Giovedì, 28 settembre 2006
Che questo sia il centenario della nascita di Sandro Penna, celebrato in molte occasioni, ha un'importanza relativa. E' solo una maniera di ricordare, ma forse sarebbe piu' opportuno ricordare le opere, e qui c'e' solo l'imbarazzo della scelta, "Una strana gioia di vivere", 1956, oppure "Stranezze", 1976, che e' anche l'anno, se proprio abbiamo bisogno di un anniversario, della sua morte. Sandro Penna e' stato un grande outsider ("un vigoroso outsider", e' stato definito), che ha posto non pochi problemi di identificazione alla critica, ed e' diventato un classico e quindi parte di quelle radici culturali da cui non possiamo prescindere. Di lui si e' detto tutto o quasi, spesso a ragione, altre volte perdendo di vista la luna per guardare il dito (come l'omosessualita', tanto per intenderci). Si e' parlato di lui come di un poeta fuori dalla storia, fortemente epigrammatico, una poesia fatta di frammenti non strutturalmente legati (e infatti i suoi libri sono costruiti come una serie a-cronologica di testi). Si e' detto del suo infinito reiterare dei moduli stilistici e delle tematiche, sorretto da un linguaggio sorprendentemente compatto e monolitico, che sembrava denotare un disinteresse verso qualsiasi evoluzione, in un tempo fermo, rivolto verso il ricordo, la sua sublimazione, il quotidiano passato. Si e' detto di un poeta decentrato, al di fuori delle correnti letterarie, e anche in questo astorico, e semmai ascrivibile per alcuni a un tempo lontano, quello dei lirici greci. Ma anche direi poeta cristallino, non solo stilisticamente e linguisticamente trasparente e quindi eticamente alto, ma anche in senso quasi chimico, di struttura con forti legami molecolari, perfetta e inscalfibile, e percio' in qualche modo immutabile e uguale a se' stessa. E' questa immutabilita' senza storia che ne fa una poesia direi sapienziale, come gia' aveva notato Garboli, quasi un unico Libro (tutti i grandi scrittori scrivono "un" libro) che con animo sereno possiamo aprire a caso, per destino, e aspettare che parli. Perche' qualsiasi cosa si dica, nell'esercizio della critica, poi alla fine bisogna sospendere il giudizio e semplicemente ascoltare la musica, godere i colori e le emozioni, cercando magari di capire che tipo di legato Penna ha lasciato a tutti noi, che in qualche modo vogliamo continuare a fare poesia.
Muovonsi opachi coi lucenti secchi
gli uomini calmi in mezzo agli orti. Il rosso
dei pomodori sta segreto e acceso
nel verde come un cuore. Ma lontano
il mare con le sue luci d'argento,
che sono le campane del mattino,
chiama alla pesca gli uomini che il vino
del ritorno sognavano fra il lento
ondeggiar delle barche, ridestate
quali uccelli sul ramo. L'altalena
ferma nel buio della villa aspetta
il giorno. E il giorno accordera' le varie
e rumorose colazioni. Io resto
fra tanta luce e battere di panni.
Tre rape mezza mela ed una triste
macchina di cucina vecchia d'anni
sonnecchiano su un tavolo non viste.
Laggiu', dove una storia
personale nel sole,
mi parve un superiore
giuoco di dadi...
oggi una vacca senza storia annusa
la nera terra un po' fumante, chiusa
tra i filamenti della pioggia, radi
ma certi fili della memoria.
Non c'e' piu' quella grazia fulminante
ma il soffio di qualcosa che verra'.
Martedì, 19 settembre 2006
Cristiana Vettori e' nata a Poppi (Arezzo) e risiede a Pisa, dove si e' laureata in Lettere e svolge la professione di insegnante. Ha avuto numerosi riconoscimenti di critica, compreso l'ingresso nella rosa finale del Premio Viareggio opera prima nel 1983. Ha pubblicato numerosi libri di poesia, tra cui "Percorsi", Palermo 1983, "Gaio mistero", Palermo 1985, "Orme", Firenze 1996, e di prosa ("Sedici prose in forma di quadrato", Firenze 1992, "La morte del gatto e altre prose", Firenze 1988).
I versi qui presentati in anteprima sono tratti dalla raccolta "Amori e disamori", di prossima pubblicazione.
