Mercoledì, 28 febbraio 2007
A SPASSO CON BUKOWSKI NEI BASSIFONDI DEL MITO AMERICANO
di Enrico Cerquiglini
“In realtà ho più simpatia per il diavolo che per la gente brava. Mi sembra più interessante, laggiù a bruciare tra quelle fiamme. Ha perso la battaglia con Dio ed è stato scaraventato giù tra le fiamme. Forse riesco a tirarlo fuori e insieme ci impadroniamo della situazione. E cambiamo un po’ le cose”1. Cosa starà preparandoci ora il vecchio Bukowski in compagnia del principe degli Inferi? Una rivoluzione, una bevuta di vino rosso o una corsa truccata, un amore mercenario, un incontro di boxe?
Forse tutto questo, forse niente di questo, forse si perderanno a raccontarsi storie inverosimili di donne bellissime, di prostitute felliniane, di auto da 35 dollari, di sbornie indimenticabili. Forse staranno in silenzio a guardarsi, a compatirsi, a fingere indifferenza e a contarsi i guasti dell’età.
Bukowski è morto nel 1994, a settantaquattro anni. Non pochi per chi ha condotto una vita come la sua, alla continua ricerca della morte come ultimo, estremo atto di negazione.
Sulla sua produzione, poetica e narrativa, si sono versati fiumi di inchiostro concentrando sempre l’attenzione sulla sua vita da barbone, cercando sempre di legare il suo nome ai "grandi" della letteratura americana. Si sono scomodati i Salinger, i Miller, gli Hemingway, i Faulkner, i Fante, i Kerouac, i Ferlinghetti, i Ginsberg, i Corso, ecc. senza mai cercare di capire il fenomeno Bukowski nella sua interezza e nella sua “anomalia letteraria”. Bukowski non è un beat, né un fustigatore della morale americana, non è il poeta del potere ma non è neanche il poeta dell’eversione, sembra criticare il modello americano (il sogno) ma ne è esso stesso un'espressione compiuta. I suoi personaggi sono degli sconfitti, degli emarginati ma non hanno uno spessore critico, non sono portatori di valori alternativi, vivono nel sottobosco della civiltà americana perché non riescono ad emergere, a vincere, a cogliere quel successo che in un periodo della vita hanno sperato e desiderato. Lo stesso Bukowski nel racconto Un vero uomo fa pronunciare ad Hank, il suo alter ego, la sua dichiarazione di vita: "Come può dirvi chiunque, io non sono un brav'uomo. È una parola che non conosco. Ho sempre ammirato il cattivo, il fuorilegge, il figlio di puttana. Non mi piacciono i bravi ragazzi coi capelli corti la cravatta e il buon posto. Mi piacciono gli uomini disperati, gli uomini coi denti rotti e il cervello rotto, gli uomini che si sono rotti. Mi interessano. Sono pieni di sorprese e di esplosioni. Mi piacciono anche le donnacce, puttane ubriache con la bocca piena di bestemmie, con le calze molli e la faccia stravolta dal mascara. Mi interessano di più i pervertiti che i santi. Con i barboni riesco a rilassarmi perché sono anch'io un barbone. Non mi piacciono le leggi, la morale, le religioni, le regole. Non mi piace farmi plasmare dalla società"2. È una scelta di vita. Un programma "contro" che non cela un senso di soddisfazione nell'essere "fuori" dal meccanismo ma di goderne, in qualche modo, alcuni aspetti. Essere contro, restare ai margini, abbassare o annullare gli obiettivi fino a giungere ad una dimensione capace di soddisfare i soli bisogni primari. Non è forse anche questo una parte del "sogno americano"? Bene o male, vincitori e vinti, c'è spazio per tutti e non è detto che appartenere alla specie dei vinti suoni come una condanna definitiva, può sempre giungere, per qualche inspiegabile motivo, il quarto d'ora di celebrità, la fine della miseria, la ricchezza improvvisa.
Non c’è solidarietà nei bassifondi descritti da Bukowski, anche l’amicizia è precaria, basta una birra rubata per romperla. Non si tenta di risalire la china cercando strade nuove, ci si abbandona al nulla, o al sogno (corse dei cavalli, una puttana da cento dollari, un vino migliore) e si perpetua, in un contesto ridotto e degradato, il mito americano, il sogno del più forte.
