Matteo Veronesi
è nato a Bologna nel 1975, dove si è laureato ed ha conseguito il dottorato di ricerca in Italianistica discutendo una tesi, redatta sotto la guida del
professor Fausto Curi, concernente gli echi e gli influssi della concezione del critico come artista e come scrittore nella cultura letteraria italiana
dall’estetismo agli ermetici.
Ha pubblicato, oltre a diversi saggi critici e articoli, alcuni testi poetici, tra cui Controra (S.Lazzaro di Savena, 1990) e La buona solitudine (ivi, 1993). Altre indicazioni sulla sua attività possono essere reperite all’indirizzo http://it.geocities.com/matteoveronesi/
Gli è stato conferito per due volte, nel 1998 e nel 2004, il Premio alla Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
In treno, a volte...
In treno, a volte, donne dolci e tristi
guardano il vuoto, oltre i vetri
con gli occhi intrisi d'attesa
e lontananza
Pensano, forse, a un qualche tenue amore
che le attende, o che hanno
lasciato dietro sé
come un fiore essiccato fra due pagine
Ma forse più dolce della meta
è il sospeso languore che trema
nel loro sguardo
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Come appaiono a chi guarda
dalla banchina i gesti, i volti
dei passeggeri nella luce ambrata
degli scompartimenti, presi
nel miele dell'istante che divide
da un addio una partenza
Si sfila il tempo come questo treno
simile a una trama che si sfibra
ed esita il respiro nell'indugio
in questo mare di cemento e corpi
dove solo un saluto
è salvezza
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Alle soglie di Venezia
il convoglio sprofonda nella luce
e si abbandona al vasto abbraccio
della pietra e dell'acqua
Dolce giungere un giorno
salutati dal bacio
lieve dell'alba o dal roseo
presagio del tramonto -
sentire
fra le mani il tepore del futuro
e nella luce di uno sguardo riflettere una vita
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(in corriera, una mattina)
Un giorno, quando sarò tanto vecchio
ci andrò anch'io in cielo, chiese
il bimbo alla madre nel dolce
dormiveglia cullato dal ronzio
sopito dei motori
E intanto si sgranava la via Emilia
come un vecchio rosario, coi paesi
di provincia invasi dal sopore
di un polveroso agosto -
tu no, rispose, i tuoi pensieri
voleranno lassù, tra le nuvole e l'aria e le segrete
celesti scaturigini del vento
e della pioggia, ma la tua carne
resterà qui, chiusa tra queste povere
cose mortali -
e ormai siamo arrivati
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In certi giorni il vento
ha il profumo del tempo -
il vento
che è venuto da lontano, ha corso
i sentieri dell'aria, fra le nubi, ha sfiorato
le torri dei castelli coronate di tenebre
e le cime dei monti modellate
dai millenni e le distese
dell'oceano ove l'azzurro
si sposa all'oro
nell'eterna quiete
E chi schiude
le finestre al sorriso
del sole, nel vento
sente il ricordo, come un polline o un canto
come una bianca danza, un quieto gioco, il pianto
di un infante tra i riflessi dell'acqua -
il ricordo scavato nel tempo
come la pietra dal vento
lungamente, fino a che sia polvere
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Il capo
reclino, la mente
vuota e stanca, lo sguardo
perduto, oltre i vetri, nell'azzurro quieto
di un crepuscolo immemore -
la mia vita
è altre vite, il mio tempo
una corolla di giorni perduti
il mio corpo non più che l'ombra tiepida
della sua assenza
E così in questo
altro me che divengo si intrecciano mani
e voci, e pensieri si inseguono, e arde e si estenua
il fuoco di un amore a me ignoto -
poi sfuma la visione come un soffio
lieve di vesti chiare
in una qualche stanza
di un qualche appartamento, alto, sul mare
Testi pubblicati, con esclusione di In certi giorni il tempo, su “Graphie”, VI, n. 4 (dicembre 2004), pp. 43-44.
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