Lunedì, 21 gennaio 2008
“Non so veramente cosa significhi essere artista; non basta dirlo o praticare un’arte” qualcuno ha scritto; trasformare ed essere trasformati dalla vita, divenire oggetto inconsapevole o soggetto cosciente della propria espressione per qualcuno che usa la vita come materiale, momento atto o gesto creatore, preso da questo bisogno di una trasformazione costante, di una rielaborazione alchemica, infaticabile, dolorosa, a volte inutile e dispersiva, sempre e comunque necessaria, inevitabile.
E’ questa facoltà particolare di visione, immaginazione che permette di vedere analogicamente, “a più dimensioni, quello che gli altri vedono piattamente e a una sola dimensione”(1) . E’ qualcuno che guardando non ci permette più di vedere le cose allo stesso modo perché l’arte domanda partecipazione, ascolto, trasformazione: che la percezione e la coscienza, il pensiero e l’azione siano messi in stato di veglia, di interrogazione costante, di reazione violenta; che tutto possa essere cambiato da un gesto, uno scritto, uno sguardo.
Trattenere, ritorcere, ritenere: trattengo qualcosa di ogni singola forza, tensione, agitazione, desiderio che attraversa il mio essere, di questa mobilità, voracità, paura che s’apre come una voragine nel mio corpo. Sono particella, foglia, libellula, banderuola esposta alle correnti del mio essere corporeo. Sono passaggio costante, fluido, intenibile di un di-dentro-di-fuori che lega lo stato instabile di chi agisce o meglio di chi si vede agire da forze che non riesce a controllare all’altro che lo guarda fare, lo accompagna, lo osserva a distanza e null’altro può fare se non scriverlo.
E’perche sento le cose nel mio essere viscerale, é perché sono macchiato, contaminato intaccato da tutto quello che non potendo prevedere m’ha sorpreso, travolto e per questo tanto più ferito;
é perché sono vivente, ancora più vivente ogni volta che inerte, resto a terra piegato;
é perché posseggo questo corpo che si sente sentire, che si vede pensare, e il pensiero sprofonda e diventa uno con le viscere, gli arti, i sensi tutti;
é perché sono traversato, giocato da tale passaggio;
é perché ho questa stupidità, duplicità, lucidità d’essere dentro e fuori contemporaneamente;
é perché posseggo questa sensibilità della carne, dell’essere totale del mio corpo, e ne sono vittima anche, rivoltato dal suo dispiegarsi, ripiegarsi incessante in una materia sensibile in atto;
é perché tutti i miei sensi mi ricongiungono alla vita empatica degli altri esseri in un sentire, vedere comune che affonda alle radici dell’esistenza;
E’ allora dunque che sono esposto a questa nudità di pensiero che é carne e vita, e non posso dire di esistere senza.
Metto il corpo in stato di ascolto...
(1) Maria Luisa Spaziani in La danza incontra la poesia, Atti del Convegno Nazionale Roma, maggio 2003, Mousike 2005
Dopo studi letterari tra il nord America e la Francia Elisa Castagnoli si trova ora a Parigi; scrive per pagine web e critiche culturali in rete; si interessa di poesia, di arte moderna, di fotografia e, recentemente, del linguaggio della giovane danza contemporanea. Suoi articoli sono presenti su Exibart
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