Martedì, 29 aprile 2008
Con la mostra a lui dedicata in questi giorni a Reggio Emilia sembra riaccendersi l'interesse su uno dei maggiori "soggetti artistici non identificati" della cultura italiana, Emilio Villa, già oggetto di una mostra nel 1996 al Museo Pecci di Prato. Ripesco da La Repubblica e riporto qui sotto un articolo scritto da Francesco Erbani pochi giorni dopo la morte dell'artista (ma non so se questa definizione gli sarebbe piaciuta) avvenuta nel gennaio del 2003. Segnalo anche su Nazione Indiana il post di Fabio Pedone dedicato alla mostra (v. qui)
Emilio Villa l'inafferrabile di Francesco Erbani
(da La Repubblica del 14 febbraio 2003)
Emilio Villa è morto il 14 gennaio scorso, in una casa di cura nei pressi di Rieti. Soltanto alcuni giornali hanno dato la notizia. Un silenzio colpevole, ma in qualche modo inevitabile. Villa, che aveva ottantanove anni, era un gigante appartato, un personaggio che ha seguito strade accessorie, ma avventurose nella cultura del Novecento, un eccentrico, un poeta sperimentale, antesignano della neoavanguardia. Scriveva versi in latino, greco antico, portoghese e francese, e quando lo faceva in italiano avvolgeva il suo lessico in formule enigmatiche. Aveva nascosto se stesso in una dispersa, vastissima quantità di sedi, ancora oggi in parte irreperibili, inedite o addirittura ignote. Villa era anche un critico d' arte, meglio, un suggeritore d' arte, compagno di strada di grandi personaggi, i "romani" Mafai, Scialoja e Consagra e poi Burri e Rothko, Fontana e Pollock: i suoi versi illustrano cataloghi o preziosissime plaquettes che fanno felici gli antiquari che le posseggono. E infine era un cultore di lingue morte - il sumero, l' assiro, l' ugaritico, il fenicio - che lo immersero nell' indagine di antiche civiltà mediterranee e che lo tennero per mano in un' impresa non solo filologica, la traduzione integrale della Bibbia, una specie di viaggio alle origini del pensiero mitico. Villa è morto solo. Quindici anni fa era stato colpito da un ictus che gli aveva inibito la parola e bloccato il braccio destro. Il suo isolamento era diventato segregazione nella piccola casa seminterrata in una palazzina del quartiere romano dei Parioli (la moglie Nelda è morta nell' aprile scorso, i due figli vivono all' estero). Non aveva editori che potessero diffondere la notizia della sua morte. E così alla sua sepoltura, in un piccolo cimitero toscano, assistevano solo tre amici. Negli ultimi trent' anni gli è stato molto vicino Aldo Tagliaferri che, editor di Feltrinelli, pubblicò nel 1969 il suo Attributi dell' arte odierna, una raccolta di saggi su Cagli, Burri, Matta, Fontana, Manzoni e altri. Da allora in poi Tagliaferri lo ha accudito, come avrebbe fatto un figlio adottivo. Ne ha curato traduzioni e raccolte di poesie. E, nonostante lui fosse «un orso aggrottato», nonostante parlasse di sé e della propria vita solo «per squarci lirici», poco a poco ne ha scoperto i lati nascosti - quelli che Villa aveva sepolto o che aveva camuffato in una specie di caccia al tesoro il cui bottino era la cancellazione di sé. Come era accaduto per il soggiorno in Brasile, nei primi anni Cinquanta. Incontro Tagliaferri nella casa romana di Villa, dove è venuto a riordinare libri, a riempire e vuotare scatoloni. «Emilio parlava spesso di un viaggio in Brasile, di una donna, ma poi confondeva le tracce, mitizzava e molti si domandavano se quella del Brasile non fosse una favola», racconta Tagliaferri. «Dopo che si ammalò, andai a San Paolo e feci delle ricerche. Villa aveva lavorato per un anno e mezzo al Museu de Arte. Parlai con molte persone che lo avevano incontrato. Aveva svolto un lavoro importante. Ma non amava le posizioni sicure e coltivava l' idea di un' arte che viveva nella libertà assoluta e che non si conciliava con il museo. E così se ne tornò in Italia, alla sua vita di espedienti». Di espedienti Villa visse quasi fino alla fine. «Un po' di soldi li recuperava vendendo i quadri che gli regalavano i suoi amici pittori», racconta Tagliaferri. «Molti di loro lo sapevano, ma Burri si arrabbiò tantissimo quando lo scoprì. Non vendeva solo quadri, ma anche le sue poesie. Emilio non aveva alcuna misura