Lunedì, 14 gennaio 2008
Nemmeno Gesù ha lasciato impronte dei suoi passi sull'acqua del lago di Tiberiade. Le ha lasciate nelle parole, o nella Parola, se volete. E' dalla parola che si ritorna all'impercettibile, a quello che è esistito, nella realtà del mondo o del poeta, e non c'è più oppure non c'è ancora, ma è esistito per il fatto stesso di essere stato "pensato". Rinvenire impronte sull'acqua potrebbe essere perciò una buona definizione della poesia, in quanto, secondo alcuni, arte inutile, oppure perchè appunto, secondo altri, compito della poesia è inventare il mondo che c'è, riscrivendolo.
I versi di questo libriccino di Francesco Marotta, scarno e essenziale, fatto di pochi testi come se rispondesse all'urgenza di uscire subito alla luce, non sono facili. Pretendono dal lettore un'attenzione (o una discesa, se preferite) non petulante nè edonistica, e quel rispetto che compete a un lavoro meditato e sofferto, ovvero, se posso rubare le parole a un grande, richiedono a chi legge "un più intenso rendez vous". Edificati appunto sulla fiducia nella capacità della parola di ricostruire la realtà a partire dalla sua frantumazione, nel tentativo eroico del dire, questi testi si dispongono seccamente sulla pagina in versi cosi' corti da essere singhiozzi, fatti come sono anche di singoli sintagmi o da enjambements (o sinafìe) così perigliosi (nel/l'orbita, tra/passano, in/quieta) che inibiscono costantemente la completezza della frase, come a significare che nemmeno la convenzione, il codice della lingua è un dato certo, e non bisogna farsene illusione. E tuttavia ci si immagina, con grande soddisfazione, come recitare a voce alta questo ritmo sincopato e drammatico, come se il suono stesso della nostra voce prestata al poeta fosse già un necessario viatico alla comunicazione. E' il privilegio del lettore. Di questo linguaggio, spezzato, indeterminato, scarso di connettivi sintattici, già Luigi Metropoli nella postfazione a "Per soglie di increato" aveva correttamente richiamato da una parte l'ermetismo e dall'altra il simbolismo attestandone però la funzionalità descrittiva, non ideologica. In altre parole, aggiungerei, Francesco ne fa qui, molto bene, un uso complessivamente connotativo: è lo stesso linguaggio che dipinge a larghi strati la complessità del vivere, la difficoltà dei rapporti, l'ardua decifrazione del mondo. Con questa consapevolezza perfettamente moderna (questa sì con parecchie parentele nel Novecento), Marotta, che come ogni poeta è anche un Robinson, raccoglie scarti, relitti, oggetti di risulta e costruisce le sue architetture. Così oggetti fragili o appunto impronte che l'acqua non arriva a trattenere, siano essi metaforici e immateriali (un graffio d'anima) o dotati di una loro indiscutibile concretezza (un amplesso / dissennato e coeso) aprono un varco attraverso il quale forse è possibile, dice il poeta, farsi una ragione delle cose e degli eventi. E' questo il supremo tentativo della poesia. Anche se a volte la verità (o la realtà, che però, ricordando Gadamer, sono la realtà e la verità più vere del poeta) "è un’eco, un’ / impronta su / un foglio di via", oppure "qualcosa / che arriva alla porta e / vapora sull’uscio / in forma di respiro" o ancora un "inchiostro che / vaga tra silenzio / e silenzio", per fortuna è pur sempre vero che "la pagina è pronta", che la parola trova la sua destinazione, sia essa il foglio o la mente del lettore in cui riesce a risuonare. Non potrebbe essere altrimenti.
da "Impronte sull'acqua" - PaginaZero 2007
Frana anche l’attesa e
l’ora spalanca tiepide
quieti d’abisso, lo spazio che
cede a un graffio d’anima, al
pallore di ombre di plastica e
ossa, immagini a picco
sfarinate nel piatto, un
pasto di sere già muffe, il
ventoso continuo di luci e
rombi che gonfiano l’aria, tra
passano in dissolvenza
le strade ad altezza
di voce, liquami di vite
arenate ai margini di un grido
filamenti, radici, qualcosa
che arriva alla porta e
vapora sull’uscio
in forma di respiro, un saluto
un sorriso stentato, tu ora
dormi, io raccolgo la
sabbia dai vetri, la polvere
rossa che rinasce nel palmo
a ogni colpo di spugna, un varco
carnale che tracima alfabeti
parole per dire riconoscimi
sono tua madre, sono
l’acqua che
grandina sete nel
l’arsura dei giorni, la risposta
che scivola via dal
le labbra in forma di rogo
secrezioni di un male
che si abita viscere e
sangue, un viaggiare degli anni
su una corda che ha
consistenza di eco, e resiste
con l’arte sottile che
ora stringe, ora allenta, ora
brucia e rinsalda, scolora
riprende, intrisa di umori
notturni, di piume strappate al
l’ala fetale, al ritmo dei giorni
al sesso, a un amplesso
dissennato e coeso, in uno
con quello che avanza, che
resta e si oblia, si veste
ancora di vita, nessun foglio
contiene a misura il
flusso dell’ultima acqua, il
riflusso, il deflusso del seme
la cura che evoca mani
d’angoscia, e il tuo volto
bambino che strappa alla notte
una stilla, una benda inzuppata
di luce, di alcol, di fame
la promessa che dice il
ricamo pungente di altre
albe sugli occhi
riesce più il sale a
dire la verità del
la luce, quando il suo
nome è un’eco, un’
impronta su
un foglio di via, come
avviene tra il fuoco e
una vela
arenata in onde di brace
o allevando porfidi d’acqua
per la sete di
segni
illeggibili, cresciuti
in punta di dita, anche ieri
fa giorno da un
grumo di secoli, sottrae
domande ai ricordi e
si pensa, già in odore
di sabbie, risalire i tuoi
occhi fino all’aria
che brucia, ora
tace, l’inverno è
un pantano di fumo, tu
comincia a guardare il
rivo di pioggia
che ti esce sangue dai
pori
tacite rughe assediano
i ricordi, l'ago
spazza via l'assenza e
la pagina è pronta
per l'inchiostro che
vaga tra silenzio
e silenzio, un
ospite in anticipo
per la veglia dei morti, un
corpo che agli orli
ha steli di pane raffermo
cisti di sogni e
stagni dove si allunga
la radice
lunare al suo primo
apparire, mi dici
inizia a contare da qui
i nuovi giorni, le righe
nutrite di semi
gli accenti, poi
recita tutto il riserbo, gli
abiti smessi, il
cobalto annerito tra
i pori, le stelle
lasciate a marcire dentro
scrigni di nebbia, il mare
sorpreso a fuggire
le parole dell'onda, ora
è tempo, l'esilio del lume
già varca il confine
tra vene e
memoria
il libro è scaricabile dal sito di PaginaZero (http://rivistapaginazero.wordpress.com)
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