Che dire di Cristiana? Che e' un'amica da un sacco di anni, un'amicizia di quelle senza data di scadenza, non ostante i casi della vita. E che e' la prima che ha avuto delle parole di stima e riconoscimento per quello che andavo scrivendo, con l'affettuosa ma acuta prefazione che fece al mio per ora unico libretto di poesie.
Cristiana e' convinta che l'amore abbia una capacita' risarcitoria per le sue proprie inquietudini. Ma le inquietudini sono generate dall'amore, in una circolarita' che ha per sfondo la disillusione, l'incapacita' dell'uomo (e della donna) di domare quella che e' tuttavia una delle piu' potenti forze propellenti della vita. "Amori e disamori" e' una specie di punto d'approdo di questa disillusione, su un percorso d'amore che si e' snodato per gran parte della produzione di Cristiana. Per la verita' l'amore non e' che una delle molte metafore della vita, e come la vita stessa un'aporia, che non trova soluzione se non diventare un deserto popolato di ombre, ombre noi stessi. O forse una chimera, come dice Cristiana, che chi se ne va insegue, ma che forse insegue anche chi resta, se e' vero, com'e' vero, che, comunque sia, "siamo ancora vivi / trascinati / da bighe di fuoco / nella melma / e nel sangue". Trascinati, quindi schiavi, delle nostre pulsioni, dei nostri desideri, che in qualche modo tentiamo di lenire con il ricordo, con la distillazione della memoria, coltivata e protetta: "chi resta / guarda i ritratti / appesi al muro...resta / vestale del passato". Seppure logoro, l'amore "riaffora / in tracce che ci rivela / il tempo", quel tempo, quell'oggi troppo breve che "e' una parola / che si dice d'un fiato". In questo aprire e chiudere le ferite, tra esperienza e ricordo, tra speranza e delusione, resta una reazione, una difesa di tipo per cosi' dire "culturale", della ragione: "Giusto perche' / stemperiamo tragedie / in cortesia / rispetto / altruismo...non ci trovate / impiccati / alle funi". Risalta in questi testi un verso piu' scorciato rispetto ai precedenti lavori di Cristiana. Questa frammentazione del verso sembra rispecchiare un universo frantumato in brandelli di senso, scarnificati, di puro linguaggio segnato da fitte ricorrenze, la principale delle quali e' ovviamente "amore"; il ritmo conseguente finisce per esprimere una scansione del tempo che scorre verso "l'incipiente autunno / dell'anno / e delle nostre vite". Cosi' e'. L'io lirico e' cosi' drammaticamente coinvolto che queste poesie divengono una rappresentazione universale di quell'inevitabile dualismo che anche il titolo coerentemente individua, degli inconciliabili pieni e vuoti della vita. Ma l'amore, come abbiamo detto, e' un'aporia...
Continua a leggere "Cristiana Vettori"
Venerdì, 15 settembre 2006
Quello che vediamo qui è il Santa Caterina Market di Barcellona, opera di Enric Miralles e Benedetta Tagliabue, una enorme tettoia ondulata di 325000 tegole colorate esagonali che ricopre un preesistente edificio in stile neoclassico risalente alla metà dell'Ottocento. Mi chiedevo, qualche giorno fa, la ragione per cui questo intervento architettonico, del quale aveva parlato un giornale, avesse attirato la mia attenzione. Mi piace l'architettura, la ritengo un segnale importante del tentativo dell'uomo di modellare il suo ambiente. Quando visito una città mi interesso non solo dei suoi musei ma anche della sua immagine architettonica e della sua relazione con l'uomo. Questo tipo di interventi fa pensare in prima istanza a un problema più o meno riuscito di coesistenza tra antico e moderno, che il più delle volte si esplica in una decostruzione dell'esistente, con un conseguente passaggio alla mimesi e alla trasformazione. O, nel migliore dei casi, in una affettuosa coercizione del linguaggio nuovo sulla tradizione, non solo per riutilizzarla ma anche per adattarla a una fruizione di gusto più "moderno", qualche volta magari per ragioni tutt'altro che artistiche, anzi decisamente commerciali. In entrambi i casi l'approccio è tipicamente postmoderno, la contaminazione, la coesistenza di stili ecc. Ma quello che mi aveva incuriosito era, come ho intuito poi, un valore metaforico dell'intervento, qualcosa che sembrava