del denaro, appena ne possedeva lo spendeva. Amava mangiar bene e bere». Villa proviene da una famiglia operaia. E' nato ad Affori, in provincia di Milano, dove il parroco, ammirandone l' intelligenza precoce e la duttilità per le lingue, lo indirizza in seminario. Fra i 16 e i 17 anni impara l' aramaico e il fenicio ed è in grado di sostenere conversazioni in greco e in latino. E' allora che inizia a tradurre le Sacre scritture, decidendo di proseguire gli studi al Pontificio Istituto Biblico di Roma, la massima cattedra dell' esegesi. Villa legge la Bibbia senza filtri cattolici e, volgendola in italiano, applica criteri non confessionali, strumenti filologici e non teologici, considerandola un prodotto letterario, anzi il grande repertorio in cui rintracciare le origini della cultura occidentale. (La traduzione è integrale ed è contenuta in numerosi quaderni, in parte dattiloscritti, in parte manoscritti: il materiale è stipato in uno scatolone che Tagliaferri mostra maneggiandolo come una porcellana di Meissen). A Roma, sul finire degli anni Trenta, Villa si occupa di arte, frequenta Mafai, De Libero, Sinisgalli e i più giovani Scialoja, Consagra e Scarpitta. Nel ' 40, racconta Giuseppe Appella, è redattore di Beltempo, almanacco della Cometa. Articoli di Villa compaiono su Corrente, Convivium, Il Bargello e Letteratura. Poi inizia una fase convulsa. Durante la guerra Villa torna in Lombardia, ma all' ingiunzione di arruolarsi nella Repubblica di Salò risponde dandosi alla macchia. Frequenta i partigiani, ma non combatte, fino a un altro "squarcio lirico" ricostruito da Tagliaferri: Villa che imbraccia un fucile in Piazzale Loreto, davanti al corpo di Mussolini. Nel dopoguerra, a Roma e a Milano, è ancora il mondo dell' arte che lo assorbe. Fontana e Burri sono le figure centrali di questo periodo. Esce nel 1947 un suo libro, Oramai che reca come sottotitolo «Pezzi, composizioni, antifone» e raccoglie testi e versi composti fra il ' 36 e il ' 45. Tornato dal Brasile, lavora ad Arti visive favorendo la conoscenza in Italia degli espressionisti astratti americani. In quegli anni corre impetuoso il fiume sotterraneo della poesia, che va sempre più perdendo nessi logici e grammaticali. E' una poesia le cui sorgenti, secondo Tagliaferri, si possono rintracciare «nelle tormentate chiose che un' antica arte interpretativa aveva accumulato intorno ai testi sacri». Gli stravolgimenti sintattici, la passione per la polisemia, il plurilinguismo dei suoi versi, ripropongono alcuni processi di scomposizione e di ricomposizione della lingua ebraica, segnala Tagliaferri. E lo stesso accade per i giochi allitterativi, per gli arabeschi di cui si nutre un lessico poetico dirompente ed eversivo. Ma dietro la frantumazione della parola, la sua corsa verso il nulla, Villa alimenta il tono di una poesia che echeggia la voce degli antichi profeti, «riscoprendo il linguaggio dei miti e catturando un senso primordiale della sacralità». I versi di Villa si disseminano in numerose riviste. L' editoria è sorda, ma la voce di Villa non si fa ascoltare (solo nel 1989 esce da Coliseum il primo volume, rimasto unico, delle sue opere; nel 2000 Empirìa ha pubblicato la raccolta Zodiaco). Neanche il sostegno di Bobi Bazlen, negli anni Cinquanta, riesce a sfondare il diaframma. E anzi si frantuma persino il loro rapporto di amicizia per l' accusa di Villa - infondata, secondo Tagliaferri - che sia stato proprio Bazlen la causa del fallimento. E' dalla rivista Ex, negli anni fra il ' 61 e il ' 65, che Villa parla alla nascente avanguardia, assumendo da subito un tono risentito, quasi avvertisse che gli veniva negata ogni primogenitura. «Si sentiva scalzato dalle nostre sperimentazioni», racconta Alfredo Giuliani, poeta e teorico di punta del Gruppo 63. «Una sera a casa di amici fui quasi aggredito da lui: l' isolamento lo rendeva rabbioso». Migliori rapporti, che negli anni diventano stretta amicizia, Villa intrattiene con Nanni Balestrini. Scorbutiche sono le relazioni con Edoardo Sanguineti. Gli ultimi anni di Villa consumano l' edificazione «di un destino di fallimento e di autoemarginazione», dice Tagliaferri. E nel mutismo Villa si spegne, lontano da tutti.