Ogni strato sociale ha i suoi miti, le sue aspirazioni, la sua corsa da fare sul cadavere di qualcuno (non è il principio del liberismo selvaggio, dell’edonismo reaganiano?). Non si salva nemmeno la classe dei senza-classe, degli ultimi. Ogni personaggio di Bukowski si porta dentro un malcelato senso di colpa, un alone di sconfitta che gli impedisce di svolgere un lavoro qualsiasi, come se pensasse "o divento qualcuno per un colpo di fortuna o non voglio essere niente", basti pensare ai personaggi de L'ubriacone (Barfly): Henry Chinaski (alter ego di Bukowski) "ha in sé più stanchezza che rabbia. [...] Piuttosto che farsi prendere dentro dagli ingranaggi della società, si è dato al bere e ai bar. Sembra non abbia altro da fare che attendere, anche se il senso di quest'attesa gli sfugge"3; Jim "sembra che anche lui aspetti di morire e, nell'attesa, beve di continuo"4; Lilly, "non le interessa niente e lei non interessa a nessuno"5 e la carrellata potrebbe continuare a lungo.
Quand’anche sembri che un principio di lotta solidale si sviluppi, come nel racconto La vendetta dei dannati6 , il carattere è spontaneistico, non indirizzato, una classica jacquerie, una rivolta finalizzata al saccheggio, alla distruzione totale degli edifici, dei simboli. Basta l’arrivo della polizia per provocare la fuga, per far tornare la “normalità”.
Non bisogna dunque cercare in Bukowski il riscatto del sottoproletariato urbano, né bisogna caricare la sua scrittura di metafore ardite, di problemi etici mascherati sotto un cinismo di maniera. Non si deve forzare Bukowski per fargli dire ciò che ci interessa sentire, per costruire un “mito” che possa giustificare il nostro interesse politico-culturale. Bukowski non è un intellettuale, almeno nel senso classico ed europeo della parola. Non è un socialista che non conosce il socialismo. Non è il Verga, né lo Zola degli Stati Uniti. Se compie un’opera di denuncia, è involontaria, più dovuta all'esegesi del lettore che alla coscienza del degrado raggiunta dall'Autore. E’ uno scrittore che celebra, non senza una punta di compiacimento, uno dei lati oscuri dell’America consumistica: l’emarginazione e l'autoemarginazione. Non accetta la realtà del lavoro, in essa vede la morte dell'individuo, ma non prospetta neanche abbozzi di soluzioni. Conosce l'inganno del lavoro, di cosa effettivamente si celi dietro l'apparente senso di sicurezza economica: la fine della libertà individuale, la massificazione piccolo-borghese, ma non sa opporre se non uno sberleffo, una reazione istintiva. Al "tizio" che, dopo averlo fatto giurare davanti alla bandiera a stelle e strisce prima di prendere servizio come impiegato postale, prospetta un "lavoro sicuro per il resto della vita" non riesce ad opporre che una riflessione paradossale: "Sicuro? La sicurezza si poteva averla anche in galera. Tre metri quadrati tutti per voi senza affitto da pagare, senza conti della luce e del telefono, senza tasse, senza alimenti. Senza tassa di circolazione. Senza multe. Senza fermi per guida in stato di ubriachezza. Cure mediche gratuite. La compagnia di persone con gli stessi interessi. Chiesa. Inculate. Funerali gratuiti"7. Lasciare il lavoro dopo undici anni di ufficio postale è per Chinaski un riappropriarsi della vita, ma l'uomo ridotto alla condizione di lavorante non è in grado di riassaporare un'esistenza libera, deve passare attraverso un rito di purificazione che prevede la morte (due settimane di sbronze continue, di continua assenza della coscienza) con conseguente perdita delle abitudini lavorative e riattivazione del muscolo cardiaco (in Post Office, dopo le dimissioni è uno studente di medicina che porta a Chinaski un autentico cuore umano immerso nella formalina, provocando nell'animo dell'ex-impiegato-ancora impiegato, sconvolgenti conati di vomito in grado però di riportalo ad una dimensione umana). Quale sia il concetto di libertà e di umanità per Bukowski va precisato: non lavoro, bere, musica, cavalli, donne/puttane, squallore, macchine da scrivere, automobili da pochi dollari, ecc..
La cultura di Bukowski è apparentemente approssimativa. La struttura narrativa è semplice, come quella sintattica (Hemingway docet). E’ accattivante l’uso spregiudicato del linguaggio gergale, l’immediatezza del linguaggio (crudo, crudele, volgare, secondo l’esigenza) e il mutamento del tono (il breve squarcio lirico, la pennellata naïf di un tramonto, un mare che dice molto proprio quando l’autore ne nega il fascino, ecc.), la lotta con il destino e con la scrittura che si esalta proprio quando si cerca di nasconderla, di occultarla, di negarla.