avvenire per l'effetto di forze differenti e contrastanti, e che poteva essere generalizzabile anche alla poesia. Attirava la mia attenzione l'onda principale della tettoia, sospinta verso l'alto dal frontone neoclassico, l'adeguarsi della forma là dove l'onda si solleva per lasciare il posto alla struttura che il tempo ci ha consegnato. La tettoia da parte sua introduce più elementi semantici (linee, forme, colori) che non sono omogenei al vecchio mercato. In questo dialogo, che è poi tra sperimentazione e tradizione, diventa artisticamente indistinguibile capire cosa agisce e cosa è agito: se è il frontone che spinge verso l'alto e dice alla tettoia se vuoi la tua forma devi assecondarmi e riconoscere la mia identità ; oppure se è la tettoia che assumendo in (sotto di) sè elementi linguistici della tradizione, forza la costituzione di un nuovo oggetto artistico. L'idea si confronta con l'idea, i codici (per dirla con Bourdieu) si sommano ai codici, ne creano di nuovi, o, se vogliamo, creano nuove poetiche. I due linguaggi (innovazione / tradizione) si legittimano a vicenda, proprio mentre si cambiano, prendono atto di sè e creano un nuovo contesto artistico, una nuova "competenza". Questo naturalmente quando il codice del nuovo non rimuove quello del vecchio, nel tentativo di cancellarlo, di destoricizzarlo completamente, come sembra l'ambizione di certe avanguardie. E' sempre presente il rischio dello svuotamento (anche di senso) del vecchio, dello "sventramento", che non è un modus operandi solo dell'architettura. Oppure del suo uso strumentale, decontestualizzato. In altre parole il rischio dell'illeggibilità , a maggior ragione nelle espressioni artistiche dove il linguaggio è la materia prima. Il fatto è che appare necessario il superamento di certe antinomie o conflittualità storiche, per andare ad un rapporto dinamico creativo, non tra avanguardia e tradizione, intese l'una come rottura assoluta e l'altra come assoluta staticità autoreferenziale, ma tra innovazione e cultura radicata. Per quanto possa apparire "confortevole" e rassicurante la tradizione con i suoi consueti sentieri, noi, tutti noi, dovremmo renderci conto che essa da sola non basta senza il recupero e l'elaborazione del meglio delle spinte innovative, come pure l'innovazione o la sperimentazione decade e si insterilisce senza l'elaborazione dei materiali culturali (tematici, poietici, stilistici) che la tradizione ci ha lasciato in eredità . L'ipotesi è tanto più vera nell'ambito della poesia, tipicamente un'arte più di altre polisemica, soggetta a diversi codici critici e conoscitivi. In essa l'immissione acritica di elementi spuri, alloctoni (forme, stili, modalità espressive, linguaggi, materiali ecc.) può essere nella migliore delle ipotesi straniante (ma anche questo può essere un "messaggio") e nella peggiore distruttiva, senza la verificazione del confronto, anche serrato, con gli elementi che nel tempo hanno determinato il farsi della poesia. (segue, forse...)
Lunedì, 11 settembre 2006
"Noi" non abbiamo importanza,
se non come piccoli oracoli,
flebili portatori di voci
persi in personali labirinti.
In superficie
le cose avvengono da se',
scoppi che bruciano le foglie
come radiazioni,
definitive cesure della vita.
Rutilare delle foglie.
Autunno preagonico,
distacco e un lento precipitare
nelle correnti, sapendo
di atterrare lontano
nella contrastante gravita'.
In queste descrizioni
rimangono echi,
per nostra bocca,
pure rimembranze
di qualcosa che effettivamente
e' esistito.
Martedì, 5 settembre 2006
E' in linea il numero zero de L'Attenzione (http://www.lattenzione.com/) rivista letteraria e di cultura nata dall'impegno di una pattuglia di autori e appassionati, tra cui alcuni amici. I nomi, per chi è abituato a perlustrare la rete (e non solo) alla ricerca di segni vitali della poesia, sono noti: Fabrizio Centofanti, Gian Ruggero Manzoni, Massimo Orgiazzi, Antonella Pizzo, Fabiano Alborghetti, Marco Guzzi, Alessandro Ramberti, Massimo Sannelli. Alcuni di loro curano e partecipano a blog che contribuiscono ad una importante discussione, come "Oltre il tempo", "La poesia e lo spirito", "Liberinversi".
Continua a leggere "L'Attenzione"
|