Venerdì, 25 aprile 2008
Galerías
LXIV
Desde el umbral de un sueño me llamaron...
Era la buena voz, la voz querida.
-Dime: ¿vendrás conmigo a ver el alma?
Llegó a mi corazón una caricia.
-Contigo sempre…Y avancé en mi sueño
Por una larga, escuta galería,
sintiendo el roce de la veste pura
y el palpitar suave de la mano amiga.
Mi chiamò dalla soglia di un sogno...
Era la voce buona, a me cara.
-Dimmi: vedrai con me l’anima?
Fu una carezza al cuore.
-Con te sempre...E nel sogno andai
in una larga, galleria immota,
sentendo il palpito
della veste pura
e della mano amica.
(trad. originale di Alessandra Sciacca Banti. Le altre traduzioni sono reperibili seguendo i tag)
Continua a leggere ""
Mercoledì, 23 aprile 2008
Con questa lingua aerea
che non vuol farsi corpo
che non diventa dura abbastanza
per penetrarti come meriti,
puttanapoesia,
per farti inginocchiare
e dire la verità
che per essere veramente poeti
occorre un'intelligenza sovrumana
Nuovo diario, 16.9.1986
La felicità del ritorno
Se la morte fosse
un rannicchiarsi nel buio caldo
come quando si va a letto d'inverno
a godere della cuccia, a guardarsi dentro,
a toccarsi prima di nascere,
stare al sicuro a occhi spalancati
senza perdere sonno ancora
se fosse la morte
la felicità del ritorno
Nuovo diario, 14.11.1986
a Edoardo Sanguineti
Se anche sapessi, e forse so,
che il destino nostro è niente
ma se una donna ascolto dietro una parete
o un suono dei passi sull'ultimo selciato
o una risata schietta, senza fretta
o bacio una bimba che dice: io non sono malata,
al gioco del massacro allora non ci sto,
preferisco del linguaggio quel che ha di divino
e non m'importa, amici, di ciò che direte,
parlo da ingenuo (come Freud), do per scontato
il male e cerco il bene, disperata-mente.
Nuovo diario, 23.3.1986
da Nel canto
17.
con voce rauca di temporale
con voce squillante di bambino
che salta fuori dalla culla
cantano i gatti negli intervalli
delle corse sui tetti, potere
dei coiti istantanei nei cortili,
avere la forza di cantare
prima e durante l'amore.
20.11.1988
Ma quando la memoria si confonde
avanzi barcollando verso l'Ade
per una porta sghemba entrando
già fuori di te eppure sapendolo
quel tanto che basta per tremare
spinto da un vento interno trasversale
che mescola i colori, i suoni, mulinelli
di una lontana mattina di primavera
giovane sulle tracce della tua donna.
17.1.1989
I punti di sospensione
Vedere solo si vede quello che si vuole
una foto sbiadisce poco a poco
e un volto, poi la figura intera scompaiono.
Dov'erano tracce di felicità, attimi
ora un grigio sbiadisce e se resiste
qualcosa, un sorriso molto tirato,
stupisce chi lo osserva
e la memoria rifiuta di saltare l'ostacolo.
Ma per capire fino in fondo che cosa
significa una cancellazione occorre
sentirsi cancellati, quando un'ombra
non è più un'ombra, un fiato, un vapore,
nel trionfo dei punti di sospensione...
6.12.1986
Antonio Porta - Yellow - Lo Specchio Mondadori - 2002
Venerdì, 18 aprile 2008
Un testo di difficile interpretazione, tratto da un libro di cui ho già parlato brevemente qui e a cui dà il titolo. Tuttavia è Montale al suo meglio, un brano "notevole, intanto per la tensione e l'ampiezza di un discorso poetico che si distende, con calibrata regolarità e studiate simmetrie, lungo quattro strofe di otto versi tendenzialmente lunghi, fino alla misura del doppio settenario, tutte allacciate dalla rima, o dall'assonanza, dell'ultimo verso; e ricca di una trama di riferimenti intratestuali a una collaudata costellazione di correlativi e di simboli, dallo specchio all'ombra del giglio rosso, dalla bava d'aria nell'afa alle lenti affumicate (Renzo Cremante, Introduzione a "La casa di Olgiate" - Lo Specchio Mondadori)".