Qualcuno ha voluto vedere in Bukowski un'identità tra artista e uomo, richiamando alla mente i poeti maudits francesi. Probabilmente in Bukowski si assiste ad un processo inverso. L'artista si occupa della realtà dell'uomo Bukowski, ne diventa cronista ideale, tratteggiandolo con linee lusinghiere, esaltanti la sua unicità in un panorama umano degradato, marginalizzato, ridotto alla quintessenza degli istinti primordiali, al soddisfacimento di bisogni primari e di bisogni indotti dalla società dei consumi.
Bukowski non ha nulla, almeno nella produzione, del poeta maudit; le sue non sono folgorazioni, non sono "brandelli di infinito" ma vicende reali o realistiche interpretate da un Io che, prepotentemente, filtra la realtà e la rende, anche quando è al limite del paradosso, oggettiva e controllabile. Non c’è posto per il mistero, né metafisico né morale. Tutto appartiene allo scibile, tutto è palpabile e controllabile. Anche la pazzia. Non serve la psicologia, né tantomeno la psicanalisi per interpretare un comportamento: tutto è chiaro, quasi banale; tutto è ridotto all’essenziale, a ciò che si comprende. Se eventualmente qualcosa sfugge non c’è assillo, né possibilità, almeno coscientemente, di rimorso. I sentimenti sono elementari e brutali, l’amore “è un cane che viene dall’inferno”, l’amicizia è un compagno di sbronza, la pietà si prova per un vecchio che non ha più erezioni o che contempla il sole o che cucina, la felicità è una vincita alle corse, una corsa in automobile (magari da sbronzo), una scazzottata vittoriosa, una notte passata con una prostituta, una sbornia di birra mentre la radio trasmette ininterrottamente musiche di Ciaikovski, di Mahler o di Stravinski, l’odio è generalizzato, riguarda tutto e tutti coloro che sono estranei (scrittori, poeti, pittori, intellettuali, attori, registi, impiegati, ecc.), la tristezza si prova guardando gli altri, coloro che lavorano otto ore al giorno, che allevano figli e falciano il prato nei giorni di riposo, ecc. .
Solo alcuni personaggi riescono ad avere una discreta autonomia o, almeno, connotati propri. Tra questi emerge Cass, la protagonista del racconto La più bella donna della città8. Seppure la donna resti schiacciata dalla massiccia presenza del protagonista maschile (Bukowski) alcuni tratti la rendono credibile, le danno uno spessore di personaggio: “Cass era la più giovane e la più bella ragazza di tutta la città. Mezzindiana, aveva un corpo stranamente flessuoso, focoso era e come di serpente, con due occhi che proprio ci dicevano. Cass era fuoco fluido in movimento. Era come uno spirito incastrato in una forma che però non riusciva a contenerlo. I capelli neri e lunghi, i capelli di seta, si muovevano ondeggiando e vorticando come il corpo volteggiava. Lo spirito, o alle stelle o giù ai calcagni. [...] Dipingeva, danzava, cantava, modellava la creta, e quando qualcuno era ferito, mortificato, nel corpo o nell’anima, Cass provava compassione per costui. Il suo cervello era, ecco, differente; la sua mentalità non era pratica, ecco quanto. [...] La sua indole era affine alla pazzia; aveva un temperamento che certi chiamano pazzia”. Ma anche Cass, come tutti i personaggi bukowskiani, resta schiacciata nella scrittura. Il suo dramma (essere considerata solo per la bellezza) viene appena abbozzato la sua tendenza all’autodistruzione viene solamente accennata: “E sotto ciascun occhio ci aveva, conficcate, due spille con le capocchie di vetro”, la tragedia conclusiva (il suicidio di Cass) viene raccontato da estranei. La partecipazione di Bukowski è solo emozionale e presto diventa rassegnazione: “La notte seguitava a andar avanti, non c’era niente che potessi fare”.
Gli altri personaggi (escluso, naturalmente, Bukowski-Hank-Chinaski) sono comparse surreali o, più raramente, caratteri: prostitute da centocinquanta chili, alcolizzati, vecchietti stile Far West, donne che amano farsi violentare, esibizionisti, barboni solitari, casalinghe frustrate, vecchi folli che costruiscono “macchine per fottere”, studenti di medicina con un cuore sotto spirito, ecc.
