar del-e faghìr-e durtarìn zaminhà è l’oro e l’argento che spargerò sul povero cuore delle terre più lontane Sfigurare allora l’oggetto che mi offri nella lingua più bella trasmutare il nome in quest’altra costa pienamente azzurra e restituirla ai villaggi perduti riscrivermi così in te nelle mille parole che pur ti riconosco inventare o pronunciare s g r a z i a t a m e n t e quello che n o i, come sai, non apparteniamo a esta ilha no meio do campo quest’isola in mezzo al campo, siamo forse una Triste Razza Cantante spezzata fra le terre che dentro ci abitano, ey sàrv-e siminbàr o cipresso dal petto d’argento ascolta come si scuote il cuore quando nella frattura ti estraggo come più puro rubino delle tue labbra accese di parole non ancora inventate eppure già sfavilla l’ora di volerti nos braços desta janela luminosa nelle braccia di questa luminosa finestra dar mehmanì-ye aftàb, zìr-e roshana’ì-ye setaregàn-e abiràng. nella festa del sole, sotto il fulgore di azzurre stelle Sì, aré, sim, verrò a cercarti, dar talàbet, à tua procura, per apprendere con te, ba to, aprender, teneramente lontani, dur-o latif-o longe la nostalgia, (ghorbàt-o saudad-o sowdà?) di quell’ altopiano tra le piazze e le strade, as ruas e as meydanhà di una città bella, a cidade-e zibà bianca tra le colline, branca dar myan-e teppehà, di silenzio sokùt perco-me em ti dove in te mi perdo.
Continua a leggere "Domenico Ingenito - Delle occasioni amorose"
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