Continua a leggere "Eugenio Montale - da La casa di Olgiate"
Martedì, 15 aprile 2008
Una serie di associazioni di idee mi ha fatto rammentare un testo che ho studiato secoli fa al liceo, ai tempi in cui l’antologia della letteratura francese era spessa quanto due Meridiani Mondadori, e mi ha fatto ricordare anche la citazione che ne fece Eugenio Montale nel suo discorso in occasione dell’assegnazione del Premio Nobel nel 1975:
E' stato osservato più volte che il contraccolpo del linguaggio poetico su quello prosastico può essere considerato un colpo di sferza decisivo. Stranamente la Commedia di Dante non ha prodotto una prosa di quell'altezza creativa o lo ha fatto dopo secoli. Ma se studiate la prosa francese prima e dopo la scuola di Ronsard, la Plèiade, vi accorgerete che la prosa francese ha perduto quella mollezza per la quale era giudicata tanto inferiore alle lingue classiche ed ha compiuto un vero salto di maturità. L'effetto è stato curioso. La Plèiade non produce raccolte di poesie omogenee come quelle del Dolce stil nuovo italiano (che è certo una delle sue fonti), ma ci da di tanto in tanto veri « pezzi di antiquariato » che andranno a far parte di un possibile museo immaginario della poesia. Si tratta di un gusto che si direbbe neogreco e che secoli dopo il Parnasse tenterà invano di eguagliare. Ciò prova che la grande lirica può morire, rinascere, rimorire, ma resterà sempre una delle vette dell'anima umana. Vogliamo rileggere insieme un canto di Joachim Du Bellay. Questo poeta, nato nel 1522 e morto a soli trentacinque anni, era nipote di un cardinale presso il quale visse a Roma qualche anno riportando profondo disgusto per la corruzione della corte pontificia. Du Bellay ha scritto molto, imitando più o meno felicemente i poeti della tradizione petrarchista. Ma la poesia (forse scritta a Roma), ispirata da versi latini del Navagero, che raccomanda la sua fama, è frutto di una dolorosa nostalgia per le campagne della dolce Loira da lui abbandonate. Da Sainte-Beuve fino a Walter Pater, che dedicò a Joachim un profilo memorabile (1), la breve Odelette des vanneurs de blé è entrata nel repertorio della poesia mondiale. Proviamo a rileggerla se questo è possibile, perché si tratta di una poesia in cui l'occhio ha la sua parte.
Continua a leggere "Joachim Du Bellay"
Lunedì, 14 aprile 2008
Siamo andati, ci siamo turati il naso e siamo andati. Ora, mentre scrivo, guardo fuori dalla finestra un pomeriggio post-elettorale con tutte le sfumature del grigio possibili come il mio umore, mentre di là la televisione snocciola la serie infinita dei numeri interi e decimali, razionali e irrazionali e in nessuno di essi trovo la musica delle cose o l'armonia che decantano tanto i matematici. Tutto il creato è matematica, dicono. Ma anche, temo, l'entropia senza fine che caratterizza questo paese che è sempre più difficile amare. Siamo andati e abbiamo prodotto numeri. Numeri, dico, non nomi. I nomi per lo più erano già comodamente seduti sugli scranni di Camera e Senato, con in mano ciascuno il suo sacchettino di numeri, come la tombola, con i quali cominceranno a giocare con le nostre vite. Come la goccia cinese i numeri estrarranno le nostre pensioni, la nostra istruzione, il nostro lavoro precario e quello dei nostri figli, la nostra guerra e la nostra pace, la nostra comunicazione, i nostri redditi, la nostra ricerca, la nostra giustizia e magari anche la nostra nuova Costituzione. E lo faranno con la massima serenità, loro, i numeri, perchè comunque vada loro cascheranno in piedi giacchè vivono in un mondo parallelo da dove entomologicamente scrutano la vita della gente, del popolo (quanto gli piace questa parola!) con un cannocchiale all'incontrario. Nell'altra stanza il cicaleccio continua, in una filza di commenti tra addetti ai lavori arbitrati da qualche altro privilegiato, perfettamente inutili e inconcludenti. Sì, va bene, sembrano dirsi tra le righe, qualcuno ha vinto e qualcuno ha perso, ma non ne facciamo un dramma. E poi, guardandoci attraverso lo schermo: è la democrazia, baby, e tu non puoi farci niente.