Altro elemento fondamentale della sterminata produzione bukowskiana è l’attenzione morbosa agli organi sessuali. Non c’è racconto in cui non vengano citati o analizzati, quasi a voler dare un segno di distinzione, di anticonformismo. Se nei primi racconti (quelli di Storie di ordinaria follia) questo poteva caratterizzare la scrittura in maniera inusuale, nei racconti e nelle poesie successive questo linguaggio crudo ed immediato si stempera in storie che sfiorano la ripetitività e la banalità. Il frasario sessuale si ripete fino a svuotarsi, fino a perdere quella carica “eversiva” che probabilmente era nelle intenzioni dell’autore. E’ certamente un linguaggio da bassifondi, senza “cultura” che evidenzia però dei pericoli. Il pericolo della produzione pseudo-letteraria, della finzione che diventa accattivante realtà, della volgarità eletta a veicolo poetico. Probabilmente Bukowski gioca con i lettori, fino a rendersi simpatico, fino a far credere che idee elementari come sesso e alcol possano riempire la vita di un uomo e realizzarlo, fino a far credere che tra la vita dei bassifondi e la vita dei quartieri alti non ci siano differenze sostanziali, perché ovunque è sufficiente distinguersi in qualche cosa: il denaro, le donne, le dimensioni del sesso, la quantità di alcol che si riesce ad ingerire, la fortuna alle corse, ecc. .
Un discorso a parte merita Pulp, l'ultimo romanzo di Bukowski. Forse presagendo la morte ha cercato di esorcizzarla, suscitando e risuscitando alcuni fantasmi della sua esistenza. Il detective Nick Belane riceve proprio dalla Morte il compito di rintracciare Celine, sì proprio lui, il discusso scrittore francese che, almeno per alcune ambientazioni dei romanzi, può essere riconosciuto come "padre letterario" di Bukowski.
È un tentativo di costruzione di una metafisica spicciola, d'un estraniamento dalla vita, nella vana ricerca di una fuga, ultima e definitiva, anche dal genere umano per entrare in una dimensione atemporale, capace di soddisfare gli appetiti vitali e di conferire una qualche forma d'immortalità, tutta terrena, totalmente legata alla "fisicità" delle opere. Quasi una specie di "religione della memoria" (non credo che conoscesse il nostro Foscolo), di illusoria sconfitta della morte.
1 BUKOWSKI C., "Quello che mi importa è grattarmi sotto le ascelle", intervista a cura di PIVANO, F., Milano, SugarCo, 1981, p. 81.
2 Il racconto è inserito nella raccolta A Sud di nessun Nord, Milano, SugarCo, 1982.
3 BUKOWSKI C., L'ubriacone (Barfly), Milano, SugarCo, 1983, p. 7.
4 Ivi, p. 8.
5 Ivi, p. 9.
6 BUKOWSKI C., Niente canzoni d'amore, Milano, Mondadori, 1993, pp. 46-55.
7 BUKOWSKI C., Post Office, Milano, SugarCo, 1981, p. 55.
8 Il racconto è inserito nella raccolta Storie di ordinaria follia, Milano, Feltrinelli, 1975.
Enrico Cerquiglini è nato a Montefalco (PG) nel 1962 e vive a Gualdo Cattaneo (PG). E’ tra gli organizzatori del Premio Nazionale di Poesia “Sandro Penna”. Suoi scritti sono apparsi in diverse riviste, anche straniere, e in atti di convegni. In poesia ha pubblicato: Le correnti della landa, Roma, Gabrieli, 1982; Vendette azteche, Udine, Campanotto, 1994, Ballate B.I.T., Perugia, Grafiche 84, 1997 e Tra nebbia e fango, Udine, Campanotto, 2006. Altre pubblicazioni: Pier Paolo Pasolini - Uccellacci e uccellini (Dalla sceneggiatura alla realizzazione cinematografica), Udine, Campanotto, 1996 (saggistica) - La voce dolce di resa, Ascoli Piceno, Stamperia dell'Arancio, 2000 (antologia).
Il saggio A spasso con Bukowski nei sobborghi del mito americano è uscito nel n. 25 della rivista Hortus (n. 25 – 2003).
Il saggio “Pasolini: Uccellacci e uccellini - Vincitori e vinti”, citato sopra, un testo di grande interesse che consiglio di leggere, è reperibile anche sul sito di Enrico al link
http://enricocerquiglini.splinder.com/post/10794047/Pasolini%3A+Uccellacci+e+uccellini+-+Vincitori+e+vinti+di+Enrico+Cerquiglini (N.d.R.)
|
Google is the best search engine
Tracciato: Mar 04, 08:53