Fuori intanto ha ricominciato a piovere, scrosci violenti di una primavera incazzata e riottosa. Ma non è il diluvio, non ancora.
18.34 14/04/2008
Sabato, 12 aprile 2008
Ho incontrato la poesia di Giacomo Bergamini sfortunatamente solo pochi mesi fa. E' per questo che arrivo buon ultimo, con qualche rammarico, a parlare di questo poeta scomparso nel 2004. Altri, a lui più vicini e che hanno avuto la fortuna di conoscerlo, ne hanno già parlato: Stefano Guglielmin, ad esempio, sul suo blog "Blanc de ta nuque" (v. qui) e Francesco Marotta su "La dimora del tempo sospeso" (v. qui). Quindi questo post, che oggettivamente non aggiunge niente o quasi a quanto già sappiamo, deve essere considerato come riproposta, ulteriore timido omaggio e contributo alla conoscenza di un artista di grande talento che meriterebbe una sistemazione definitiva, sia testuale che dal punto di vista critico. Una collocazione che nel panorama poetico italiano, per quanto mi è dato sapere, al momento non esiste ancora e che molti (Guglielmin, Marotta, Elio Grasso e altri) auspicano vivamente. Forse nucleo e motore di questa ricerca potrebbe essere Anterem, di cui Bergamini è stato collaboratore e autore e che ha pubblicato il suo ultimo libro "La malattia delle parole", da cui sono tratti quasi tutti i testi qui presenti, a cominciare da "Dei luoghi del sole", il suo brano forse più noto e più "facile"(libro scaricabile in formato pdf qui).
Segnalo anche il sito Worldtheque (v. qui) dove è possibile ascoltare tre dei testi qui presenti direttamente dalla voce di Bergamini.
Continua a leggere "Giacomo Bergamini"
Giovedì, 10 aprile 2008
Dedico questa poesia alle mie amiche poetesse isolane, Sandra Palombo, Angèle Paoli, Antonella Pizzo, isole nella corrente...
ISOLE
Al non irraggiungibile orizzonte
Settembre scioglie le foschìe riappare
Livorno consueta e a noi di fronte
La Gorgona posata in mezzo al mare
Ma lenta già riaffonda all'invisibile
L'Elba e con lei Capraia e Capo Corso
E fantasmi di più remote isole
Inghiottite dal cielo sorso a sorso
"Se vuol vederle" squilla "si alzi presto!"
Armata di binocolo la Lina
Al cui sorriso dà allegria più fresco
Il bel poggiolo di prima mattina
La serra, 6-8 settembre 1992
Dice Rodolfo Zucco nell'apparato critico de "I versi della vita" (Mondadori, 2000): 'Isole' testimonia (con Bertoni) come sia "proprietà felice di tutto Giudici quella che relativizza ogni ipotesi di sublime troppo pronunciato, mentre porta alla dimensione di una quotidianità all'apparenza abituale e ripetibile tutte le possibili sfide al senso e all'"orizzonte" del limite".
Inevitabile sottolineare, come fa lo stesso Zucco, il rimando a Montale e al nucleo centrale della sua "Casa sul mare" (Ossi di seppia, 1925), che vale la pena di trascrivere per intero:
Continua a leggere "Giovanni Giudici, Isole"
Continua su Ibridamenti il progetto IBRID@POESIA. Ecco qua il prossimo appuntamento:
Il tempo, nel mondo virtuale, cessa di essere qualcosa di oggettivo, di esterno, cioè una dimensione estranea, irreversibile. Sono possibili, in rete, manipolazioni del tempo: può esistere un tempo ciclico, non lineare. Un tempo che assottiglia e indebolisce sempre di più la sua presenza costrittiva. Di più: la sua presenza costrittiva diviene operazione costruttiva, dotata di elevati gradi di libertà: la libertà di un io smaterializzato, che sfida le leggi della fisica…
VOCI DELLA POESIA- IBRID@POESIA la nuova iniziativa coordinata da Marco Saya.
Terzo tema: Il tempo virtuale. (per dettagli e regolamento clicca qui).
Data di scadenza: entro e non oltre le ore 24.00 dell'11 maggio 2008.
mail di riferimento: ibridapoesia@yahoo.it
Mercoledì, 9 aprile 2008
Sempre a Bologna il 12 prossimo ci sarà anche la presentazione dell'antologia collettiva "Vicino alle nubi sulla montagna crollata" a cura di Luca Ariano e Enrico Cerquiglini, Campanotto Editore (v. qui la copertina), dedicata alle problematiche ambientali viste non solo con l'occhio del rimpianto e del cordoglio, ma anche con quello poeticamente e intellettualmente consapevole, perchè, come affermano i curatori "ci piace credere, pensare e tentare di fare in modo che attraverso una poesia, un semplice verso qualcuno possa accorgersi che i poeti non vivono nel loro mondo, ma sono parte attiva e con la loro voce cercano di migliorare, far riflettere e cambiare le cose". Non mi dilungo oltre, voglio solo ringraziare Luca e Enrico di avermi invitato a far parte della brigata.
Domenica, 6 aprile 2008
L.I.P.S.
Laboratorio Internazionale Poesia Sperimentale
Curatori : Alessandro Ansuini | Matteo Fantuzzi | Luca Paci |
Location: Arteria, Vicolo Broglio 1/e – Bologna
Orario evento: dalle 14pm alle 23pm
Patrocinio: Università di Bologna
Sito Web: http://www.lipsbo.splinder.com/
In collaborazione con: Anarchica | Arteria | Imperfetta Ellisse | Italian Literature | Karpos Factory |
Lauter Niemand | Lobodilattice | Rivista Argo | Università di Bologna | UniversoPoesia |Work Out European Student's Review
Next act : Berlino (ottobre 2008)
Il LIPS (Laboratorio Internazionale di Poesia Sperimentale) nasce dall’esigenza, sempre più urgente nel processo di evoluzione quotidiana subita dai Nuovi Media, di sapere come la Poesia dall’avvento di Internet in avanti venga veicolata e si proponga nel nuovo millennio tra i possibili fruitori. La nascita di Blog poetici, di aggregatori di Blogs, l’approdo dei poeti maggiormente orientati al lavoro sperimentale e di intersezione dei mezzi alla Videopoesia o alla Performance Poetica, unita alle nuove forme di autoproduzione che la tecnologia mette a disposizione e in qualche modo incita a realizzare andando a toccare una necessità che è insita nella sempre più urgente richiesta di superamento del "sistema chiuso" che ha tolto la Poesia dalle piazze per costringerla in poche e fragili mura, ha fatto nascere l’urgenza di creare una piattaforma che funga da laboratorio per lo sviluppo delle nuove linee guida per la diffusione della Poesia in ogni sua forma, e in cui poeti e addetti del settore della progettazione d'eventi dalle diverse nazioni abbiano la possibilità di incontrarsi per scambiarsi idee, informazioni, contatti, e soprattutto testimoniare come venga diffusa la Poesia nel nuovo millennio, in un sistema che finalmente possa dirsi realmente di livello europeo.
Il LIPS si pone l’obiettivo, col patrocinio delle università di Bologna, Londra e Berlino, di creare un evento che preveda allo stesso tempo un'analisi teorica delle questioni centrali per lo sviluppo della Poesia Europea contemporanea tramite Workshop, conferenze e dibattiti e da tenersi nelle Università delle varie città coinvolte, ma che mantenga saldo nel contempo l'aspetto performativo/sperimentale dell'effettuazione poetica tramite concerti, letture, videoproiezioni e ogni altro interscambio artistico possa congiungersi con la Poesia.
Gli eventi, che si terranno tra Londra, Berlino, e Bologna, vogliono fungere da snodo per aumentare esponenzialmente contatti e collaborazioni a livello europeo, mantenendo comunque come oggetto principale dell'attenzione la Poesia, nelle sue continue trasformazioni ed evoluzioni impossibili da non analizzare se non in maniera militante.
Continua a leggere "LIPS Bologna 12 Aprile, programma e info"
Venerdì, 4 aprile 2008
Georgi Gospodinov
Due poesie (trad. G. Dell'Agata)
LE DONNE BIONDE
Ad A., brunetta
Comincio con le bionde
c'è in esse leggerezza
c'è festa
similmente hanno letto Pasternak
similmente Burns
similmente candela
e gialla fiamma
similmente campo di grano
similmente segale
e io là salvatore
e io mietitore
delle donne bionde
le descrivo a memoria
c'è in esse sentimento
ci sono film
a colori e canzonette
di successo
rossetto di troppo e un neo
c'è in esse oh! . . . ah! . . .
che sgorga spontaneo
c'è in esse naturalezza
e pace
lievi le loro lacrime
stearina
le loro lacrime son Yellow Submarine
non credono alle lacrime
delle donne bionde
Continua a leggere "Poeti dell'Est 6 - Georgi Gospodinov"
|